Anche se ciascun Paese ha le proprie specificità, ciascun conflitto le proprie caratteristiche peculiari e ciascuna crisi economica le proprie connotazioni, il presente lavoro ha tentato di rappresentare la situazione del continente in esame attraverso la quantificazione di un sufficiente numero di parametri rappresentavi.
Sono di seguito esaminati i fattori di squilibrio che interagiscono “in feedback” con la capacità dello Stato, sia direttamente che indirettamente; in tale ottica, la comprensione di tali fattori è premessa indispensabile per la corretta individuazione della dinamica evolutiva del Paese in esame in termini di instabilità/stabilità/sviluppo.
La possibilità che un precedente conflitto possa innescarne un successivo è legata all’indebolimento delle istituzioni, all’impoverimento del Paese, al degrado delle strutture produttive. Questi fattori incrementano la dipendenza del Paese dalle risorse naturali e da attività illegali o sommerse e possono, inoltre, aggravare le condizioni interne di disuguaglianza, esacerbare gli animi per le atrocità e le perdite subite dalle fazioni in lotta.
b. Tali conflitti regionali hanno le caratteristiche di vere e proprie guerre civili che interessano realtà locali, provinciali, nazionali e regionali senza tener conto delle frontiere. Gruppi transfrontalieri, vicini ostili ed economie sommerse possono ugualmente determinare l’instaurarsi di situazioni conflittuali.
c. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) - stima che nel dicembre 2004 si contava un numero globale di 9,2 milioni di rifugiati, circa 2,8 milioni (31%) collocati in Africa.
e possono determinare contraddizioni sociali, che creano condizioni favorevoli per l’affermarsi di potenziali ribelli, in una società che non possiede gli strumenti idonei per dissuaderli dall’uso della violenza.
- il petrolio può determinare conflitti per cambiare il governo o esercitare il controllo di una parte del territorio (ad esempio Angola, Nigeria, Sudan);
- l’oro e le pietre preziose possono essere associati al perdurare di conflitti in atto (ad esempio Angola, R. D. del Congo, Sierra Leone).
Ma occorre evidenziare la notevole influenza esercitata dal regime politico nei confronti delle risorse naturali che possono assumere il ruolo di Fattore di Squilibrio.
Infatti, l’effetto perverso dello sfruttamento del petrolio si verifica principalmente in regimi non democratici, dove la partecipazione politica è scarsa, il controllo dell’esecutivo è debole e la possibilità d’innescarsi di meccanismi perversi nella distribuzione del reddito da esso derivante è molto elevata. Un’altra conseguenza perversa è che il governo può ricorrere a sistemi più autoritari e perfino alla repressione per proteggere le risorse, acuendo le contraddizioni e causando molte vittime.
Angola, Nigeria e Sudan non hanno un regime democratico e si annoverano tra i Pesi più corrotti del mondo.
In Angola, dal 1975, nella regione di Cabinda, ricca di petrolio, si oppongono al governo gruppi armati separatisti in un conflitto che ha già fatto 3.500 vittime. I separatisti accusano il governo di non migliorare le condizioni di vita degli abitanti di Cabinda con il ricavato del petrolio.
In Nigeria, dal 1997, nella regione del Delta del Niger, l’esercito governativo e le forze di polizia si scontrano con numerose milizie armate. Queste ultime combattono per i diritti delle comunità locali per una partecipazione migliore ai proventi dello sfruttamento petrolifero.
Nel Sudan, dal 2003 gruppi armati in Darfur si ribellano contro il governo, che accusano di non fare abbastanza per la popolazione locale. Il territorio del Darfur, con un’estensione pari a quella della Francia, è la principale risorsa contesa tra le parti in conflitto. Comunque non sia stata ancora provata la presenza di petrolio nel sottosuolo, si sospetta che il motivo principale del conflitto sia proprio dovuto ai potenziali giacimenti energetici della regione che, secondo analisti, il governo vorrebbe sfruttare senza dividere i proventi con la popolazione locale. Il conflitto ha fatto ben 60.000 vittime.
