Master 1° Livello

MASTER DI I LIVELLO

POLITICA MILITARE COMPARATA DAL 1945 AD OGGI

Dottrina, Strategia, Armamenti

Obiettivi e sbocchi professionali

Approfondimenti specifici caratterizzanti le peculiari situazioni al fine di fornire un approccio interdisciplinare alle relazioni internazionali dal punto di vista della politica militare, sia nazionale che comparata. Integrazione e perfezionamento della propria preparazione sia generale che professionale dal punto di vista culturale, scientifico e tecnico per l’area di interesse.

Destinatari e Requisiti

Appartenenti alle Forze Armate, appartenenti alle Forze dell’Ordine, Insegnanti di Scuola Media Superiore, Funzionari Pubblici e del Ministero degli Esteri, Funzionari della Industria della Difesa, Soci e simpatizzanti dell’Istituto del Nastro Azzurro, dell’UNUCI, delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, Cultori della Materia (Strategia, Arte Militare, Armamenti), giovani analisti specializzandi comparto geostrategico, procurement ed industria della Difesa.

Durata e CFU

1500 – 60 CFU. Seminari facoltativi extra Master. Conferenze facoltative su materie di indirizzo. Visite facoltative a industrie della Difesa. Case Study. Elettronic Warfare (a cura di Eletronic Goup –Roma). Attività facoltativa post master

Durata e CFU

Il Master si svolgerà in modalità e-learnig con Piattaforma 24h/24h

Costi ed agevolazioni

Euro 1500 (suddivise in due rate); Euro 1100 per le seguenti categorie:

Laureati UNICUANO, Militari, Insegnanti, Funzionari Pubblici, Forze dell’Ordine

Soci dell’Istituto del Nastro Azzurro, Soci dell’UNUCI

Possibilità postmaster

Le tesi meritevoli saranno pubblicate sulla rivista “QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO”

Possibilità di collaborazione e ricerca presso il CESVAM.

Conferimento ai militari decorati dell’Emblema Araldico

Conferimento ai più meritevoli dell’Attestato di Benemerenza dell’Istituto del Nastro Azzurro

Possibilità di partecipazione, a convenzione, ai progetti del CESVAM

Accredito presso i principali Istituti ed Enti con cui il CESVAM collabora

Contatti

06 456 783 dal lunedi al venerdi 09,30 – 17,30 unicusano@master

Direttore del Master: Lunedi 10,00 -12,30 -- 14,30 -16

ISTITUTO DEL NASTROAZZURRO UNIVERSITA’ NICCOL0’ CUSANO

CESVAM – Centro Studi sul Valore Militare www.unicusano.it/master

www.cesvam.org - email:didattica.cesvam@istitutonastroazzurro.org

America

Traduzione

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America Centrale

America Centrale

Medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 su questo stesso blog seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo
adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità dello
Stato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento a questo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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mercoledì 31 agosto 2016

Brasile: il fallimento delle Olimpiadi

Brasile
Rio 2016, le ultime mega Olimpiadi
Carlo Cauti
16/08/2016
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A pochi giorni dalla fine dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, la domanda che si pongono i brasiliani riguarda la futura destinazione delle infrastrutture create per l’occasione, soprattutto nel momento di grave crisi economica che il Brasile sta affrontando in questo periodo.

Checché ne abbiano detto la stampa brasiliana e quella internazionale fino alla vigilia della cerimonia di apertura, se tutto andrà come previsto (e l’inaugurazione è stata propizia in questo senso) i Giochi saranno molto probabilmente ricordati un successo di pubblico e di critica, eguagliando il risultato positivo della Coppa del Mondo del 2014 (prestazioni calcistiche della squadra di casa a parte).

Per quanto possa essere confusa la gestione del villaggio olimpico, i benefici della manifestazione sportiva per la città sono ben visibili. L'evento aiuta l'economia locale e lascia un'eredità importante ai cariocas. Anche le promesse non mantenute, come la pulizia della Baia di Guanabara, sono già state digerite dall’opinione pubblica e rinviate a data da destinarsi.

