Master 1° Livello

MASTER DI I LIVELLO

POLITICA MILITARE COMPARATA DAL 1945 AD OGGI

Dottrina, Strategia, Armamenti

Obiettivi e sbocchi professionali

Approfondimenti specifici caratterizzanti le peculiari situazioni al fine di fornire un approccio interdisciplinare alle relazioni internazionali dal punto di vista della politica militare, sia nazionale che comparata. Integrazione e perfezionamento della propria preparazione sia generale che professionale dal punto di vista culturale, scientifico e tecnico per l’area di interesse.

Destinatari e Requisiti

Appartenenti alle Forze Armate, appartenenti alle Forze dell’Ordine, Insegnanti di Scuola Media Superiore, Funzionari Pubblici e del Ministero degli Esteri, Funzionari della Industria della Difesa, Soci e simpatizzanti dell’Istituto del Nastro Azzurro, dell’UNUCI, delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, Cultori della Materia (Strategia, Arte Militare, Armamenti), giovani analisti specializzandi comparto geostrategico, procurement ed industria della Difesa.

Durata e CFU

1500 – 60 CFU. Seminari facoltativi extra Master. Conferenze facoltative su materie di indirizzo. Visite facoltative a industrie della Difesa. Case Study. Elettronic Warfare (a cura di Eletronic Goup –Roma). Attività facoltativa post master

Durata e CFU

Il Master si svolgerà in modalità e-learnig con Piattaforma 24h/24h

Costi ed agevolazioni

Euro 1500 (suddivise in due rate); Euro 1100 per le seguenti categorie:

Laureati UNICUANO, Militari, Insegnanti, Funzionari Pubblici, Forze dell’Ordine

Soci dell’Istituto del Nastro Azzurro, Soci dell’UNUCI

Possibilità postmaster

Le tesi meritevoli saranno pubblicate sulla rivista “QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO”

Possibilità di collaborazione e ricerca presso il CESVAM.

Conferimento ai militari decorati dell’Emblema Araldico

Conferimento ai più meritevoli dell’Attestato di Benemerenza dell’Istituto del Nastro Azzurro

Possibilità di partecipazione, a convenzione, ai progetti del CESVAM

Accredito presso i principali Istituti ed Enti con cui il CESVAM collabora

Contatti

06 456 783 dal lunedi al venerdi 09,30 – 17,30 unicusano@master

Direttore del Master: Lunedi 10,00 -12,30 -- 14,30 -16

ISTITUTO DEL NASTROAZZURRO UNIVERSITA’ NICCOL0’ CUSANO

CESVAM – Centro Studi sul Valore Militare www.unicusano.it/master

www.cesvam.org - email:didattica.cesvam@istitutonastroazzurro.org

America

Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

America Centrale

America Centrale

Medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 su questo stesso blog seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo
adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità dello
Stato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento a questo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

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giovedì 27 novembre 2014

ISaG: 11 Dicembre Conferenza: 1965-2014 Cinquant'anni di Quebc in Italia

Alla Camera dei Deputati

l'Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) è lieto d'invitarvi alla conferenza 1965-2015: Cinquant'anni di Québec in Italia, che si terrà giovedì 11 dicembre 2014, dalle ore 15.30 alle ore 18, presso la Sala della Mercede di Palazzo Marini, Camera dei Deputati, in Via della Mercede 55. L'evento è realizzato in collaborazione con la Delegazione del Québec in Italia in occasione dell'uscita dell'omonimoQuaderno di Geopolitica.


Nel 1965 il Québec, provincia del Canada, inaugurava un suo ufficio di rappresentanza a Milano, cui sarebbe poi seguita una Delegazione a Roma. Quello stesso anno, infatti, il ministro quebecchese Paul Gérin-Lajoie aveva lanciato la propria dottrina, secondo cui tutto ciò che è di competenza del governo provinciale in Québec, lo è anche all’estero. Oggi la provincia francofona del Canada ha numerose rappresentanze nel mondo, ma il rapporto con l’Italia rimane tra i più stretti, in virtù della vicinanza culturale e della vivacità degli scambi commerciali e ideali. Una nutrita comunità italo-canadese risiede in Québec, ottimamente integrata, e numerosi artisti e letterati quebecchesi (oltre a studenti e turisti) visitano l’Italia per ammirarne i retaggi culturali. Scienza, cultura e arte sono infatti dei focus politici del Québec, per sua natura particolarmente attento agli elementi che definiscono l’identità di un popolo.