L’effetto perverso dello sfruttamento dei minerali preziosi si è verificato in maniera evidente nella R. D. Del Congo. Dal 1996 movimenti indipendentisti finanziati con il ricavato dei giacimenti minerari (diamanti, oro) hanno continuamente tentato la secessione della regione del Katanga dal governo centrale, in un conflitto che ha già fatto ben 1.500.000 vittime. Il governo autocratico, per sua volta, è accusato di continua violazione dei diritti umani e di una dilagante corruzione. Secondo analisti dell’ONU, il rapporto tra il commercio di armi e lo sfruttamento delle notevoli risorse minerarie congolesi è strettissimo. Gli stessi esperti hanno evidenziato che finché il governo congolese non avrà uno stretto controllo dello sfruttamento del settore minerario “sarà impossibile assicurare la pace e la sicurezza nel Paese”.
d. Continuando con i diamanti, Sierra Leone e Botswana sono diventati grandi esportatori di questa ricchezza; in Botswana, in presenza di un governo democratico con istituzioni efficienti, lo sfruttamento di diamanti è associato ad un controllo efficace, ad una destinazione dei renditi ottenuti verso lo sviluppo socio-economico dello intero Paese ed a un’assenza di conflitti; in Sierra Leone la stessa disponibilità, in presenza di regimi instabili, è associata allo sfruttamento illegale dei giacimenti di diamanti ed al sostegno di conflitti, a punto tale che, il 5 Luglio 2000, di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il rappresentante della Sierra Leone ha dichiarato: “La radice del conflitto è e rimane i diamanti, i diamanti, i diamanti” (il conflitto in Sierra Leone si è protratto per 10 anni, dal 1991 al 2001, ed ha causato 25.000 vittime).
e. Tali elementi sono stati presi in considerazione nella valutazione dello Fattore di Squilibrio in riferimento. Ghana, Namibia e Sudafrica, che hanno regime democratico associato ad una assenza di conflitti, la disponibilità notevole di oro o diamanti, non è stata considerata come Fattore di Squilibrio.
- la connotazione etnica/religiosa di una elite in una società eterogenea;
- l’esistenza di polizie pubbliche che agiscono in maniera discriminatoria nei confronti di alcuni gruppi.
Nel 2003, una ricerca dell’University of Maryland’s Center for International Development & Conflict Management (CIDCM) ha individuato 31 Stati africani con minoranze etniche/religiose a rischio di azioni discriminatorie da parte del governo o di altri settori della società. Nove Stati (Angola, Burundi, Camerun, R.D. del Congo, Nigeria, Senegal, Sudan, Uganda e Zimbabwe) presentano la situazione di rischio più elevato.
Confermando tale ricerca, ai contrasti di natura etnica sono attribuiti i conflitti in Burundi, Nigeria, R.D.del Congo e Sudan.
Si intende per “anocracy” un regime politico che non risulti né completamente democratico né completamente autocratico, essa comporta l’instaurazione di sistemi di governo variamente “ibridi” in Paesi caratterizzati da una fase di transizione verso la democrazia. Alcuni Paesi, come Messico, Nicaragua, Senegal, e Taiwan, sono riusciti a creare un regime democratico uscendo da una fase autocratica attraverso l’“anocracy”. Un certo numero di Paesi africani, Burkina Faso, Gibuti, Guinea, e Tanzania, ha dato l’avvio recentemente ad una cauta transizione verso una maggiore apertura dei propri regimi politici,.
I tre tipi di regime già menzionati sono stati analizzati in base alle relative istituzioni politiche, in particolare:
- le modalità di selezione della classe dirigente (per esempio: elezione, colpi di Stato, successione ereditaria);
- le pressioni esercitate sul ruolo dell’élites (per esempio: controlli forniti dal potere legislativo e giudiziario);
- il livello di coinvolgimento del popolo nel processo politico (per esempio: tramite i partiti politici);
- il livello di accesso della popolazione al potere politico (per esempio: il livello di rappresentanza delle minoranze);
- la neutralità e la professionalità dell’apparato burocratico.