Il problema, tuttavia, rimane legato al post-Giochi, soprattutto per quanto riguarda la carenza di fondi e la scarsa capacità di gestione e manutenzione degli impianti sportivi costruiti per l’occasione.

Inoltre, secondo diversi specialisti, la costruzione di un villaggio olimpico ex novo è una strategia obsoleta. Probabilmente, Rio de Janeiro sarà l'ultima città in cui verrà realizzato un progetto di questo tipo: dalla prossima Olimpiade non si organizzeranno più Giochi in questo modo.

A Tokyo, nel 2020, saranno utilizzati impianti già esistenti, solo ristrutturati per l’occasione, concentrando gli investimenti in opere infrastrutturali come metropolitane, o in miglioramenti urbani che rimarranno a disposizione dei cittadini dopo la manifestazione sportiva. E lo stesso dovrebbe avvenire anche per le città che ospiteranno i Giochi in futuro. Nessun altro costruirà nuovi parchi olimpici.

La fine degli elefanti bianchi
È questo quanto previsto dall’“Agenda 2020”, un documento approvato nel 2014 dal Comitato olimpico internazionale (Cio) che intende porre fine ai cosiddetti “elefanti bianchi”, mega-infrastrutture costruite per i Giochi olimpici e condannate all’abbandono o al sottoutilizzo dopo la cerimonia di chiusura.

A Rio de Janeiro, ad esempio, la costruzione del velodromo è considerato uno dei casi di realizzazione di infrastrutture inutili per la città. Nella metropoli brasiliana - ma in generale in tutto il paese - il ciclismo è poco praticato e non desta particolare interesse nel pubblico: infatti, il sindaco di Rio Eduardo Paes è dovuto correre ai ripari annunciando che la struttura verrà smontata alla fine dei giochi e donata ad una città che ne faccia richiesta.

L'obiettivo del Cio è evitare che, a partire dalle prossime Olimpiadi, si verifichino eccessi di spesa per l’organizzazione delle gare nel paese ospitante. Una decisione che punta a scongiurare sprechi e a non appesantire i bilanci pubblici, ma anche ad arginare opportunità di corruzione.

Basti pensare che ancora oggi la Grecia non ha recuperato gli investimenti realizzati per i Giochi del 2004 e sconta le conseguenze di un indebitamento mal pianificato.

A Rio, invece, la costruzione del villaggio olimpico è stata realizzata con una mega-speculazione immobiliare dal gigante delle costruzioni Odebrecht, invischiato negli scandali di corruzione a tutti i livelli di governo e il cui amministratore delegato e principale azionista, Marcelo Odebrecht, è agli arresti da oltre un anno nell’ambito dell’operazione “Lava Jato”, la Mani Pulite brasiliana. Infine, non è un caso che lo Stato di Rio de Janeiro abbia dichiarato bancarotta poche settimane prima dell’apertura dei Giochi.

Nondimeno, per permettere che in futuro i Giochi si svolgano in paesi in via di sviluppo, dove le infrastrutture sono scarse, il Cio permetterà il raggruppamento di diverse città, ognuna dotata di diverse strutture sportive adeguate o dove sono necessari pochi adattamenti, evitando di concentrare tutti gli eventi in un unico luogo.

I paesi del Golfo Persico o quelli dell’America centrale e dei Caraibi si sono già interessati alla possibilità. Così facendo, le nazioni meno sviluppate non dovranno preoccuparsi di realizzare opere gigantesche. Fino ad oggi, i costi per la realizzazione di un’Olimpiade sono lievitati al punto da permettere solo alle città “ricche” di potersi candidare. A partire da questa edizione, saranno invece i Giochi a doversi adattare alle città-sede, e non le città ai Giochi.

Opportunità carioca
Questa strategia è stata già in parte applicata a Rio 2016. Per il maxi-evento, la città ha trasformato il suo volto. La zona portuale, fino a pochi anni fa squallida ed abbandonata, è stata riqualificata ed oggi è diventata il nuovo “salotto buono” della metropoli brasiliana, arrivando a rivaleggiare con la tradizionale Copacabana.