La locandina col programma completo è disponibile cliccando qui. Interverranno: Amalia Daniela Renosto (Québec, Delegata in Italia), On. Stefano Dambruoso (Camera dei Deputati, Questore), On. Francesca Lamarca (Camera dei Deputati, Membro Commissione Esteri), Tiberio Graziani (Istituto IsAG, Presidente), Paolo Quattrocchi (NCTM Studio Legale, Associato), Daniele Scalea (Istituto IsAG, Direttore Generale).


Per prendere parte all'evento è necessario effettuare entro le ore 12 di lunedì 8 dicembre2014 laregistrazione all'indirizzo eventi@istituto-geopolitica.eu, comunicando nome, cognome, indirizzo e-maildi ciascun partecipante. Nei locali della Camera dei Deputati per i signori uomini sono obbligatori la giacca e la cravatta.


Distinti saluti,
Daniele Scalea




Roma, Camera dei Deputati

mercoledì 19 novembre 2014

Colombia: si allontana la soluzione diplomatica

La Colombia e le Farc: 
negoziati sospesi a causa del rapimento di un generale.

di

Giulia Dal Fiume*

I negoziati di pace avviati faticosamente nel 2012 tra il governo colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, meglio conosciute come Farc, sono a rischio a causa del sequestro di un alto ufficiale dell’esercito, il generale Rubén Dario Alzate. Quest’ultimo è stato rapito ieri mentre visitava Las Mercedes, un villaggio a pochi chilometri da Quibdo, capoluogo della regione occidentale del Choco. Pare che insieme al generale siano stati sequestrati anche un altro militare e un consulente dell’esercito.
Il problema con le forze rivoluzionarie attanaglia lo stato colombiano da ormai una cinquantina d’anni; i primi segnali di distensione si sono avuti nell’ottobre 2012 quando, per la prima volta da dieci anni, vi è stato un incontro diretto tra esponenti del governo e del movimento rivoluzionario in Norvegia. Da allora non ci sono stati grossi passi avanti nelle trattative, ma nemmeno passi indietro, fino ad oggi. Il presidente Juan Manuel Santos, dopo una riunione con gli alti vertici militari di Bogotà, ha infatti annunciato la sospensione delle trattative che si tengono a Cuba. Le autorità ritengono quindi responsabili le FARC dell’accaduto, nonostante nella regione in cui è avvenuto il fatto operino anche altre varie bande criminali, tra cui l’Esercito di Liberazione Nazionale.

Nonostante il generale Alzate avesse “rotto tutti i protocolli di sicurezza, trovandosi in abiti civili in una zona rossa”, come afferma in un tweet il presidente Santos, non si riprenderanno i negoziati fino alla liberazione degli ostaggi. Inoltre, il sequestro è avvenuto poco dopo la cattura di altri due soldati durante i combattimenti nel nord del paese sempre ad opera del movimento rivoluzionario; sono stati dichiarati prigionieri di guerra ma le Farc si sono dichiarate pronte per trattarne la liberazione.

*Dott.ssa in Relazioni Internazionali.  

martedì 18 novembre 2014

Stati Uniti: approfondimento sulle elezioni di medio termine. Vieoarticoli

Video articoli su IAI CHANNEL. (CLICCARE SOPRA IL TITOLO ED ANDARE AL VIDEO)

Marta Dassù - Aspettando le elezioni Usa 2016

Sergio Fabbrini - La governabilità Usa post Mid term -

Pubblicato il 08/nov/2014
Intervista a Sergio Fabbrini - direttore della Luiss School of Government - sulle ripercussioni sociali e politiche del voto di mid-term di inizio novembre, sulla politica interna USA e i suoi riflessi in politica estera. A margine del seminario IAI sulle elezioni americane di mid-term in collaborazione con Aspenia e Centro Studi Americani.

Roma 06/11/2014

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Stati Uniti: il dopo elezioni di medio termine

Usa, Midterm
Obama ha perso, i repubblicani non hanno ancora vinto
Giampiero Gramaglia
11/11/2014
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Barack Obama ha perso il voto di Mid-term. Anzi, l’ha riperso perché gli era già accaduto nel 2010: i repubblicani si presero la Camera e la luna di miele del presidente con gli Stati Uniti, durata due anni, finì.

