Master 1° Livello

MASTER DI I LIVELLO

POLITICA MILITARE COMPARATA DAL 1945 AD OGGI

Dottrina, Strategia, Armamenti

Obiettivi e sbocchi professionali

Approfondimenti specifici caratterizzanti le peculiari situazioni al fine di fornire un approccio interdisciplinare alle relazioni internazionali dal punto di vista della politica militare, sia nazionale che comparata. Integrazione e perfezionamento della propria preparazione sia generale che professionale dal punto di vista culturale, scientifico e tecnico per l’area di interesse.

Destinatari e Requisiti

Appartenenti alle Forze Armate, appartenenti alle Forze dell’Ordine, Insegnanti di Scuola Media Superiore, Funzionari Pubblici e del Ministero degli Esteri, Funzionari della Industria della Difesa, Soci e simpatizzanti dell’Istituto del Nastro Azzurro, dell’UNUCI, delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, Cultori della Materia (Strategia, Arte Militare, Armamenti), giovani analisti specializzandi comparto geostrategico, procurement ed industria della Difesa.

Durata e CFU

1500 – 60 CFU. Seminari facoltativi extra Master. Conferenze facoltative su materie di indirizzo. Visite facoltative a industrie della Difesa. Case Study. Elettronic Warfare (a cura di Eletronic Goup –Roma). Attività facoltativa post master

Durata e CFU

Il Master si svolgerà in modalità e-learnig con Piattaforma 24h/24h

Costi ed agevolazioni

Euro 1500 (suddivise in due rate); Euro 1100 per le seguenti categorie:

Laureati UNICUANO, Militari, Insegnanti, Funzionari Pubblici, Forze dell’Ordine

Soci dell’Istituto del Nastro Azzurro, Soci dell’UNUCI

Possibilità postmaster

Le tesi meritevoli saranno pubblicate sulla rivista “QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO”

Possibilità di collaborazione e ricerca presso il CESVAM.

Conferimento ai militari decorati dell’Emblema Araldico

Conferimento ai più meritevoli dell’Attestato di Benemerenza dell’Istituto del Nastro Azzurro

Possibilità di partecipazione, a convenzione, ai progetti del CESVAM

Accredito presso i principali Istituti ed Enti con cui il CESVAM collabora

Contatti

06 456 783 dal lunedi al venerdi 09,30 – 17,30 unicusano@master

Direttore del Master: Lunedi 10,00 -12,30 -- 14,30 -16

ISTITUTO DEL NASTROAZZURRO UNIVERSITA’ NICCOL0’ CUSANO

CESVAM – Centro Studi sul Valore Militare www.unicusano.it/master

www.cesvam.org - email:didattica.cesvam@istitutonastroazzurro.org

America

Traduzione

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America Centrale

America Centrale

Medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 su questo stesso blog seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo
adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità dello
Stato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento a questo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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mercoledì 30 dicembre 2009

N. 4 Il Sistema di calcolo

Il Sistema di calcolo è descritto nella Pubblicazione del Lavoto di Gruppo della 5 Sezione della 57sessione dello I.A.S.D. del C.A.S.D.
ulteriori informazioni alla e mail 57sessione@libero.it

Nota 3 Il rapporto tra i fattori di squilibro e le capacità dello Stato

La sottonotata abella mette in relazione le capacità che uno Stato ha e i fattori di squilibrio che possono intaccare tale capacità, determinato lo scenario riferito al predetto Stato


CAPACITA' DELLO STATO FATTORI DI SQUILIBRIO

Sicurezza
1. Fattore storico: conflitti
2. Paesi limitrofi in conflitto
3. Rifugiati
4. Disoccupazione
5. Sfruttamento petrolio/oro/diamanti
6. Area geografica
7. Area forestale
Coesione Sociale
8.Fazioni etniche/religiose
9. Movimenti interni di strati della popolazione
Governo
10. Regime politico
11. “Nuovi Stati” con formazione instabile
12. Corruzione
Capacità Economica

13. PNL pro-capite
14. Crescita economica
15. Forza lavoro in agricoltura
16. Aiuto estero
17. HIV/AIDS
18. Spesa militare
19. Disastri naturali
20. Isolamento geografico
Sviluppo Sociale
21. Indice di sviluppo umano
22. Popolazione
23. Crescita demografica