Nuove infrastrutture di trasporto sono state costruite per consentire l’accesso al parco olimpico, e sono stati lanciati programmi sociali destinati a restare anche dopo la fine delle Olimpiadi. La maggior parte delle opere sono state realizzate attraverso una partnership pubblico-privata, cercando di non appesantire troppo le casse pubbliche. Ma l’edizione è comunque costata oltre 40 miliardi di reais (oltre 10,5 miliardi di euro).

Rio 2016 potrà essere ricordato come un caso di successo, al pari delle Olimpiadi di Barcellona del 1992, oppure come un costoso fallimento, nel solco di Atene 2004. Non esiste una formula magica per assicurare un ritorno a lungo termine in tutti i settori legati ai grandi progetti sportivi. Il segreto è l'adattamento.

Pechino e Sydney, ad esempio, hanno subito un calo significativo del turismo dopo i Giochi, tanto che a Sydney diversi alberghi hanno chiuso dopo le Olimpiadi per mancanza di clienti. Nel caso di Barcellona, ci sono voluti dieci anni per recuperare il numero di turisti del periodo delle Olimpiadi, ma la città catalana è riuscita ad affermarsi come meta turistica mondiale, diventando una metropoli “alla moda”. Ed è a questo esempio che si ispira Rio.

Carlo Cauti è un giornalista italiano di base a São Paulo del Brasile.
 

venerdì 26 agosto 2016

USA: inizia la volata finale

Usa2016
Hillary vs Donald, una volata lunga cento giorni
Giampiero Gramaglia
30/07/2016
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Le due convention sono ormai storia, anzi cronaca scaduta: di qui all’Election Day, l’8 novembre, restano cento giorni esatti. Agosto se ne andrà sotto traccia, con i candidati a caccia di finanziatori più che di elettori.

Poi, dal Labour Day, il Primo Maggio Usa, quest’anno il 5 settembre, si entrerà negli ultimi due mesi decisivi di questa campagna maratona, che, per i due protagonisti, Hillary Rodham Clinton e Donald Trump, sarà durata, a conti fatti, quasi 18 mesi.

Gli appuntamenti di Cleveland - i repubblicani, dal 18 al 21 luglio - e di Filadelfia - i democratici, dal 25 al 28 luglio - e i discorsi finali sono stati specchio fedele dei due partiti e dei due candidati. Hillary non dice una parola fuori posto, ma non scalda i cuori; simula un’empatia, che non prova, con il suo pubblico; e dissimula, senza magari mentire in modo esplicito.

Trump è un fiume in piena che le spara grosse a ogni capoverso e che nasconde dietro la contestazione del politically correct e, quindi, dietro il paravento della franchezza, la banalità delle idee e la genericità delle affermazioni, quando non sono pure e semplici balle.

I sondaggi ci diranno se l’effetto convention ha rilanciato la Clinton in testa alla corsa, dopo che Trump aveva goduto dello slancio della kermesse repubblicana. Ma Filadelfia ha mediaticamente avuto meno impatto di Cleveland, dove si temevano incidenti che non ci sono sostanzialmente stati.

Un discorso senza errori e senza acuti
Quello di accettazione della nomination di Hillary è stato un discorso senza errori, ma senza acuti. C’è quasi da dare ragione a Trump, che chiosa: "Una collezione di cliché e di retorica riciclata". L’ex first lady chiude la convention democratica, impegnandosi ad agire, se sarà eletta, per unire l’America e non per dividerla, come - è esplicito - fa il suo rivale. E parla di sicurezza, armi, terrorismo, razzismo, diritti civili; tranquillizza gli alleati sul rispetto degli impegni.

Introdotta sul palco del Wells Fargo Center, dopo un’esibizione di Kate Perry, dalla figlia Chelsea, che l’ha presentata come “una lottatrice che non s’arrende”, la Clinton sforna frasi fatte, come “Siamo alla resa dei conti" e "Siamo più forti se uniti". L’ex first lady, mamma e nonna, era vestita di bianco, Chelsea di rosso: lo sfondo blu completava i colori della bandiera americana, ripetuti dalle migliaia di palloncini piovuti sul palco nel tripudio finale.