Ma non è affatto detto che i democratici perderanno le prossime presidenziali, che s’annunciano nel segno dell’alternanza di colore – sicuro - e di genere – possibile -, non forzatamente di partito. Il sito 270TOWIN, che tiene il conto giorno per giorno dei Grandi Elettori, ne dà ancora 332 ai democratici e 206 ai repubblicani, a due anni esatti dall’Election Day, l’8 novembre 2016.

Quella del voto di Mid-term è un’America ‘bipolare’. Elegge i candidati conservatori. E boccia sonoramente l’Amministrazione democratica, nonostante l’economia in crescita e la disoccupazione in calo.

Però, anche negli Stati più rossi, cioè più repubblicani, passano referendum per marijuana libera, aborto, unioni omosessuali, aumento del salario minimo, molti sono punti del programma di Obama.

È come se politica e società siano, in parte, dissociate. E, di questo, l’agenda del prossimo biennio dovrà tenere conto: è stato un voto contro il presidente più che di adesione alla linea dell’opposizione; un voto di delusione, disillusione, astensione, specie fra i giovani.

Non c’è dubbio però che l’America volta pagina e cambia agenda: l’ha ammesso lo stesso Obama, dopo la disfatta. Ma le pagine della nuova potrebbero restare tutte bianche, se gli Stati Uniti vivranno un ‘muro contro muro’ tra Amministrazione democratica e Congresso repubblicano: iniziative della Casa Bianca bloccate in Campidoglio; e veto del presidente apposto sulle leggi parlamentari.

La prospettiva non spaventa Wall Street, che festeggia il successo dei conservatori, dopo averne abbondantemente foraggiato le campagne. Nessuno teme davvero che l’America resti paralizzata, prima delle presidenziali.

Non è interesse di nessuno: né dell’Amministrazione democratica, che non vorrà lasciare con un bilancio fallimentare; né dell’opposizione repubblicana, che non vorrà arrivare alle urne con una fama da ostruzionista.

Le trappole dell’onnipotenza
La sconfitta dei democratici era annunciata, ma è stata persino più larga del previsto. I repubblicani, che già controllavano la Camera, dove sfiorano il 250 seggi su 435, conquistano la maggioranza anche al Senato -52 seggi su 100-, facendo razzia di Stati in bilico, North Carolina e West Virginia, South Dakota e Iowa, Arkansas e Colorado e Montana. Ora, il Congresso è tutto loro.

Un successo che può provocare deliri di onnipotenza: Ted Cruz, uno da Tea Party, un nome citato per la nomination 2016, ha propositi bellicosi, “Cancelleremo l’obbrobrio della riforma sanitaria”. Ma i leader del partito, a iniziare dal senatore Mitch McConnell, prossimo leader della maggioranza al Senato, mettono la sordina: la trappola del partito che boccia tutto e paralizza l’Unione potrebbe trasformare la vittoria in un boomerang.

Il voto di Mid-term segna una battuta d’arresto dei progressisti e un’avanzata dei conservatori, che in America sono una galassia meno circoscritta che in Europa dove i progressisti, insieme ai vari cloni del presidente Usa sparsi in tutto il Mondo, temono di subire contraccolpi dalla sconfitta di Obama.

Sul piano personale, molti saranno meno inclini a sbandierare presente affinità; qualcuno potrebbe pensare di sostituire la propria leadership a quella declinante del presidente Usa: l’ambizione senza limiti sconfina nel ridicolo.

Con un’opinione pubblica tentata dall’anti-politica, i due maggiori partiti devono pure smarcarsi dalle spese sostenute per la campagna di Mid-term costata, la cifra record di 4 miliardi di dollari, oltre 50 dollari per ogni cittadino andato alle urne.

L’agenda Usa dei prossimi due anni
Obama ha davanti a sé il periodo più difficile alla Casa Bianca, due anni da ‘anatra zoppa’, un incubo che hanno già sperimentato, prima di lui, solo Eisenhower, Reagan, Clinton e Bush II – tre degli ultimi quattro presidenti: accade sempre più spesso, forse un segno della volatilità crescente dell’elettorato statunitense.

Quale sarà, dunque, l’agenda Usa dei prossimi due anni? In economia sembrano tutti: non intralciare la ripresa, anzi cercare di fare sentire i benefici alla classe media - una delle colpe di Obama è non esserci riuscito. Sulle riforme, improbabile che vada avanti quella dell’immigrazione, ma difficile che venga cancellata quella sanitaria, che inizia a funzionare e di cui si cominciano ad avvertire i benefici.