Il controllo dell’esecutivo e la partecipazione della popolazione alle istituzioni hanno un consistente e positivo effetto sulla stabilità politica. Se l’esecutivo è controllato da altri livelli governativi e se la competizione politica è istituzionalizzata ed efficace, l’instabilità politica è notevolmente bassa.
In assenza di controlli sull’esecutivo e di effettiva partecipazione della popolazione alle istituzioni, anche in un contesto di notevole crescita, l’instabilità è notevole.
In democrazia questi fattori tendono ad esaltarsi reciprocamente. Attraverso le elezioni ed i partiti politici la popolazione è coinvolta nella scelta della classe dirigente, il cui potere è limitato dalla legge, dall’operato di una burocrazia autonoma e dalle iniziative degli altri organi dello Stato.
Nell’autocrazia la partecipazione è limitata ad una ristretta élite che sceglie l’esecutivo, rimuovendo le eventuali limitazioni al relativo potere, impiegando la burocrazia in funzione strumentale, favorendo il clientelismo ed l’assegnazione mirata delle risorse.
La labilità delle istituzioni rende le “anocracies” meno stabili e resistenti. In presenza di un sistema parzialmente democratico, con scarsi controlli sull’esecutivo e modesta partecipazione popolare, l’instabilità politica è circa 10 volte superiore a quella associata a fattori socio-economici (mortalità infantile, mercati chiusi, ecc.) : ciò è frequente in Africa.
In Africa (e nel resto del mondo), le “anocracies” sono spesso prossime alla crisi completa dello Stato. Le libere elezioni per un presidente o per un primo ministro non sono sufficienti a garantire una piena democrazia, infatti le elezioni possono essere di per se pericolose. Forti controlli sulla classe dirigente e /o la regolare partecipazione popolare sono necessarie per creare stabilità.
Dunque i Paesi completamente democratici sono più stabili; i sistemi autocratici, particolarmente nei Paesi con bassi livelli di reddito, sono relativamente stabili; le “anocracies” sono esposte ad un più alto rischio di instabilità.
Nel continente africano, la stabilizzazione dei “Nuovi Stati”, che hanno sperimentato un periodo d’instabilità di formazione statale subito dopo l'indipendenza, si è rivelata difficile e più della metà di tutti questi Paesi (25 su 46) hanno raggiunto la stabilità soltanto dopo un periodo durato da quattro a trentacinque anni.
Del suddetto gruppo di 25, tre Paesi non hanno realizzato ancora la stabilità politica ed effettiva: Nigeria, Sudan, e l'Uganda.
Le democrazie sono relativamente fragili in economie povere, ma la probabilità che si verifichi una situazione di crisi si riduce notevolmente in presenza di livelli progressivamente più alti di sviluppo economico.
In media, un Paese con un PNL pro-capite pari a circa 250 US$ presenta un rischio del 15% di subire una guerra civile. Quando un Paese raggiunge un PNL pro-capite di circa 5000 US$, il rischio di guerra civile si riduce mediamente al di sotto del 1%.
Livelli bassi di PNL pro-capite sono associati a scarse capacità istituzionali; in particolare, ad una mancata capacità di risolvere i conflitti sociali con strumenti politici e giuridici piuttosto che con la violenza.
Ci sono molti altri meccanismi collegati a quanto sopra esposto:
- i governi dei Paesi più poveri hanno tipicamente redditi statali più bassi con i quali pacificare i potenziali oppositori;
- le istituzioni politiche dei Paesi più poveri possono essere sottodimensionate e meno efficaci.; sulla carta, le regole del gioco possono essere ben stabilite ed efficaci ma la loro applicazione può essere minata da politici, giudici, burocrati e poliziotti mal retribuiti o corrotti;
- ad una capacità statale contenuta potrebbe corrispondere una mancanza di forza militare e conseguentemente il governo non avrebbe alcun deterrente nei confronti di potenziali ribelli;
- Paesi più ricchi sono più in grado di soddisfare le necessità della popolazione, il che riduce le cause potenziali di contraddizioni sociali.
Con circa metà della popolazione che vive con meno di 1US$ al giorno, il continente africano rimane ai margini dello sviluppo economico mondiale risultando largamente influenzato dalla problematiche sinora esposte.