Se Trump è corrosivo, il presidente Barack Obama, che mercoledì sera aveva dato il suo appoggio all’ex first lady, presentandola come suo successore, commenta: "Grande discorso. È esperta. È pronta. Non si arrende mai. Ecco perché Hillary deve essere il nostro prossimo presidente".

Dalla fiera di paese al grande cinema
Il copione delle convention è sostanzialmente identico, per i repubblicani e per i democratici: sussulti di contestazione all’inizio, perché questa è una democrazia; il voto che zittisce - o almeno acquieta - le polemiche; il crescendo degli interventi - quello dei democratici è incomparabile, Michelle, Bill, Barack, Hillary.

Ci sono sfumature di differenze: i repubblicani hanno un contesto più da kermesse, un po’ scaciato, noi diremmo coatto; i democratici sono perfettini, ingessati, pure nella rabbia, o nell’entusiasmo.

Così, mentre a Cleveland i repubblicani avevano organizzato una fiera di paese, al Wells Fargo Center di Filadelfia è stato grande cinema: tutti da Oscar: gli attori protagonisti, mogli e mariti, presidenti e aspiranti, ciascuno recita la sua parte da consumato professionista.

I meno bravi sono stati i vice. Mike Pence, il repubblicano, e Tim Kaine, il democratico, non valgono i loro boss e si vede: non hanno carisma e non fanno il peso, l’uno troppo rozzo, l’altro troppo prete. Chiunque eleggano, gli americani passeranno i quattro anni del prossimo mandato incrociando le dita che il titolare non debba essere sostituito in corsa.

Alle convention, e non solo, tutto è finto, ma tutto pare terribilmente vero; e tutti ci credono, o fingono di farlo: l’unità repubblicana dietro Trump; la complicità tra Obama e Hillary che giusto otto anni or sono stavano a sbranarsi; persino la ‘love story’ di Bill e l’incontro “con una ragazza” - lui che ne ha sicuramente incontrato decine, anche se ne ha sposato una sola.

Il lato debole e il soffitto di cristallo
Il discorso di Bill è troppo mieloso: questo è il lato debole del copione del kolossal democratico. La condiscendenza, in nome del potere, presente e futuro, di Hillary moglie tradita nei confronti di Bill marito fedifrago, ma governatore o presidente, aliena molte simpatie specie femminili alla candidata democratica. Anche se la letteratura è fitta e variegata, su come Hillary reagì al Sexgate, i giochini erotici del marito nello Studio Ovale con la stagista Monica Lewinski: solidale in pubblico, furibonda in privato fino a scagliargli contro un libro, secondo i racconti di biografi ‘gossippari’.

Filadelfia celebra, tuttavia, lo storico evento della prima donna candidata alla Casa Bianca da uno dei due maggiori partiti statunitensi: in un video di neppure due minuti, la Clinton rompe non solo metaforicamente il 'tetto di cristallo', come viene metaforicamente chiamata la barriera invisibile che ostacola da sempre l’ascesa delle donne al vertice.

Nel montaggio sfilano i 44 uomini che l'hanno preceduta alla Casa Bianca: una carrellata di volti che alla fine compongono un tetto di vetro vero e proprio. E, in un crescendo, il volto di Hillary viene in primo piano tra i vetri infranti: vestita con un fiammante abito rosso, circondata da donne. Folgorante anche la chiusa del video, indirizzata alle bambine "forse all'ascolto": "Può essere che io diventi la prossima presidente degli Stati Uniti. Ma una di voi sarà sicuramente la successiva".

Il passaggio di testimone
In questo clima, la convention ha assistito, mercoledì sera, a un passaggio del testimone simbolico tra il presidente Obama e la Clinton: fra i due, sul palco, un abbraccio quasi intenso, romantico. “Sono orgoglioso di te”, dice lui. L’unità del partito dietro la sua candidata è suggellata dalla lealtà di Sanders, che placa la rivolta degli irriducibili ‘sanderistas’, dalla sfilata di ispanici, neri, donne, personaggi dello showbiz, dall’endorsement del magnate dell’editoria ed ex sindaco di New York Mike Bloomberg.

