Master 1° Livello

MASTER DI I LIVELLO

POLITICA MILITARE COMPARATA DAL 1945 AD OGGI

Dottrina, Strategia, Armamenti

Obiettivi e sbocchi professionali

Approfondimenti specifici caratterizzanti le peculiari situazioni al fine di fornire un approccio interdisciplinare alle relazioni internazionali dal punto di vista della politica militare, sia nazionale che comparata. Integrazione e perfezionamento della propria preparazione sia generale che professionale dal punto di vista culturale, scientifico e tecnico per l’area di interesse.

Destinatari e Requisiti

Appartenenti alle Forze Armate, appartenenti alle Forze dell’Ordine, Insegnanti di Scuola Media Superiore, Funzionari Pubblici e del Ministero degli Esteri, Funzionari della Industria della Difesa, Soci e simpatizzanti dell’Istituto del Nastro Azzurro, dell’UNUCI, delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, Cultori della Materia (Strategia, Arte Militare, Armamenti), giovani analisti specializzandi comparto geostrategico, procurement ed industria della Difesa.

Durata e CFU

1500 – 60 CFU. Seminari facoltativi extra Master. Conferenze facoltative su materie di indirizzo. Visite facoltative a industrie della Difesa. Case Study. Elettronic Warfare (a cura di Eletronic Goup –Roma). Attività facoltativa post master

Durata e CFU

Il Master si svolgerà in modalità e-learnig con Piattaforma 24h/24h

Costi ed agevolazioni

Euro 1500 (suddivise in due rate); Euro 1100 per le seguenti categorie:

Laureati UNICUANO, Militari, Insegnanti, Funzionari Pubblici, Forze dell’Ordine

Soci dell’Istituto del Nastro Azzurro, Soci dell’UNUCI

Possibilità postmaster

Le tesi meritevoli saranno pubblicate sulla rivista “QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO”

Possibilità di collaborazione e ricerca presso il CESVAM.

Conferimento ai militari decorati dell’Emblema Araldico

Conferimento ai più meritevoli dell’Attestato di Benemerenza dell’Istituto del Nastro Azzurro

Possibilità di partecipazione, a convenzione, ai progetti del CESVAM

Accredito presso i principali Istituti ed Enti con cui il CESVAM collabora

Contatti

06 456 783 dal lunedi al venerdi 09,30 – 17,30 unicusano@master

Direttore del Master: Lunedi 10,00 -12,30 -- 14,30 -16

ISTITUTO DEL NASTROAZZURRO UNIVERSITA’ NICCOL0’ CUSANO

CESVAM – Centro Studi sul Valore Militare www.unicusano.it/master

www.cesvam.org - email:didattica.cesvam@istitutonastroazzurro.org

America

Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

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America Centrale

America Centrale

Medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 su questo stesso blog seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo
adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità dello
Stato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento a questo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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venerdì 27 maggio 2016

USA: la corsa sempre più in fibrillazione

Usa 2016
Trump vs Hillary, una sfida nata dagli errori
Giampiero Gramaglia
14/05/2016
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Le hanno sbagliate tutte. E, ogni volta, la pezza che ci mettevano era peggio del buco. Per i notabili del partito repubblicano, queste primarie sono state un incubo e una sequela di Little Big Horn.

E, adesso, non sanno se convertirsi a Donald Trump, sperando che riesca a conquistare la Casa Bianca, oppure boicottarlo, consegnando gli Stati Uniti a Hillary Rodham Clinton - 12 anni ‘democratici’ di fila, non accade dai tempi di Franklyn Delano Roosevelt.

Tra l’estate e l’autunno 2015, l’establishment del partito conservatore, di cui sempre si parla, senza che si sappia bene chi ne faccia parte, non capì che quell’ossesso dalla bazza rossa che diceva cose grossolane e sconvenienti, litigava con le giornaliste sul palco dei dibattiti in diretta televisiva, definiva i messicani stupratori e considerava i musulmani tutti indiziati di terrorismo, ma riempiva le arene per i suoi comizi e vinceva tutti i confronti, non era un fenomeno stagionale, ma rischiava di durare.

Perciò, gli hanno messo controfigure sbiadite, come Jeb Bush, o inesperte, come Marco Rubio, o ‘di risulta’, come John Kasich, che l’orco Trump s’è mangiato in un solo boccone; e, intanto, gli cresceva accanto un’alternativa persino peggiore, Ted Cruz, senatore del Texas, ultraconservatore, populista e - per fare buon peso - pure baciapile evangelico e antipatico che di più non si può.