Nota 2 La parametrazione delle Capacita dello Stato

Per affrontare con successo le sfide rappresentate dall’instabilità, risulta necessario comprendere con quali meccanismi si realizzano l’instabilità politica, la recessione economica e le situazioni conflittuali.
Anche se ciascun Paese ha le proprie specificità, ciascun conflitto le proprie caratteristiche peculiari e ciascuna crisi economica le proprie connotazioni, il presente lavoro ha tentato di rappresentare la situazione del continente in esame attraverso la quantificazione di un sufficiente numero di parametri rappresentavi.
Sono di seguito esaminati i fattori di squilibrio che interagiscono “in feedback” con la capacità dello Stato, sia direttamente che indirettamente; in tale ottica, la comprensione di tali fattori è premessa indispensabile per la corretta individuazione della dinamica evolutiva del Paese in esame in termini di instabilità/stabilità/sviluppo.
(1) Fattore storico: conflitti

Gran parte delle cause scatenanti di un conflitto permangono all’interno del Paese dove si è verificato anche dopo la sua conclusione. In effetti, Paesi che escono da un conflitto corrono il rischio, nella misura del 30%, che il conflitto si ripresenti nei cinque anni successivi alla sua conclusione. Inoltre, la stabilizzazione di uno Stato è un processo che può essere considerato concluso con successo soltanto quando lo stato riesce ad evitare il verificarsi di conflitti per un periodo di dieci anni o più.
La possibilità che un precedente conflitto possa innescarne un successivo è legata all’indebolimento delle istituzioni, all’impoverimento del Paese, al degrado delle strutture produttive. Questi fattori incrementano la dipendenza del Paese dalle risorse naturali e da attività illegali o sommerse e possono, inoltre, aggravare le condizioni interne di disuguaglianza, esacerbare gli animi per le atrocità e le perdite subite dalle fazioni in lotta.
Gli Stati non agiscono come entità isolate, ma alcuni fattori esterni, ed in particolare la presenza di un violento conflitto negli Stati limitrofi, possono esercitare una notevole influenza sulla stabilità politica di un Paese, in quanto tale situazione conflittuale può diventare un fattore destabilizzante, che può determinare un elevato rischio di crisi economica nel Paese in esame o trascinarlo nel conflitto. Come si è verificato per i conflitti nell’Africa Centrale, nell’Africa Occidentale e nel Corno d’Africa, che hanno tutti le caratteristiche di conflitti regionali.
a. Una nuova sfida per le capacità di uno Stato è rappresentata dai fenomeni transnazionali di natura violenta quali traffico di armi, droga, risorse preziose, criminalità organizzata, gruppi armati, gruppi terroristici, NGO, rifugiati. L’incapacità dello Sato di reagire a tale tipo di minacce può condurre alla diffusione di situazioni conflittuali nell’intera area regionale interessata.
b. Tali conflitti regionali hanno le caratteristiche di vere e proprie guerre civili che interessano realtà locali, provinciali, nazionali e regionali senza tener conto delle frontiere. Gruppi transfrontalieri, vicini ostili ed economie sommerse possono ugualmente determinare l’instaurarsi di situazioni conflittuali.
c. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) - stima che nel dicembre 2004 si contava un numero globale di 9,2 milioni di rifugiati, circa 2,8 milioni (31%) collocati in Africa.