Sui temi dei diritti civili, la nuova frontiera del secondo mandato del presidente Obama, l’attenzione è alta. Se vogliono avere una chance di riprendersi la Casa Bianca nel 2016, i repubblicani non devono arroccarsi sulle posizioni ultra-tradizionali della loro estrema destra.

Le relazioni internazionali, dove il Senato ha potere, sono un terreno minato. Meno protezionismo, forse, sul fronte commerciale - difficile, però, che grandi progetti d’interesse transatlantico, come i negoziati per l’area di libero scambio Usa-Ue, vadano in porto in un contesto di conflittualità; ma anche più diffidenza verso la Cina e le potenze economiche emergenti.

E tentazioni d’interventismo nelle crisi: muso duro con la Russia di Putin; più vicinanza con Israele. Ma le truppe lasceranno l’Afghanistan entro fine anno; e non torneranno in Iraq, contro il Califfato, a meno che Obama non rinneghi se stesso. L’Europa, che ha criticato la guida incerta dell’America nelle Primavere arabe e nei loro risvolti, teme di doversi di nuovo confrontare con un eccesso d’interventismo degli Stati Uniti: non tanto ora, ma dopo un cambio della guardia alla Casa Bianca.

Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello IAI.
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Stati Uniti: il nodo nucleare iraniano

Accordo sul nucleare iraniano
Centrifughe e uranio, nodi irrisolti dell’accordo
Carlo Trezza
11/11/2014
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La scadenza della trattativa sul programma nucleare iraniano è ormai alle porte. Avvicinandosi alla data fissata - dal 18 al 24 novembre - fervono gli incontri preparatori.

Recentemente si sono riuniti a Vienna per sei ore consecutive il Segretario di Stato statunitense John Kerry, l'ex Alto Rappresentante per la Pesc Catherine Ashton e il Ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Sono tornati ad incontrarsi pochi giorni orsono in Oman.

Il fatto che statunitensi e iraniani si parlino direttamente è già di per sé un importante risultato. I Ministri degli esteri dei cinque paesi cui il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) concede il possesso dell'arma nucleare (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) più la Germania (E3+3) sono pronti a intervenire direttamente al momento cruciale.

Ad essi avrebbe dovuto unirsi Federica Mogherini che occupa ora la poltrona di Ashton, ma curiosamente è ancora quest'ultima a rimanere in scena.

Produzione di uranio arricchito
Il dibattito si concentra su come far uscire gli iraniani dal "pasticciaccio" in cui si posero nel 2003 con l'avvio di un programma clandestino di centrifughe per la produzione dell'uranio arricchito.

L'iniziativa si poneva nel quadro del più ampio disegno, che risaliva all'epoca dello Shah, di dotare il paese di una capacità nucleare a scopi energetici.

Tale progetto, inizialmente incoraggiato dagli Usa, venne ostacolato dopo la rivoluzione del 1979. La prima ed unica centrale iraniana, quella di Bushehr, completata dai russi dopo molte vicissitudini, è entrata in funzione nel 2011.

Temendo un possibile diniego all'accesso al mercato internazionale del combustibile necessario per le sue future centrali, Teheran adottò la rischiosa decisione di costruire un impianto autonomo di arricchimento dell'uranio.

Era prevedibile che l'acquisto di questa capacità, per quanto non contrario al Tnp, avrebbe incontrato la ferma opposizione del mondo occidentale e soprattutto di Israele. Per questo Teheran avviò clandestinamente il suo programma.

Il sospetto che esso mirasse anche a scopi bellici era corroborato dallo sviluppo in parallelo di un programma missilistico a scopi dichiaratamente militari.

Con il senno di poi, si può dire che l'Iran sopravvalutò gli ostacoli che avrebbe incontrato nell'approvvigionamento di uranio arricchito sul mercato internazionale. Oggi infatti Teheran riceve tranquillamente dai russi il combustibile necessario per la centrale di Bushehr. Una serie di meccanismi internazionali sono stati posti in essere proprio per garantire agli stati l'accesso a tali rifornimenti.

Quello che invece sottovalutò fu l'opposizione occidentale al suo programma. Le sanzioni del Consiglio di sicurezza, avallate anche da tradizionali sostenitori di Teheran come Mosca e Pechino, iniziano ad incidere seriamente sull'economia iraniana. La loro revoca è l'obiettivo prioritario perseguito da Teheran.