Tutti sono con Hillary, che “è la scelta giusta”. E tutti sono contro Trump, che “è un demagogo” e “un incompetente”, ma che “è pericoloso”. Come a Cleveland, anche a Filadelfia l’unità è più forte contro che per.

Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello IAI.
 
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lunedì 22 agosto 2016

Brasile; di crisi in crisi

Rio 2016
Il Brasile ha già il record delle crisi
Ilaria Masiero
30/07/2016
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Quando Rio de Janeiro fu scelta come sede delle Olimpiadi, una folla festante riempì la spiaggia di Copacabana e l’allora presidente Luiz Inácio Lula Da Silva, Lula, commosso, consacrò il risultato dicendo: “è arrivato il nostro momento!”.

A far pendere l’ago della bilancia in favore del Brasile furono l’esuberanza economica, la stabilità politica, il grande appoggio popolare all’iniziativa, e il fatto che nessuno stato sudamericano avesse mai ospitato i Giochi. A quasi sette anni da quel giorno, solo l’ultima di queste condizioni resta valida.

Crisi economica a più livelli
Fino a poco tempo fa, il Brasile viveva un ciclo economico positivo, alimentato dalla forte domanda globale per le risorse naturali e agricole di cui il paese è ricco, e culminato nel 2010, quando il Pil aumentò del 7,5% - e tutti pensavano che il gigante si fosse svegliato una volta per tutte.

Negli anni successivi, tuttavia, lo scenario è mutato radicalmente. Una serie complessa di fattori tra cui spiccano il crollo del prezzo del petrolio e la gestione imprudente dei conti pubblici da parte dell’erede di Lula, Dilma Rousseff, hanno sprofondato il paese nella sua peggiore crisi dagli anni Trenta.

A fronte di questo cambio di scena, le spese per l’organizzazione dei Giochi (circa 11 miliardi di Euro, di cui il 40% di provenienza pubblica), anziché consacrare una nuova potenza globale, infieriscono ulteriormente su una economia già a terra.

La considerazione che una parte dei costi sono in capo alle amministrazioni cittadina e statale di Rio de Janeiro - e non alla repubblica federale - non serve da rassicurazione. Anzi.

Sebbene le casse della Città Meravigliosa sembrino trovarsi in uno stato ragionevole, lo stesso non può dirsi delle finanze dello stato di Rio.

In giugno, il governatore ha dichiarato lo stato di calamità pubblica. Questa misura, normalmente riservata ai casi di catastrofi naturali, è stata adottata in ragione della crisi finanziaria dello stato che - secondo il governatore - poteva pregiudicare il mantenimento degli impegni presi in vista dei Giochi.

Lo stato di calamità ha permesso al governo federale di dare un aiutino allo stato di Rio, che probabilmente basterà per “mettere una pezza” sulla questione Olimpiadi. Quello che accadrà dopo è un altro paio di maniche.

Crisi politica a tutto campo
Poco dopo essersi aggiudicato l’assegnazione delle Olimpiadi, Lula ha terminato il suo secondo mandato consecutivo con un indice di approvazione stellare, prossimo all’80%. Tutt’altro clima si respira a pochi giorni dall’inizio dei Giochi.

Di fatto, è possibile che il calendario di eventi delle Olimpiadi 2016 includa, come extra, l’impeachment della presidente Dilma Rousseff.

Accusata di aver truccato il bilancio dello Stato, l’erede designata di Lula è stata sospesa dall’incarico a maggio, in attesa del verdetto finale da parte del Senato federale - verdetto che potrebbe arrivare proprio durante le Olimpiadi.

Da parte sua, il presidente ad interim, Michel Temer, vice ed ex-alleato della Rousseff, non è finora riuscito a costruirsi una base di appoggio consistente. Infatti, da un lato ha catalizzato l’ostilità delle forze di sinistra pro-Rousseff, dall’altro si sta progressivamente alienando le simpatie dei gruppi liberali, delusi dalle troppo timide misure di austerità.