Bassi livelli occupazionali comportano l’assenza di opportunità economiche
e possono determinare contraddizioni sociali, che creano condizioni favorevoli per l’affermarsi di potenziali ribelli, in una società che non possiede gli strumenti idonei per dissuaderli dall’uso della violenza.
(5) Sfruttamento di petrolio, oro e diamanti (materie prime strategiche)
L’analisi dei conflitti ha rivelato che il petrolio, i minerali preziosi e la droga possono essere associati allo scatenarsi o al prolungarsi di un conflitto, con modalità e meccanismi differenti:
- il petrolio può determinare conflitti per cambiare il governo o esercitare il controllo di una parte del territorio (ad esempio Angola, Nigeria, Sudan);
- l’oro e le pietre preziose possono essere associati al perdurare di conflitti in atto (ad esempio Angola, R. D. del Congo, Sierra Leone).
Ma occorre evidenziare la notevole influenza esercitata dal regime politico nei confronti delle risorse naturali che possono assumere il ruolo di Fattore di Squilibrio.
Infatti, l’effetto perverso dello sfruttamento del petrolio si verifica principalmente in regimi non democratici, dove la partecipazione politica è scarsa, il controllo dell’esecutivo è debole e la possibilità d’innescarsi di meccanismi perversi nella distribuzione del reddito da esso derivante è molto elevata. Un’altra conseguenza perversa è che il governo può ricorrere a sistemi più autoritari e perfino alla repressione per proteggere le risorse, acuendo le contraddizioni e causando molte vittime.
Angola, Nigeria e Sudan non hanno un regime democratico e si annoverano tra i Pesi più corrotti del mondo.
In Angola, dal 1975, nella regione di Cabinda, ricca di petrolio, si oppongono al governo gruppi armati separatisti in un conflitto che ha già fatto 3.500 vittime. I separatisti accusano il governo di non migliorare le condizioni di vita degli abitanti di Cabinda con il ricavato del petrolio.
In Nigeria, dal 1997, nella regione del Delta del Niger, l’esercito governativo e le forze di polizia si scontrano con numerose milizie armate. Queste ultime combattono per i diritti delle comunità locali per una partecipazione migliore ai proventi dello sfruttamento petrolifero.
Nel Sudan, dal 2003 gruppi armati in Darfur si ribellano contro il governo, che accusano di non fare abbastanza per la popolazione locale. Il territorio del Darfur, con un’estensione pari a quella della Francia, è la principale risorsa contesa tra le parti in conflitto. Comunque non sia stata ancora provata la presenza di petrolio nel sottosuolo, si sospetta che il motivo principale del conflitto sia proprio dovuto ai potenziali giacimenti energetici della regione che, secondo analisti, il governo vorrebbe sfruttare senza dividere i proventi con la popolazione locale. Il conflitto ha fatto ben 60.000 vittime.
L’effetto perverso dello sfruttamento dei minerali preziosi si è verificato in maniera evidente nella R. D. Del Congo. Dal 1996 movimenti indipendentisti finanziati con il ricavato dei giacimenti minerari (diamanti, oro) hanno continuamente tentato la secessione della regione del Katanga dal governo centrale, in un conflitto che ha già fatto ben 1.500.000 vittime. Il governo autocratico, per sua volta, è accusato di continua violazione dei diritti umani e di una dilagante corruzione. Secondo analisti dell’ONU, il rapporto tra il commercio di armi e lo sfruttamento delle notevoli risorse minerarie congolesi è strettissimo. Gli stessi esperti hanno evidenziato che finché il governo congolese non avrà uno stretto controllo dello sfruttamento del settore minerario “sarà impossibile assicurare la pace e la sicurezza nel Paese”.
d. Continuando con i diamanti, Sierra Leone e Botswana sono diventati grandi esportatori di questa ricchezza; in Botswana, in presenza di un governo democratico con istituzioni efficienti, lo sfruttamento di diamanti è associato ad un controllo efficace, ad una destinazione dei renditi ottenuti verso lo sviluppo socio-economico dello intero Paese ed a un’assenza di conflitti; in Sierra Leone la stessa disponibilità, in presenza di regimi instabili, è associata allo sfruttamento illegale dei giacimenti di diamanti ed al sostegno di conflitti, a punto tale che, il 5 Luglio 2000, di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il rappresentante della Sierra Leone ha dichiarato: “La radice del conflitto è e rimane i diamanti, i diamanti, i diamanti” (il conflitto in Sierra Leone si è protratto per 10 anni, dal 1991 al 2001, ed ha causato 25.000 vittime).
e. Tali elementi sono stati presi in considerazione nella valutazione dello Fattore di Squilibrio in riferimento. Ghana, Namibia e Sudafrica, che hanno regime democratico associato ad una assenza di conflitti, la disponibilità notevole di oro o diamanti, non è stata considerata come Fattore di Squilibrio.