Quando si sono finalmente convinti che il pericolo era reale, era tardi: la frittata era fatta. I notabili hanno cercato di tirare fuori un asso dalla manica, ma avevano solo ruote di scorta, per di più usate e neppure disponibili: Mitt Romney, candidato 2012, o Paul Ryan, speaker della Camera, dopo che l’opzione indipendente Michael Bloomberg era tramontata prima che si facesse alba. E l’ipotesi d’una convention aperta, dove cercare di rimescolare le carte, s’è rivelata impraticabile: gli elettori la consideravano alla stregua d’una truffa.

Adesso, è proprio finita
Così, fra i repubblicani, Trump è rimasto solo per i ritiri in sequenza, dopo le primarie nell’Indiana, dei rivali superstiti Cruz e Kasich - all’inizio, erano 17. Fra i democratici, la Clinton, pur perdendo nell’Indiana e poi in West Virginia, è ormai vicina alla garanzia aritmetica della nomination, che non può più sfuggirle: Bernie Sanders, il suo rivale, lo sa e lo riconosce, ma resta in corsa per incidere sulla piattaforma del partito alla convention.

La conta dei delegati indica che il magnate dell’immobiliare e l’ex first lady stanno per conquistare la maggioranza assoluta dei rispettivi delegati: in assoluto, allo showman ne mancano 102, a Hillary 144; in percentuale, il repubblicano è quasi al 92%, la democratica quasi al 96% - fra i democratici, i delegati sono quasi il doppio dei repubblicani.

E, uno dopo l’altro, i sondaggi nazionali indicano che Trump, sulla cresta dell’onda, è vicino, se non davanti, alla Clinton nelle intenzioni di voto degli americani, in caso di scontro fra i due all’Election Day l’8 novembre: un rilevamento Reuters/Ipsos attribuisce all’ex first lady il 41% delle preferenze e al magnate dell’immobiliare il 40%, con un 19% d’indecisi. Però, l’oscillazione dei dati desta perplessità sull'attendibilità dei risultati:alla verifica precedente, Hillary era 13 punti avanti.

Magagne e contrasti, nemici di sempre e amici dell’ultim’ora
Non tutto fila liscio per Trump: ha contro Ryan, che non gli ha ancora assicurato sostegno, mentre ha dalla sua il leader del partito al Senato, Mitch McConnell.

Inoltre, il presidente Barack Obama ammonisce “la presidenza non è un reality”; la Cia è diffidente all’idea di spartire con lui in briefing riservati i suoi segreti come vuole la prassi; il tentativo di fare la pace con gli ispanici mangiando tacos il ‘5 de Mayo’ fallisce, anzi innesca nuove polemiche; e la giustizia a San Diego e a New York ha nel mirino la sua Università dell’immobiliare - a novembre, dopo il voto, dovrà testimoniare.

E lui, forse per svincolarsi dall’assedio delle magagne, dà un saggio di quel che sarà la sua campagna: attacca Hillary perché è la moglie - e la complice - di Bill, ‘abusatore di donne’.

Intorno a Trump, è un via vai di gente che tiene le distanze o sale sul carro del vincitore. Il magnate minaccia di chiedere la rimozione di Ryan dalla presidenza della convention di luglio, se lo speaker continuerà a negargli l’appoggio. Ma, intanto, i due Bush presidenti, George H. e George W., padre e figlio, come pure Jeb, e anche Romney e, forse, John McCain fanno sapere che, loro, a Cleveland non ci andranno.

Intanto, lo showman affida al suo ex rivale Chris Christie, governatore del New Jersey, il compito di guidare la transizione, in caso di elezione. Christie, fra i primi notabili repubblicani a schierarsi con il magnate, dovrà cioè facilitare l’insediamento alla Casa Bianca e l’avvicendamento dello staff. Cruz non esclude un ticket con il magnate, Rick Perry si propone come vice, mentre Rubio, Kasich e altri rivali battuti ostentano distacco.

Dalla parte di Trump, continua ad esserci Sarah Palin, candidata alla vice-presidenza nel 2008, e critica dei critici dello showman - Ryan agirebbe solo per calcolo personale, volendosi candidare nel 2020 -, e s’è pure schierato Dick Cheney, il vice di Bush 2.

La volta delle prime volte 
Se il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà ancora un democratico, sarà una donna, la prima, dopo che Barack Obama è stato il primo nero. Se sarà un repubblicano, sarà per la prima volta una persona che non ha mai affrontato un’elezione né gestito un ufficio pubblico.