E la crisi non si ferma qui. Una buona fetta della classe politica (e imprenditoriale) brasiliana si trova coinvolta, più o meno direttamente, nell’inchiesta Lava Jato, il maggiore scandalo di corruzione e riciclaggio di denaro nella storia del paese.

Non c’è da stupirsi, dunque, che il clima non sia dei più sereni - sebbene qualsiasi prospettiva di rottura dell’ordine democratico appaia alquanto improbabile.

Olimpiadi per chi?
Tutti i giorni i brasiliani si confrontano con una economia in crisi. Tutti i giorni, si sentono dire che una buona parte della classe dirigente che per anni ha gestito i soldi pubblici avrebbe, in sostanza, rubato, e che forse ci sarà bisogno di aumentare le imposte per risanare i conti.

Tra l’altro, la gente ha fresco nella memoria il ricordo della Coppa del Mondo 2014, che a sua volta costò ai contribuenti circa 8 miliardi di euro e si lasciò alle spalle una scia di stadi che non riescono a pagare i propri costi e di opere pubbliche inconcluse.

In questa cornice, l’idea di spendere per l’organizzazione dei Giochi (le cui opere peraltro sono affidate a 5 imprese, tutte indagate nell’inchiesta Lava Jato) è come un pugno nello stomaco, e la gente scende in strada domandando: “Olimpiadi per chi?”.

A pochi giorni dall’apertura dei Giochi, secondo una ricerca dell’istituto Datafolha, il 50% dei brasiliani sono contrari alla realizzazione dell’evento - tre anni fa erano solo il 25% -, e poco meno di due terzi pensa che le porterà più perdite che benefici.

Come spesso succede nelle telenovele brasiliane, è probabile che, nonostante tutte le condizioni avverse, le Olimpiadi siano un successo. Il problema sarà il ritorno alla vita reale.

Ilaria Masiero è laureata in Discipline Economiche e Sociali e dottoranda in Economia presso la Fundação Getulio Vargas di San Paolo.

lunedì 1 agosto 2016

Brasile. Le olimpiadi

Sicurezza e minaccia terroristica
Olimpiadi di Rio, tra rischi e scenari
Diego Bolchini
25/07/2016
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Lo spettro di nuovi attentati terroristici firmati dall’autoproclamatosi “stato islamico”- già richiamato dall’Europol in relazione agli europei di calcio svoltisi gli scorsi mesi di giugno e luglio in Francia – potrebbe tornare ad aleggiare in occasione delle ormai prossime Olimpiadi di Rio de Janeiro.

I numeri che ruotano attorno all’evento sono oggettivamente rilevanti: sono attese circa 300 mila persone tra turisti, spettatori e team di atleti internazionali, controbilanciate da un contestuale dispiegamento di circa 80.000 agenti di polizia, forze armate ed operatori di sicurezza.

Una ipotesi di rischio attentati è data come possibile da diversi osservatori, ma non ovviamente sostanziabile quanto a eventuali target e modalità di azione su suolo brasiliano. I margini di imprevedibilità sono elevatissimi, come gli eventi di Dacca del 1̊ luglio e di Nizza del 14 luglio e di Monaco del 22 luglio hanno tristemente dimostrato.

I fattori di rischio sociale per la propaganda di Isis
Alcuni fattori di rischio precursori e facilitanti sono stati individuati dall’Abin (Agencia Brasileira de Inteligencia), ovvero il servizio intelligence federale brasiliano e veicolati ai media.

In un contesto socio-economico fortemente degradato rispetto a 10 anni fa (con un Pil contrattosi del 7% negli ultimi due anni), richiami radicalizzanti nel Paese verde-oro potrebbero attecchire più facilmente in individui appartenenti alle fasce sociali più indigenti, facendosi strada in aree a devianza criminale endogena (favelas, criminalità comune, narcotraffico, tifoseria violenta). Il timore è quello di una islamizzazione di micro-contesti, catalizzando i disagi e gli squilibri sociali.