(6) Area geografica
Più ampio è il territorio più complesse le problematiche legate alla gestione dello stesso.
L’area coperta da foreste costituisce un fattore tendente ad incrementare le problematiche legate al controllo del territorio.
Il concetto di discriminazione fornisce un ausilio per comprendere la correlazione tra conflitti e instabilità politica. Quanto meno il sistema è tollerante nei confronti di una società multi-etnica e multi-religiosa tanto più è alta la probabilità che si verifichino condizioni d’instabilità sociale. Due indicatori sono sintomatici di questo aspetto:
- la connotazione etnica/religiosa di una elite in una società eterogenea;
- l’esistenza di polizie pubbliche che agiscono in maniera discriminatoria nei confronti di alcuni gruppi.
Nel 2003, una ricerca dell’University of Maryland’s Center for International Development & Conflict Management (CIDCM) ha individuato 31 Stati africani con minoranze etniche/religiose a rischio di azioni discriminatorie da parte del governo o di altri settori della società. Nove Stati (Angola, Burundi, Camerun, R.D. del Congo, Nigeria, Senegal, Sudan, Uganda e Zimbabwe) presentano la situazione di rischio più elevato.
Confermando tale ricerca, ai contrasti di natura etnica sono attribuiti i conflitti in Burundi, Nigeria, R.D.del Congo e Sudan.
“Internally displaced persons” (IDPs) sono civili, soprattutto donne e bambini, che sono stati costretti ad abbandonare le loro case per cercare la sicurezza, spesso a causa di persecuzioni. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) stima che si contano circa 25 milioni di IDPs in 50 Paesi. La metà del totale è in Africa.
L’analisi effettuata prende in considerazione tre tipi di regime politico: democrazia, “anocracy”[1] e autocrazia.
Si intende per “anocracy” un regime politico che non risulti né completamente democratico né completamente autocratico, essa comporta l’instaurazione di sistemi di governo variamente “ibridi” in Paesi caratterizzati da una fase di transizione verso la democrazia. Alcuni Paesi, come Messico, Nicaragua, Senegal, e Taiwan, sono riusciti a creare un regime democratico uscendo da una fase autocratica attraverso l’“anocracy”. Un certo numero di Paesi africani, Burkina Faso, Gibuti, Guinea, e Tanzania, ha dato l’avvio recentemente ad una cauta transizione verso una maggiore apertura dei propri regimi politici,.
I tre tipi di regime già menzionati sono stati analizzati in base alle relative istituzioni politiche, in particolare:
- le modalità di selezione della classe dirigente (per esempio: elezione, colpi di Stato, successione ereditaria);
- le pressioni esercitate sul ruolo dell’élites (per esempio: controlli forniti dal potere legislativo e giudiziario);
- il livello di coinvolgimento del popolo nel processo politico (per esempio: tramite i partiti politici);
- il livello di accesso della popolazione al potere politico (per esempio: il livello di rappresentanza delle minoranze);
- la neutralità e la professionalità dell’apparato burocratico.
Il controllo dell’esecutivo e la partecipazione della popolazione alle istituzioni hanno un consistente e positivo effetto sulla stabilità politica. Se l’esecutivo è controllato da altri livelli governativi e se la competizione politica è istituzionalizzata ed efficace, l’instabilità politica è notevolmente bassa.
In assenza di controlli sull’esecutivo e di effettiva partecipazione della popolazione alle istituzioni, anche in un contesto di notevole crescita, l’instabilità è notevole.
In democrazia questi fattori tendono ad esaltarsi reciprocamente. Attraverso le elezioni ed i partiti politici la popolazione è coinvolta nella scelta della classe dirigente, il cui potere è limitato dalla legge, dall’operato di una burocrazia autonoma e dalle iniziative degli altri organi dello Stato.
Nell’autocrazia la partecipazione è limitata ad una ristretta élite che sceglie l’esecutivo, rimuovendo le eventuali limitazioni al relativo potere, impiegando la burocrazia in funzione strumentale, favorendo il clientelismo ed l’assegnazione mirata delle risorse.
La labilità delle istituzioni rende le “anocracies” meno stabili e resistenti. In presenza di un sistema parzialmente democratico, con scarsi controlli sull’esecutivo e modesta partecipazione popolare, l’instabilità politica è circa 10 volte superiore a quella associata a fattori socio-economici (mortalità infantile, mercati chiusi, ecc.) : ciò è frequente in Africa.
In Africa (e nel resto del mondo), le “anocracies” sono spesso prossime alla crisi completa dello Stato. Le libere elezioni per un presidente o per un primo ministro non sono sufficienti a garantire una piena democrazia, infatti le elezioni possono essere di per se pericolose. Forti controlli sulla classe dirigente e /o la regolare partecipazione popolare sono necessarie per creare stabilità.