Nell’Election Day, saranno di fronte due personalità e due vissuti profondamente diversi: una donna politica d’enorme esperienza, che è stata first lady, senatrice, candidata alla nomination nel 2008, segretario di Stato; e un imprenditore di successo senza esperienza politica, anzi un campione dell’anti-politica; una donna che non piace alle femministe e un uomo che spesso insulta le donne; una che pesa le parole e uno che si vanta di non farlo.

Per motivi diversi, entrambi sono a rischio d’inciampare in scheletri che escano dall’armadio o d’essere invischiati in inchieste sul loro operato: Hillary, ad esempio, per l’uso di mail private quand’era segretario di Stato; Donald per le disavventure dell’Università.

Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello IAI.
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USA: sempre più verso il Pacifico

Disarmo
Obama a Hiroshima, pellegrinaggio senza scuse
Carlo Trezza
23/05/2016
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Obama in Giappone, per il G7, ma non solo. Nella sua agenda, quella che spicca è la visita a Hiroshima, una delle tappe più importanti del percorso da lui intrapreso sulla questione delle armi nucleari.

L'obiettivo dichiarato di giungere a un mondo privo di armi atomiche costituì una priorità sin dai tempi della sua campagna elettorale e trovò forti sostegni politici sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo.

Basti ricordare la lettera al Wall Street Journal in cui quattro eminenti ex ministri degli esteri e difesa e senatori, due democratici e due repubblicani (Nunn, Perry, Kissinger e Schultz) si schierarono a favore di tale principio già prima dell’insediamento di Obama. Seguirono analoghi sostegni da parte di personalità di spicco dei principali paesi europei, Italia compresa (D'Alema, Calogero, Fini, La Malfa, Parisi).

Verso passi concreti
Da slogan elettorale, il concetto di un mondo privo dell'atomica si tradusse in programma di Governo in occasione dello storico discorso tenuto dal Presidente al Castello di Praga nell'aprile 2009.

Tra i vari punti enunciati figuravano passi concreti quali la ratifica americana del trattato che proibisce gli esperimenti nucleari, Ctbt, la messa al bando della produzione del materiale per le bombe nucleari, Fmct, un nuovo trattato per ridurre le testate nucleari russe e americane, la creazione di una banca internazionale del combustibile per le centrali nucleari, l'apertura al dialogo sul nucleare iraniano, il rafforzamento del trattato di non proliferazione e della sicurezza nucleare. A gran parte di questo programma è stato dato un seguito.

La sicurezza nucleare si è rafforzata nel quadro di quattro vertici celebrati al massimo livello, il Trattato Nuovo Start ha condotto a ulteriori riduzioni di testate russe e americane, la Conferenza del Tnp del 2010 è stata un successo, il programma nucleare iraniano è stato congelato.

Resistenze al disarmo
Rimangono tuttavia incompiuti alcuni impegni importanti. La ratifica americana del Ctbt non ha nessuna possibilità di essere approvata, prima del termine del mandato presidenziale, da un Congresso ostile al Presidente. L'avvio di un negoziato Fmct rimane tuttora bloccato alla Conferenza del Disarmo di Ginevra.

La questione nucleare coreana si è incancrenita. Per ottenere l'assenso del Senato alla ratifica Nuovo Start, Obama ha dovuto pagare un alto prezzo proprio in termini di aumento delle risorse dedicate all'ammodernamento dell'arsenale nucleare americano.

Tra gli impegni di Praga più direttamente collegati con la imminente visita a Hiroshima, figura quello di "ricercare la pace e la sicurezza di un mondo privo di armi nucleari" e la "riduzione del ruolo delle armi nucleari nella strategia di sicurezza americana". Si tratta di impegni nei quali egli può legittimamente rivendicare alcuni passi in avanti: ad esempio la riduzione dei casi in cui l'America risponderebbe con l'arma nucleare qualora subisse un attacco. Molto spesso Obama si è trovato solo a promuovere queste campagne.

Le responsabilità morali di agire, ieri e oggi
Ma il collegamento più forte con la visita a Hiroshima è il passaggio del programma enunciato a Praga in cui si afferma che, come unico paese nucleare ad aver impiegato le armi nucleari, gli Stati Uniti hanno la responsabilità morale di agire("as the only nuclear power to have used a nuclear weapon, the United States has a moral responsibility to act"). Non vi sono precedenti di dichiarazioni simili di alcun titolare della Casa Bianca, né si è trattato di un gesto di mera circostanza.