Numero delle centrifughe
Mentre si dibatte ancora sul "diritto inalienabile all'energia nucleare", sancito dal Tnp, chiedendosi se questo includa anche un vero e proprio diritto ad arricchire l'uranio, per uscire dall'impasse si sta cercando di rivedere a fondo l'intera questione.

Il lavoro sinora svolto dai negoziatori è molto buono. Il Piano di azione concordato nel novembre 2013 contiene già gli ingredienti per un'intesa definitiva. La questione principale da risolvere è quella del numero delle centrifughe che l'Iran potrà conservare.

Per dare un senso al suo programma di arricchimento a scopi energetici, l'Iran avrebbe bisogno di aumentare sensibilmente il numero delle centrifughe e degli stock di uranio. Al contrario l'obiettivo principale degli E3+3 è una loro consistente riduzione per allungare il tempo necessario per fabbricare un'arma nucleare ("breakout").

Per trovare una via di uscita da posizioni apparentemente inconciliabili, alcuni think tank statunitensi stanno escogitando la soluzione di adattare scorte e produzione alle effettive esigenze iraniane.

Tale approccio è stato suggerito da Robert Einhorn del Brookings Institute, ex consigliere speciale del Dipartimento di stato per la Non proliferazione e il controllo degli armamenti in un recente convegno.

Fortunatamente le esigenze iraniane sono attualmente alquanto limitate. La centrale di Bushehr deve, per contratto, essere alimentata da forniture russe fino al 2011 e nulla impedisce che l'intesa sia prorogata.

L'Iran non ha comunque ancora messo a punto la tecnologia per trasformare l'uranio arricchito in combustibile per la centrale. I piccoli reattori di ricerca di Teheran e Arak necessitano di scorte limitate. Si potrebbe congelare una buona parte delle centrifughe senza compromettere le future esigenze energetiche. Non sembra casuale l'annuncio di questi ultimissimi giorni di un'intesa russo-iraniana per la costruzione di due ulteriori centrali.

Trattato contro gli esperimenti nucleari e protocollo Aiea
L'Iran potrebbe riattivare le centrifughe ed eventualmente aumentarle quando avrà effettivamente bisogno di bruciare uranio arricchito per sviluppare energia e dovrà quindi smaltire costantemente le sue scorte senza accumularle. Questo darebbe anche il tempo per fugare i legittimi sospetti che suscita il suo progetto.

Non si tratterebbe tanto di svelare eventuali passati tentativi di costruire l'arma nucleare, quanto di dare garanzie ferree che ciò non avverrà in futuro. A tal fine la prima misura da prendere dovrebbe essere l' adesione al Trattato che proibisce gli esperimenti nucleari (CTBT).

Teheran rimane tra i pochissimi paesi a essersi sottratti a questo fondamentale baluardo contro la diffusione dell'arma nucleare. Dovrebbe aderire inoltre senza indugio al Protocollo che permette all'Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica di ispezionare tutti gli impianti connessi con attività nucleari e non solo, come avviene ora, quelli che l'Iran dichiara di possedere.

Un'intesa con l'Iran è un'occasione da non perdere. La congiuntura politica vi è favorevole. Per il presidente Usa Barack Obama si tratterebbe di un'importante "legacy" di un mandato presidenziale che volge alla sua conclusione.

Sia a Washington che a Teheran siedono oggi amministrazioni interessate ad un compromesso. Non è detto che sarà così in futuro.

L'Ambasciatore Carlo Trezza è membro della Troika dei Presidenti del “Missile Technology Control Regime”.
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giovedì 13 novembre 2014

Brasile: in vista delle elezioni

nell'ambito delle discussioni in tema di preparazione alla tesi di Laurea, alcuni spunti di discussione per prendere mano alla rielaborazione.
All'indomani delle elezioni in Brasile, un confronto con quanto scritto in precedenza è un ottimo indicatore.
(www.studentiecultori.blogspot.com)



Manca poco all’appuntamento elettorale brasiliano, fissato il 5 ottobre per nominare il futuro presidente del paese, eppure i cittadini sembrano piuttosto combattuti in questa disputa del tutto insolita. Queste elezioni presentano una nota distintiva rispetto alle precedenti, dato che hanno sconvolto il tradizionale scenario bipolare osservato tra i due partiti maggioritari PT (partito dei lavoratori) e PSDB (partito della social democrazia brasiliana). Tale costanza venne brutalmente abbattuta dopo l’incidente aereo, che ebbi come vittima il candidato del PSB Eduardo Campos nel 13 agosto scorso. Il luto per il suo decesso provoco un forte sentimento di solidarietà nazionale che di certo, favori l’ascesa della cometa Marina sua vice, a seguito della dichiarazione di sostegno della vedova Campos .