Dunque i Paesi completamente democratici sono più stabili; i sistemi autocratici, particolarmente nei Paesi con bassi livelli di reddito, sono relativamente stabili; le “anocracies” sono esposte ad un più alto rischio di instabilità.
La storia politica e sociale di un Paese ha importanti implicazioni sulla stabilità con particolare riferimento ai modelli politici del passato ed alle fasi di transizione da un regime ad un altro. Inoltre, l'età delle istituzioni può avere un effetto di legittimazione; la durata di un regime è stata spesso collegata alla stabilità e alle garanzie istituzionali. L'ottimismo che ha sostenuto il processo di decolonizzazione nel continente africano, dopo la seconda guerra mondiale, non ha tenuto nella giusta considerazione l’immaturità istituzionale dei “Nuovi Stati”. Guardando al rapporto tra legittimità statale e sviluppo in Africa, non sempre questi “Nuovi Stati” sono scaturiti da processi evolutivi radicati nella storia del Paese, risultando privi di legittimità e di capacità ed esposti a varie forme dell'instabilità politica.
Nel continente africano, la stabilizzazione dei “Nuovi Stati”, che hanno sperimentato un periodo d’instabilità di formazione statale subito dopo l'indipendenza, si è rivelata difficile e più della metà di tutti questi Paesi (25 su 46) hanno raggiunto la stabilità soltanto dopo un periodo durato da quattro a trentacinque anni.
Del suddetto gruppo di 25, tre Paesi non hanno realizzato ancora la stabilità politica ed effettiva: Nigeria, Sudan, e l'Uganda.
La corruzione è riconosciuta, generalmente, come uno dei vincoli più seri allo sviluppo di società civili. In Africa la corruzione su vasta scala è una delle minacce più grandi alla sicurezza e sviluppo. Secondo il Trasparency International Corruption Perceptions Index 2005, su un elenco di 159 Stati valutati, tra i 50 Paesi più corrotti si annoverano ben 21 Paesi africani (circa metà dei Paesi del continente). Essi sono (in ordine decrescente per livello di corruzione): Ciad, Nigeria, Guinea Equatoriale, Costa d’Avorio, Angola, Sudan, Somalia, Kenya, R.D. del Congo, Liberia, Etiopia, Camerun, Congo, Burundi, Sierra Leone, Niger, Uganda, Libia, Zimbabwe, Zambia e Eritrea.
Oltre al fattore storico, uno dei più importanti motivi che conducono ad un conflitto violento è rappresentato da un basso valore del PNL pro-capite: più alto è il livello del PNL pro-capite, più basso il rischio che si verifichi un conflitto. e la storia dei conflitti.
Le democrazie sono relativamente fragili in economie povere, ma la probabilità che si verifichi una situazione di crisi si riduce notevolmente in presenza di livelli progressivamente più alti di sviluppo economico.
In media, un Paese con un PNL pro-capite pari a circa 250 US$ presenta un rischio del 15% di subire una guerra civile. Quando un Paese raggiunge un PNL pro-capite di circa 5000 US$, il rischio di guerra civile si riduce mediamente al di sotto del 1%.
Livelli bassi di PNL pro-capite sono associati a scarse capacità istituzionali; in particolare, ad una mancata capacità di risolvere i conflitti sociali con strumenti politici e giuridici piuttosto che con la violenza.
Ci sono molti altri meccanismi collegati a quanto sopra esposto:
- i governi dei Paesi più poveri hanno tipicamente redditi statali più bassi con i quali pacificare i potenziali oppositori;
- le istituzioni politiche dei Paesi più poveri possono essere sottodimensionate e meno efficaci.; sulla carta, le regole del gioco possono essere ben stabilite ed efficaci ma la loro applicazione può essere minata da politici, giudici, burocrati e poliziotti mal retribuiti o corrotti;
- ad una capacità statale contenuta potrebbe corrispondere una mancanza di forza militare e conseguentemente il governo non avrebbe alcun deterrente nei confronti di potenziali ribelli;
- Paesi più ricchi sono più in grado di soddisfare le necessità della popolazione, il che riduce le cause potenziali di contraddizioni sociali.
Con circa metà della popolazione che vive con meno di 1US$ al giorno, il continente africano rimane ai margini dello sviluppo economico mondiale risultando largamente influenzato dalla problematiche sinora esposte.
L'ONU divulga, dal 1971, l'elenco dei Paesi "Least Developed Countries" (LDCs) una categoria di Stati che sono ritenuti estremamente svantaggiato in un processo di sviluppo e che hanno bisogno di un grado più alto di attenzione da parte della comunità internazionale.
Il criterio usato dall'ONU per classificare i Paesi come LCD include come parametro il reddito basso quantificato come PNL pro-capite inferiore a US$ 750.