Al discorso è infatti seguito un crescendo di attenzioni verso la questione dei bombardamenti delle due città giapponesi e verso le loro commemorazioni annuali che non poteva che essere pilotato dalla Casa Bianca e che culmina ora con questa storica e coraggiosa visita presidenziale.

È stato già preannunciato che non si tratterà di un "mea culpa", né sono prevedibili gesti paragonabili all'inginocchiamento di Willy Brandt di fronte al ghetto di Varsavia. Occorrerà seguire comunque con attenzione la sostanza e la gestualità dell'evento per poter trarne delle conclusioni. Si riaprirà in ogni caso il dibattito sulle passate responsabilità e sulla necessità, come si sostiene nella storiografia ufficiale, di distruggere le due città al fine di accelerare la conclusione del secondo conflitto mondiale.

Chiunque si rechi a visitare le due città distrutte non può in buona fede disconoscere la legittimità del concetto, attualmente fortemente dibattuto e spesso contestato dalle potenze nucleari, delle "conseguenze catastrofiche dell'uso dell' arma nucleare".

L’anno scorso non è andato in porto il tentativo di far convergere verso Hiroshima o Nagasaki i massimi leader politici e spirituali in occasione del settantesimo anniversario dei bombardamenti. Il fatto che tale pellegrinaggio venga fatto ora individualmente dal Capo di Stato della maggiore potenza nucleare assume dunque un alto rilievo simbolico e apre la strada a una maggiore presa di coscienza della drammatica questione dell'arma atomica, soprattutto da parte dei maggiori dirigenti internazionali.

L'Ambasciatore Carlo Trezza, Presidente uscente del Missile Technology Control Regime, è stato Presidente dell'Advisory Board di Ban Ki moon per gli Affari del Disarmo e Presidente della Conferenza del Disarmo.
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mercoledì 11 maggio 2016

Brasile: acque sempre agitate

America Latina
Brasile, il vento contagioso del dopo Dilma
Ilaria Masiero
21/05/2016
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Ore contate per Dilma Rousseff. Dallo scorso 12 maggio la presidente brasiliana è sospesa dall’incarico per 180 giorni, durante i quali si svolgerà il processo di impeachment nei suoi confronti.

Nel frattempo, la Rousseff è sostituita ad interim dal suo vice ed ex-alleato, Michel Temer. Nonostante il processo ufficiale sia appena cominciato, il destino della Rousseff sembra segnato. In questo caso, Temer resterà in carica fino alle prossime elezioni, nel 2018.

L’allontanamento della presidente conclude bruscamente i 13 anni ininterrotti di governo del Partidodos Trabalhadores (o Pt) - il partito di sinistra di cui la Rousseff e il suo predecessore, Luiz Inácio Lula da Silva, sono esponenti - e può dare una scossa notevole all’economia brasiliana così come agli equilibri politici regionali.

Opportunità per l’economia
Temer, del partito centrista Pmdb (Partito del Movimento democratico brasiliano), ha scelto una équipe economica con tutte le carte in regola, a partire dal nuovo ministro dell’Economia, Henrique Meirelles - governatore della Banca centrale fino al 2010 ed ex-direttore della statunitense Bank Boston - e dal nuovo governatore della Banca centrale, Ilan Goldfajn - già capo-economista della principale banca privata brasiliana e dottore presso la prestigiosa università statunitense Mit.

La speranza è che questi rispettati professionisti siano in grado di contrastare la spirale degenerativa in cui il Brasile sembra intrappolato, con un deficit di bilancio che supera il 10% del Pil, inflazione e disoccupazione al 10% e il Pil in caduta libera (-3,8% nel 2015).

Il nuovo governo sembra orientato verso un approccio meno interventista e più liberale rispetto al precedente. L’agenda di Meirelles prevede il contenimento del debito pubblico (attraverso tagli alla spesa, privatizzazioni e concessioni per le infrastrutture), la riforma delle pensioni e del lavoro e la garanzia di una maggiore autonomia alla Banca centrale.

In contrasto con l’immobilismo degli ultimi tempi, il nuovo governo non ha perso un attimo: nella prima settimana, il numero di ministeri è passato da 32 a 23 e sono stati mandati a casa in media più di cento funzionari al giorno. Inoltre, si è già aperto il tavolo con i sindacati sulla riforma delle pensioni. Tutto sommato, il governo Temer parte ben intenzionato e ben equipaggiato - ma la strada è lunga.