     Ma a settimane dello sfortunato episodio, la candidata del PSB riscontra adesso delle difficoltà in mantenere una piattaforma coesa e intatta all’interno del suo stesso partito. Dopo diverse critiche riguardo il suo rapporto  politico con le sedi evangeliche del paese, la strategia “della parola di Dio” adottata sembra ormai una arma a doppio taglio. Ad aggravare la situazione, non sono mancati i recenti attacchi del PT attuale partito in carica, sferrati dal Presidente Dilma Rousseff. La leader ha sostenuto che la candidata Marina non avrebbe mantenuto i progressi e soprattutto i programmi di sostegno dell’era Lula. Programmi di ausilio come il “Bolsa Familia” e “Fome Zero”,  utilizzati per le famiglie disagiate, avrebbe insinuato verrebbero eliminati. Tali accuse hanno grosse ripercussioni in Brasile, un paese in cui al in circa 16,9 milioni di persone vivono in condizioni di strema povertà e altrettante in condizioni precarietà. Sarebbe questa una tattica del terrore? L’ipotesi che tale affermazioni potrebbero condizionare fortemente il risultato alle elezioni è reale, soprattutto in caso di ballottaggio. E le probabilità che ciò si verifichi sono alte, secondo le ultime stimative, Dilma godrebbe di 37% delle intenzioni dei voti contro il 30% di Marina*. La differenza esiste, ma è tuttavia insufficiente per assicurare una vittoria alla prima tornata elettorale.

Nota di Giorgia Licitra.

lunedì 10 novembre 2014

Stati Uniti: elezione di medio termine

Usa-Mid-term
Per Obama, la botola dell’inferno
Giampiero Gramaglia
27/10/2014
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Barack Obama pare avere fretta di lasciarsi alle spalle il voto di ‘mid-term’, che, il 4 novembre, potrebbe aprirgli sotto i piedi la botola dell’inferno: un ultimo biennio alla Casa Bianca con tutto il Congresso contro, la Camera, che già lo è, e pure il Senato nelle mani dei repubblicani.

Un’ipotesi non remota, per come vanno i sondaggi. Anzi, molto probabile.

Nelle elezioni di ‘mid-term’, i cittadini statunitensi rinnovano tutta la Camera - 435 seggi - e un terzo del Senato, oltre a eleggere numerosi governatori e loro vice. C’è poi il consueto corredo di una miriade di voti locali e di referendum.

I repubblicani hanno ampliato il loro vantaggio sui democratici da 5 a 11 punti. Lo rivela l’ultimo sondaggio di Wall Street Journal/ Nbc News: il 52% degli intervistati vuole un Congresso a maggioranza repubblicana, il 41% lo vuole controllato dai democratici.

Non è una situazione insolita, negli Usa, che Amministrazione e Congresso abbiano colori diversi: la sperimentò pure Bill Clinton; e Obama ha sempre avuto contro la Camera, tranne che nei suoi primi due anni.

Barack manda Michelle 
Il presidente ha già votato, in largo anticipo, il 20 ottobre, in un seggio di Chicago, dove partecipava a una raccolta di fondi per i democratici. Obama s’è fatto vedere relativamente poco, in questa campagna.

Di buone scuse, per restare a fare il comandante in capo alla Casa Bianca, ne ha: l’Ebola, per dirne una, che unisce l’America nell’ansia, e anche la guerra al terrorismo e all’autoproclamatosi Stato islamico. Ma, in realtà, il presidente, molti candidati non lo vogliono accanto sul palco: temono il contagio della sua bassa popolarità.

A un comizio in Maryland, per sostenere il candidato governatore democratico Anthony Brown, una parte del pubblico se n’è andata prima che Obama finisse di parlare, in segno di disappunto. Così, il peso della campagna è più sulla moglie, Michelle.