Uno degli elementi più critici nel panorama geoeconomico del continente africano è rappresentato dalla crescita economica.
A parere di alcuni studiosi, una crescita economica annua di almeno 8% potrebbe stabilire le condizioni necessarie per superare le eventuali situazioni di crisi.
Comunque, secondo la Banca Mondiale, l’indice di crescita economica nell’Africa Sub-sahariana, nel periodo 1975-2003, è risultato pari a -0,7%. Una dei motivi per questa recessione economica è la assoluta mancanza di sviluppo nel settore industriale. Per esempio, secondo l’United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD), il settore energetico è estremamente importante nella generazione dei capitali
In Africa, molti Paesi in via di sviluppo (Angola, Camerun, Ciad, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Nigeria, Sudan), benché abbiano una produzione considerevole di petrolio, non hanno comunque le risorse - umane o finanziarie - per sviluppare industrie legate al settore energetico. Solamente il 5% dei contratti per beni e servizi nel settore energetico sono appannaggio di società africane. La maggioranza dei progetti collegati alle infrastrutture per la produzione di energia è condotta da società straniere.
Gli Stati africani sono generalmente poveri, sottosviluppati ed eccessivamente dipendenti dall’ esportazione di materie prime (commodities come petrolio, minerali, cotone, cacao) verso i Paesi più sviluppati. Conseguentemente, lo scambio commerciale fra gli Stati africani è quasi inesistente, il settore produttivo è poco organizzato e la maggioranza della popolazioni rimane ai margini dell'economia.
Un sintomo di questa situazione è l’elevato indice di forza di lavoro impiegata in agricoltura, spesso con mero carattere di sussistenza. Finché permarrà uno stato generale di arretratezza dei settori produttivi e commerciali in molti Paesi africani, il cambiamento verso lo sviluppo e la democratizzazione sarà difficile da ottenere.
Quanto più elevato è la percentuale dell’aiuto estero nella formazione del Prodotto Nazionale Lordo di uno Stato, tanto più vulnerabile è la sua economia in ragione dell’eccessiva dipendenza da tale aiuto.
(17) HIV/AIDS (Malattia devastanti)
In Africa Sub-sahariana il tasso di infezione HIV/AIDS è il più alto del mondo, è la causa principale della morbosità e della mortalità nella regione e costituisce una minaccia anche per lo sviluppo economico.
Secondo l’Organizzazione Mondiale di Sanità, benché la regione abbia solamente il 10% della popolazione mondiale, in essa vive ben il 66% delle persone affette da HIV/AIDS in tutto il mondo (26,6 milioni su 40 milioni). HIIV/AIDS.
L'Africa Australe è una delle aree più critiche: tutti i 6 Paesi hanno tra 20 e 40% di popolazione affetta da HIV/AIDS.
Questo Fattore di Squilibrio trova la sua giustificazione considerando che, con particolare riferimento agli Stati africani più poveri, la destinazione di risorse per spese militari limita la possibilità di risolvere le problematiche socio-economiche.
I Paesi più poveri risultano essere più vulnerabili da shocks esterni sia a causa della loro ubicazione geografica (predisposizione a rischi naturali) sia per la struttura delle loro economie (la dipendenza da una ristretta serie di attività produttive e commerciali rende l’economia vulnerabile dalle oscillazioni del cambio). Secondo l’Organizzazione Mondiale di Sanità, la siccità ricorrente ha condotto all'insicurezza alimentare ed alla malnutrizione in larga scala nei Paesi del Corno d'Africa (Eritrea, Etiopia, Gibuti, Kenia, Somalia ed il Sudan).
La geografia può compromettere il commercio e l'integrazione economica: per esempio, un'ubicazione senza l’accesso al mare può condizionare il ricorso a mercati esterni e può impedire la crescita indotta dall’esportazione ed i trasferimenti di tecnologia.
L’ONU classifica i Paesi “Land-locked Developing Countrie”s (LLDCs) e “Small Island Developing States” (SIDS) come categorie di Stati che hanno il bisogno di maggiore attenzione da parte della comunità internazionale poichè affrontano particolari problemi, quali mancanza di infrastrutture, capacità istituzionali e produttive deboli, limitati mercati nazionali, notevole distanza dai principali mercati mondiali e alta vulnerabilità a shocks.
Dei 31 Stati classificati come LLCD, 15 sono africani: Botswana, Burkina Faso, Burundi, Centrafrica, Ciad, Etiopia, Lesotho, Malawi, Mali, Niger, Ruanda, Swaziland, Uganda, Zambia, Zimbabwe.
Sono stati classificati come SIDS 5 Stati africani: Capo Verde, Comore, Mauritius, Sao Tome e Principe, Seychelles.
L’indice dello sviluppo umano, calcolato dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), prende in considerazione la speranza di vita, l’alfabetizzazione della popolazione adulta, il grado di frequenza della popolazione ai diversi livelli scolastici ed il reddito pro-capite.
C'è una relazione tra livelli di istruzione e la stabilità di regimi democratici. Popolazioni più colte sono il miglior supporto delle democrazie.
Ciò suggerisce che l'instabilità politica nei Paesi africani è rilevante, correlata negativamente ai problemi generali della sicurezza sociale: la diffusione dell’ istruzione, la salute, i servizi sociali, gli investimenti in infrastrutture di base, l’espansione di moderne tecnologie per le comunicazioni e per l’informazione.
L’indice di sviluppo umano, divulgato dall’UNDP nel 2005, fa una classifica dei 177 Paesi nel mondo collocando negli ultimi 24 posti i seguenti Paesi africani: Kenya, Gambia, Guinea, Senegal, Nigeria, Ruanda, Angola, Eritrea, Benin, Costa d’Avorio, Tanzania, Malawi, Zambia, R. D. del Congo, Mozambico, Burundi, Etiopia, Centrafrica, Guinea-Bissau, Ciad, Mali, Burkina Faso, Sierra Leone, Niger.
Tale fattore tiene conto della difficoltà di gestire popolazioni numerose.
In molti Paesi africani la crescita economica non è riuscita a tenere ritmo con l’espansione demografica, col risultato che il reddito pro-capite è diminuito.
[1] Il termine inglese “Anocracy” può essere tradotto in italiano con il termine anocracy , in maniera letterale, oppure con il termine concettuale, con la parola “intercrazia”. Nell’uno e nel’altro caso sono termini non di uso comune e corrente, come democrazia e autocrazia. Si adotta, per questo lavoro, il termine inglese “anocracy” onde evitare possibili confusioni o male interpretazione, inviando per il termine“anocracy” alla definizione di cui sopra.