L’interpretazione golpista dei paesi bolivariani
La fine della presidenza Rousseff e la preannunciata svolta in direzione pro-mercato del governo Temer si ripercuoteranno sugli equilibri politici dell’America Latina e, dopo quasi vent’anni di successi dei candidati di sinistra, la regione potrebbe spostarsi su posizioni più centriste e liberali.

La vittoria di Lula in Brasile, nel 2003, ha fortemente contribuito alla “svolta a sinistra” dell’America Latina - iniziata nel 1998, con la vittoria di Hugo Chavez in Venezuela. Come il Brasile, è il più grande paese della regione in termini di popolazione, territorio e Pil, così il Pt è il partito social-democratico più influente della zona, e ha rappresentato un importante punto di riferimento e alleato internazionale per i governi socialisti/populisti che si sono via via instaurati in America Latina.

Non a caso, i cosiddetti “paesi bolivariani” (Venezuela, Cuba, Bolivia, Ecuador e Nicaragua), tradizionali alleati del Pt, hanno usato toni per nulla moderati nell’additare l’impeachment come un colpo di stato e dichiarare la loro ostilità al governo Temer, considerato illegittimo.

Anche Maduro trema
In particolare, il capo di stato del Venezuela, Nicolás Maduro, in cerca di vie di fuga per evitare la possibile destituzione per referendum popolare, ha sfruttato l’occasione per dichiarare lo stato di emergenza come mezzo necessario a fronteggiare le presunte trame golpiste orchestrate dagli Stati Uniti e di cui il Brasile sarebbe stato vittima, complice lo stesso Temer.

L’asse socialista/populista latino-americano ha già subito un duro colpo lo scorso dicembre, quando il liberale Mauricio Macri ha sostituito la populista Cristina Fernández de Kirchner alla presidenza dell’Argentina - un’altra tra le maggiori economie della regione. Di nuovo, non è un caso che questo paese sia stato uno dei primi a riconoscere il nuovo governo brasiliano.

Svolta liberista per l’America Latina?
Il governo centrista di Temer sembra intenzionato a porre fine al sostegno diplomatico e talvolta economico di cui i governi socialisti/populisti della regione, anche i più estremi, hanno finora approfittato. Alcuni passi in questa direzione sono già stati fatti dal nuovo ministro degli Esteri, José Serra, che non ha usato mezzi termini nel rispondere alle accuse dei governi bolivariani e ha avvisato che d’ora in avanti la diplomazia sarà uniformata agli interessi dello Stato e non a quelli di un partito. Serra ha inoltre indicato l’Argentina come partner preferenziale in America Latina.

Se il Brasile del Pt ha fatto da perno nella svolta a sinistra dell’America Latina, il paese che esce dall’impeachment potrebbe sbilanciare l’asse politico regionale verso posizioni più liberali. Una piccola spinta in tal senso verrà dalla ridefinizione delle precedenti alleanze internazionali. Di tutt’altra portata sarà la scossa se il governo Temer riuscirà nella sua impresa, mostrando ai suoi vicini che la strada per una economia più aperta e sostenibile è dietro l’angolo.

Ilaria Masiero è laureata in Discipline Economiche e Sociali e dottoranda in Economia presso la Fundação Getulio Vargas di San Paolo.
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lunedì 2 maggio 2016

Brasile: crisi presidenziale

Brasile
Dilma con le valigie in mano
Ilaria Masiero
02/05/2016
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La domenica pomeriggio in Brasile è fatta di birra gelata, carne grigliata e calcio. Il 17 aprile però è stata una domenica parzialmente atipica in quanto, boccale e spiedino alla mano, il paese ha cambiato canale per assistere alla stesura della propria storia: la Camera dei Deputati, con 367 voti a favore, 137 contro e nove tra assenti e astenuti, ha autorizzato l’apertura di un processo di impeachment contro la presidente Dilma Rousseff.

Impeachment: come, quando, perché
Per i casi di impeachment la Costituzione brasiliana prevede un iter lungo e articolato, complicato anche dall’inesperienza in materia delle istituzioni che solo una volta, nel 1992,hanno portato a termine tale processo.

Il calvario della Rousseff è iniziato nel dicembre 2015, quando il presidente della Camera Eduardo Cunha, esponente del partito centrista Pmdb (Partito del movimento democratico brasiliano) e nemico di lunga data della Presidente, ha accettato di analizzare la mozione di impeachment presentata da tre cittadini.