L'ONU divulga, dal 1971, l'elenco dei Paesi "Least Developed Countries" (LDCs) una categoria di Stati che sono ritenuti estremamente svantaggiato in un processo di sviluppo e che hanno bisogno di un grado più alto di attenzione da parte della comunità internazionale.
Il criterio usato dall'ONU per classificare i Paesi come LCD include come parametro il reddito basso quantificato come PNL pro-capite inferiore a US$ 750.
A parere di alcuni studiosi, una crescita economica annua di almeno 8% potrebbe stabilire le condizioni necessarie per superare le eventuali situazioni di crisi.
Comunque, secondo la Banca Mondiale, l’indice di crescita economica nell’Africa Sub-sahariana, nel periodo 1975-2003, è risultato pari a -0,7%. Una dei motivi per questa recessione economica è la assoluta mancanza di sviluppo nel settore industriale. Per esempio, secondo l’United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD), il settore energetico è estremamente importante nella generazione dei capitali
In Africa, molti Paesi in via di sviluppo (Angola, Camerun, Ciad, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Nigeria, Sudan), benché abbiano una produzione considerevole di petrolio, non hanno comunque le risorse - umane o finanziarie - per sviluppare industrie legate al settore energetico. Solamente il 5% dei contratti per beni e servizi nel settore energetico sono appannaggio di società africane. La maggioranza dei progetti collegati alle infrastrutture per la produzione di energia è condotta da società straniere.
Un sintomo di questa situazione è l’elevato indice di forza di lavoro impiegata in agricoltura, spesso con mero carattere di sussistenza. Finché permarrà uno stato generale di arretratezza dei settori produttivi e commerciali in molti Paesi africani, il cambiamento verso lo sviluppo e la democratizzazione sarà difficile da ottenere.
Secondo l’Organizzazione Mondiale di Sanità, benché la regione abbia solamente il 10% della popolazione mondiale, in essa vive ben il 66% delle persone affette da HIV/AIDS in tutto il mondo (26,6 milioni su 40 milioni). HIIV/AIDS.
L'Africa Australe è una delle aree più critiche: tutti i 6 Paesi hanno tra 20 e 40% di popolazione affetta da HIV/AIDS.
L’ONU classifica i Paesi “Land-locked Developing Countrie”s (LLDCs) e “Small Island Developing States” (SIDS) come categorie di Stati che hanno il bisogno di maggiore attenzione da parte della comunità internazionale poichè affrontano particolari problemi, quali mancanza di infrastrutture, capacità istituzionali e produttive deboli, limitati mercati nazionali, notevole distanza dai principali mercati mondiali e alta vulnerabilità a shocks.
Dei 31 Stati classificati come LLCD, 15 sono africani: Botswana, Burkina Faso, Burundi, Centrafrica, Ciad, Etiopia, Lesotho, Malawi, Mali, Niger, Ruanda, Swaziland, Uganda, Zambia, Zimbabwe.
Sono stati classificati come SIDS 5 Stati africani: Capo Verde, Comore, Mauritius, Sao Tome e Principe, Seychelles.
C'è una relazione tra livelli di istruzione e la stabilità di regimi democratici. Popolazioni più colte sono il miglior supporto delle democrazie.
Ciò suggerisce che l'instabilità politica nei Paesi africani è rilevante, correlata negativamente ai problemi generali della sicurezza sociale: la diffusione dell’ istruzione, la salute, i servizi sociali, gli investimenti in infrastrutture di base, l’espansione di moderne tecnologie per le comunicazioni e per l’informazione.
L’indice di sviluppo umano, divulgato dall’UNDP nel 2005, fa una classifica dei 177 Paesi nel mondo collocando negli ultimi 24 posti i seguenti Paesi africani: Kenya, Gambia, Guinea, Senegal, Nigeria, Ruanda, Angola, Eritrea, Benin, Costa d’Avorio, Tanzania, Malawi, Zambia, R. D. del Congo, Mozambico, Burundi, Etiopia, Centrafrica, Guinea-Bissau, Ciad, Mali, Burkina Faso, Sierra Leone, Niger.
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