Nota 1. L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato.



L’individuazione di scenari di stabilità/instabilità/sviluppo richiede una metodologia per l’analisi di fattori politici, economici e sociali caratteristici dell’area in esame.
In particolare alcuni fattori sono sintomatici di uno scenario di instabilità, che può manifestarsi attraverso colpi di Stato, disgregazione delle istituzioni politiche, economiche e sociali, corruzione sistematica, malcontento pubblico su vasta scala, movimento non voluto di ampi strati della popolazione e violenti conflitti interni o internazionali.
Una delle cause di instabilità è riconducibile a regimi di transizione politica ed è esaltata dalla debolezza delle istituzioni interne. Un ulteriore fattore di rischio di instabilità è rappresentato da regimi privi di legittimazione interna o internazionale. L’instabilità può manifestarsi con diversi livelli di intensità nei paesi oggetto di analisi.
Ciascun Paese ha la sua specificità in termini di situazioni conflittuali e crisi economiche. Comunque lo sforzo analitico è stato concentrato nella ricerca di un numero sufficiente di parametri tra loro correlati per una rappresentazione oggettiva dei fattori di squilibrio che possono condurre e mantenere uno stato di crisi, che si manifesta in un conflitto violento, una stagnazione o recessione economica, forme di governo deboli, politicamente instabili e caratterizzate dal mancato controllo del territorio.