Anche Hillary, che gli fu segretario di Stato nel primo mandato, tiene le distanze e, almeno in politica estera, non gli risparmia critiche, come un altro ‘clintoniano’, l’ex segretario alla difesa Leon Panetta, o come l’ex presidente, e pure Nobel per la Pace, Jimmy Carter.

E proprio i Clinton, e persino il vice-presidente Joe Biden, sono testimonial elettorali più ambiti del presidente.

Disaffezione e freddezza
Gli Stati Uniti si avvicinano al voto di ‘mid-term’ in un clima di sfiducia e disaffezione alla politica che accomuna Congresso e Casa Bianca e che fa tanto Italia.

Solo il 9% di quanti intendono recarsi alle urne - saranno probabilmente il 50% dei potenziali elettori, non di più - sono "entusiasti" del presidente: siamo ben lontani dal fervore e quasi dall’entusiasmo che salutò, nel 2008, l’ingresso alla Casa Bianca del primo presidente nero degli Stati Uniti.

Il sondaggio che ha tastato il polso dell’emozione politica dell'elettorato statunitense è stato condotto da Ap-Gfk: alla domanda più scontata se approvassero o meno l’operato di Obama, il 17% ha risposto di sì con forza e il 44% di no con pari forza.

Ma davanti alla scelta che sollecitava l’entusiasmo o la delusione dell'elettorato solo il 9% s’è detto "entusiasta" di Obama, mentre il 34% ce l’ha con il presidente.

E nonostante il lavoro ci sia, con la disoccupazione su valori fisiologici, e la crescita sia robusta, anche la fiducia degli americani nelle capacità di Obama di gestire l'economia è ai minimi dal 2009.

In un sondaggio della Cnbc, solo il 24% degli intervistati si dice "estremamente o abbastanza soddisfatto" dai risultati ottenuti dalle politiche economiche dell’Amministrazione. Un crollo rispetto al già modesto 33% del gennaio 2013, all’insediamento di Obama per il secondo mandato, quando però la situazione economica era oggettivamente più incerta.

L’economia ‘tira’, ma non scalda
Il 44% degli intervistati dice, invece, di non avere fiducia nella leadership del presidente in economia. Un dato che preoccupa la Casa Bianca, già colpita anche da fuoco amico sul fronte della politica estera, per le incertezze e le mezze misure nella guerra al terrorismo, ma anche il partito democratico.

Il presidente ha fatto un tour elettorale per rivendicare i successi dell’Amministrazione in campo economico, dopo che lui prese il potere nel pieno della crisi.

Ma pare che gli statunitensi non gli riconoscano meriti e non riescano ancora a percepire i buoni risultati raggiunti, anche perché la crescita dei redditi delle famiglie non rispecchia ancora la ripresa.

Pure quando sono buoni, i sondaggi non sono necessariamente forieri di buone notizie per Obama e per i democratici: per la Gallup, il presidente, in crisi di popolarità nell’elettorato tradizionale, piace ai musulmani d’America - più dei 2/3 l’appoggiano - ed ha seguito pure tra gli ebrei. Ciò però, può alimentare più diffidenze che simpatie.

Effetto Obama, record candidati di colore
Destra o sinistra, una cosa che accomuna democratici e repubblicani, in questa vigilia, è il record dei candidati di colore: oltre cento, che gli esperti definiscono l’“effetto Obama”. Oltre 80 neri, democratici o repubblicani, corrono per la Camera; e almeno 25 per un posto da senatore o da governatore o da vice.

Il record precedente risaliva al 2012, in coincidenza con la rielezione di Obama: 72 candidati di colore alla Camera. Quando, nel 2002, se ne presentarono 17 fu un primato.

Cosa succederà dopo le elezioni, nella politica Usa? L’Ebola li mette d’accordo tutti (più o meno).

Sul resto, che vincano i democratici o i repubblicani i prossimi due anni avranno segni diversi, nel segno della corsa a Usa2016 per tenersi, o riprendersi, la Casa Bianca: la guerra al terrorismo e le relazioni con l’Europa, la Russia, la Cina; i negoziati per la zona di libero scambio transatlantica; la gestione dell’economia e, soprattutto, delle finanze pubbliche; la riforma dell’immigrazione e l’estensione dei diritti civili - sono appena saliti a 32 gli Stati che riconoscono i matrimoni fra persone dello stesso sesso.

Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello IAI (Twitter: @ggramaglia).
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