Superato il vaglio della Camera il 17 aprile, la palla è passata al Senato che deve decidere (a maggioranza semplice) se confermare l’apertura del processo contro la Presidente. Il voto è atteso a inizio maggio, ma la vittoria del fronte anti-Rousseff è già data per scontata.

Una volta che il processo sia stato ufficialmente instaurato, la Presidente sarà sostituita dal suo vice, Michel Temer del Pmdb, per 180 giorni, al termine dei quali il Senato deciderà sull’impeachment in via definitiva (con maggioranza di due terzi). Se la Rousseff verrà condannata, sarà Temer a portare a termine il mandato presidenziale, fino alle elezioni del 2018.

Le accuse ufficiali alla base della mozione di impeachment vertono su questioni di improbità amministrativa: la Presidente avrebbe truccato il bilancio dello Stato per nascondere l’allarmante situazione dei conti pubblici. Tuttavia, non è ovvio che le astuzie contabili a cui la Rousseff avrebbe fatto ricorso siano sucettibili di motivare un procedimento di impeachment e su entrambi i fronti è diffusa l’opinione (più o meno palesata) che si tratti più che altro di un cavillo per allontanare la Presidente anzitempo.

Questo forse spiega perché, durante la votazione per appello nominale alla Camera dei Deputati, se da un lato i fedelissimi della Presidente gridavano al golpe, dall’altro i deputati pro-impeachment si sono ben guardati dall’entrare nel merito delle accuse, profondendosi invece in saluti e dediche stravaganti - chi alla mamma, chi al partner, chi al cane.

Temer, missione (quasi) impossibile
L’uscita di scena della Rousseff, prima per i 180 giorni di rito e poi in via definitiva, appare ad oggi lo scenario più probabile. In questo caso, il mandato presidenziale passerà a Temer.

Se e quando riceverà l’incarico, Temer si imbarcherà in una missione quasi impossibile. La formazione di un nuovo governo, già di per sé impresa ardua, sarà complicata dalle ripercussioni dello scandalo Lava Jato, il più grande schema di corruzione della storia del Brasile, nel quale sono indagati 21 deputati tra cui alcuni esponenti del Pmdb – lo stesso Temer è sospettato di aver usato denaro sporco per finanziare la sua campagna elettorale.

Per giunta, l’attività del nuovo governo sarà ostacolata dai parlamentari del partito della Rousseff, il Partito dei Lavoratori, e dai loro fedeli alleati che hanno già annunciato ostruzionismo a oltranza. In questa cornice infausta, Temer dovrà portare a termine una combinazione di tagli alla spesa pubblica e aumento delle imposte - pillola tanto necessaria quanto amara - per contrastare il deficit di bilancio, schizzato dal 2,4% al 10,8% del Pil durante la presidenza Rousseff.

D’altro canto, si prevede che l’impeachment stimolerà la fiducia di cittadini e investitori nel breve periodo, alleviando leggermente la situazione economica: gli analisti stimano che quest’anno il Pil brasiliano diminuirà del 3-4% con Temer al potere, mentre, se l’impeachment dovesse fallire, potrebbe sprofondare fino al -6%. La speranza è che l’eventuale nuovo governo sappia approfittare di questo soffio di fiducia per avviare le riforme necessarie e riportare il paese sulla via della crescita nel medio termine.

L’opportunità del “come fai, sbagli”
Temer riuscirà nell’impresa? È presto per fare previsioni. Una cosa, però, si può dire. In caso di condanna della Rousseff, il governo che nascerà dalle ceneri dell’impeachment si troverà, agli occhi degli elettori, nella peculiare condizione del “come fai, sbagli”.

Se - come auspicabile - Temer riuscirà ad avviare le riforme, il popolo lo detesterà nell’immediato e con ogni probabilità non gliene riconoscerà il merito nel medio periodo. In caso contrario, il Paese (e la comunità internazionale) ne disdegneranno l’immobilismo.

Questa sentenza di quasi certa morte politica solleva in qualche modo il governo dall’affanno di distribuire contentini effimeri (e cari) per procacciarsi voti alle prossime elezioni, e dà a Temer e alla sua squadra i giusti (meno sbagliati) incentivi a fare il bene del Brasile, per davvero. E allora sì che il Paese gliene sarà grato - nei libri di storia, s’intende.

Ilaria Masiero è laureata in Discipline Economiche e Sociali e dottoranda in Economia presso la Fundação Getulio Vargas di San Paolo.
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