Nel presente blog i dati presentati sono finalizzati all’analisi e alla quantificazione dei parametri per rendere possibile un confronto oggettivo tra i vari Paesi dei continenteamericano, ma adattabile agli altri continenti.
Tali analisi è relativa ad un ampio campo di fattori comprendenti gli aspetti etnici, economici, geografici, sociali, demografici, governativi e storici.
-
Schema analitico degli scenari

Lo schema analitico degli scenari è articolato nella individuazione di una cornice di riferimento rappresentabile secondo lo schema riportato in figura, atto ad individuare i criteri di valutazione dello scenario del Paese in esame.
Tale impostazione tende a classificare i diversi fattori che concorrono alla individuazione di un determinato scenario, sia nel presente che proiettato in un presumibile futuro.
I fattori presi in esame sono essenzialmente i fattori di squilibrio e la loro internazione “in feedback” con gli elementi dello scenario cui l’analisi è rivolta.
Shocks: Disastri naturali, Crisi globale, Caduta prezzi, commodities
FATTORI ESTERNI
STABILIZZANTI
FATTORI DI SQUILIBRI

Capacità dello Stato
(resistenza agli squilibri e shocks)

§ Sicurezza
§ Coesione sociale
§ Governo
§ Capacità economica
§ Sviluppo Sociale
Scenario
Instabilità/Stabilità/Sviluppo
Circolo vizioso
Circolo virtuoso
Feedbackk
sono di seguito illustrati gli elementi caratteristici della capacità di un singolo Stato di reagire ai fattori di squilibrio:
Fattori di squilibrio
Possono essere originati da un processo di trasformazione interno del Paese in esame o come effetto di azioni od omissioni da parte della comunità internazionale, tali fattori sono generalmente di tipo strutturale e la loro gestione richiede una opportuna politica di contromisure e di investimenti nel lungo periodo.
Shocks
Sono i fattori di squilibrio più incalzanti ed imprevedibili e possono innescare instabilità in qualsiasi momento, esercitando una notevole pressione sulle capacità e resistenza del Paese.
Fattori esterni stabilizzanti
Sostengono la capacità e la resistenza del Paese, sono rappresentati dai grandi attori esterni coinvolti (Nazione Unite, Unione Europea, Unione Africana, Grande Potenze, Organizzazioni Regionali, altri Organizazioni Internazionali, ONG etc). L’individuazione del ruolo di questi grandi attori esterni sarà oggeto di analisi in un capitolo specifico.
Scenario
È il risultato della valutazione della intera Capacità dello Stato in termini di gestione della pressione esercitata dai fattori di squilibrio e dagli shocks. Questo risultato si rifletterà poi in un scenario di instabilità, stabilità o sviluppo.
Feedback
Ogni scenario (instabilità, stabilità o sviluppo) produrrà un feedback diverso. L’interazione dei fattori di squilibrio con questo feedback determinerà una amplificazione dei fenomeni di trasformazione all’interno del Paese, instaurando:
un circolo vizioso, che conduce ad un ulteriore indebolimento della capacità e della resistenza dello Stato;
un circolo virtuoso, che conduce a un rafforzamento della capacità e resistenza dello Stato.
È indispensabile dunque che i grandi attori esterni, coinvolti nei problemi del continente africano, comprendano il meccanismo evolutivo di tale processo al fine di sviluppare soluzioni in grado di reagire ai fattori di squilibrio e creare le condizioni per l’instaurarsi di un circolo virtuoso.
Capacità dello Stato
È intesa come l’attitudine alla gestione di fattori di squilibrio e potenziali shocks (resistenza agli squilibri/shocks) ed opportunità di cogliere vantaggi derivanti dai fattori stabilizzanti, tale capacità dipende dalle istituzioni governative e non governative e potrebbe essere valutata attraverso la quantificazione di parametri quali:
- Sicurezza ;
- Coesione sociale;
- Governo;
- Capacità economica;
- Sviluppo sociale.
- Fattori di squilibrio
Per affrontare con successo le sfide rappresentate dall’instabilità, risulta necessario comprendere con quali meccanismi si realizzano l’instabilità politica, la recessione economica e le situazioni conflittuali.
Anche se ciascun Paese ha le proprie specificità, ciascun conflitto le proprie caratteristiche peculiari e ciascuna crisi economica le proprie connotazioni, il presente lavoro ha tentato di rappresentare la situazione del continente in esame attraverso la quantificazione di un sufficiente numero di parametri rappresentavi.
Sono di seguito esaminati i fattori di squilibrio che interagiscono “in feedback” con la capacità dello Stato, sia direttamente che indirettamente; in tale ottica, la comprensione di tali fattori è premessa indispensabile per la corretta individuazione della dinamica evolutiva del Paese in esame in termini di instabilità/stabilità/sviluppo.
Queste capacita sono misurate attraverso 23 parametri, riportati nella nota 2 in data 30 novembre 2009 dal titolo "La parametrazione delle Capacità dello Stato"