Sotto questa prospettiva, gli arresti operati dalla polizia federale brasiliana nel mese di luglio nei confronti di una sedicente cellula jihadista brasiliana avrebbero evidenziato l’esistenza di una retorica jihadista già annidata in alcuni circuiti web locali.

Non va inoltre dimenticata l’esistenza di diversi milioni di brasiliani di ascendenza araba, principalmente di origine libanese e siriana (ed in quota minoritaria maghrebina, egiziana, giordana ed irachena). Giunti nel Paese sin dalla metà dell’Ottocento, sono oggi per la gran parte di cittadini di terza o quarta generazione, generalmente ben integrati, dei quali solo poche migliaia arabo-parlanti e di fede musulmana.

Elementi di mitigazione del rischio
Di contro, c’è da dire che il Brasile non è certo un Paese politicamente esposto o inviso di per sé agli occhi dell’estremismo jihadista. Nel 2014 l’ex ministro degli Esteri brasiliano, Luiz Alberto Figueiredo, aveva addirittura ribadito la contrarietà brasiliana all’effettuazione di raid aerei contro lo “stato islamico” in assenza di una legittimazione forte dell’Onu.

La distanza geografica dai centri di interesse del “Califfato” è inoltre notevole e storicamente il Brasile non ha subito episodi di terrorismo di matrice jihadista.

Altro elemento di mitigazione del rischio su cui riflettere è che in Brasile, a differenza dell’Europa e delle sue periferie urbane, la gran parte degli arabo-brasiliani è di religione cattolica e, soprattutto, parte attiva della vita economica locale. Ciò in virtù nei processi integrativi di lungo corso esercitati nel tempo sulle diaspore libanesi e siriane in Brasile, oggi per lo più dinamici rappresentanti dell’imprenditoria e del mondo degli affari locali.

Vi è infine da osservare come la cultura di vita brasiliana - intesa come liberalità di agire e di costumi - sia per molti versi incompatibile con i precetti oscurantisti dell’islamismo più radicale.

Tra opportunità mediatiche e modelli di minaccia
I terroristi cercano di massimizzare il danno prodotto, secondo differenti metriche del danno e della perdita: numero di vittime, distruzione materiale, economica o simbolica. Secondo un principio di visibilità mediatica, le Olimpiadi di Rio potrebbe essere un target di opportunità sostanzioso, caratterizzando la città carioca in senso narrativo-manipolativo come “lasciva e corruttrice”.

Nella selezione degli obiettivi da colpire, inoltre, quasi sempre le grandi città metropolitane - come Bali (2002), Casablanca (2003), Madrid (2004), Londra (2005), Mumbai (2008), Boston (2013), Parigi (2015), Ankara (2016), Bruxelles (2016) o Dacca (2016) per citare casi di eventi associati al jihadismo islamico - sono state ritenute dai terroristi appetibili nelle Nazioni -bersaglio individuate.

Detto quanto sopra dei luoghi e dei possibili scenari rappresentativi per lo “stato islamico”, un’analisi strutturale dei network terroristici porta a enunciare il seguente principio generale: maggiore è il numero di componenti della cellula, maggiore è la probabilità che la stessa venga intercettata dalle forze di sicurezza.

Nel caso di una radicalizzazione improvvisa o di una azione condotta su base isolata, come potrebbe essere il caso di un ipotetico lupo solitario brasiliano, appare molto più difficile un’opera di prevenzione e monitoraggio.

In definitiva, un attentato terroristico appartiene ad una classe di eventi del tutto peculiare, basata certo su singole, caotiche e talvolta contraddittorie volontà umane, ma possibilmente da inquadrare anche all’interno di principi tendenzialmente lineari.In questo contesto, massima attenzione andrà esercitata dagli apparati di sicurezza affinché i colori del carnevale olimpico restino immacolati, preservando i valori ecumenici sottesi all’evento a cinque cerchi.

Diego Bolchini è analista di relazioni identitarie, autore di contributi per diverse riviste specializzate nei settori afferenti geopolitica, sicurezza e difesa.