Usa, Midterm Obama ha perso, i repubblicani non hanno ancora vinto Giampiero Gramaglia 11/11/2014 |
Ma non è affatto detto che i democratici perderanno le prossime presidenziali, che s’annunciano nel segno dell’alternanza di colore – sicuro - e di genere – possibile -, non forzatamente di partito. Il sito 270TOWIN, che tiene il conto giorno per giorno dei Grandi Elettori, ne dà ancora 332 ai democratici e 206 ai repubblicani, a due anni esatti dall’Election Day, l’8 novembre 2016.
Quella del voto di Mid-term è un’America ‘bipolare’. Elegge i candidati conservatori. E boccia sonoramente l’Amministrazione democratica, nonostante l’economia in crescita e la disoccupazione in calo.
Però, anche negli Stati più rossi, cioè più repubblicani, passano referendum per marijuana libera, aborto, unioni omosessuali, aumento del salario minimo, molti sono punti del programma di Obama.
È come se politica e società siano, in parte, dissociate. E, di questo, l’agenda del prossimo biennio dovrà tenere conto: è stato un voto contro il presidente più che di adesione alla linea dell’opposizione; un voto di delusione, disillusione, astensione, specie fra i giovani.
Non c’è dubbio però che l’America volta pagina e cambia agenda: l’ha ammesso lo stesso Obama, dopo la disfatta. Ma le pagine della nuova potrebbero restare tutte bianche, se gli Stati Uniti vivranno un ‘muro contro muro’ tra Amministrazione democratica e Congresso repubblicano: iniziative della Casa Bianca bloccate in Campidoglio; e veto del presidente apposto sulle leggi parlamentari.
La prospettiva non spaventa Wall Street, che festeggia il successo dei conservatori, dopo averne abbondantemente foraggiato le campagne. Nessuno teme davvero che l’America resti paralizzata, prima delle presidenziali.
Non è interesse di nessuno: né dell’Amministrazione democratica, che non vorrà lasciare con un bilancio fallimentare; né dell’opposizione repubblicana, che non vorrà arrivare alle urne con una fama da ostruzionista.
Le trappole dell’onnipotenza
La sconfitta dei democratici era annunciata, ma è stata persino più larga del previsto. I repubblicani, che già controllavano la Camera, dove sfiorano il 250 seggi su 435, conquistano la maggioranza anche al Senato -52 seggi su 100-, facendo razzia di Stati in bilico, North Carolina e West Virginia, South Dakota e Iowa, Arkansas e Colorado e Montana. Ora, il Congresso è tutto loro.
Un successo che può provocare deliri di onnipotenza: Ted Cruz, uno da Tea Party, un nome citato per la nomination 2016, ha propositi bellicosi, “Cancelleremo l’obbrobrio della riforma sanitaria”. Ma i leader del partito, a iniziare dal senatore Mitch McConnell, prossimo leader della maggioranza al Senato, mettono la sordina: la trappola del partito che boccia tutto e paralizza l’Unione potrebbe trasformare la vittoria in un boomerang.
Il voto di Mid-term segna una battuta d’arresto dei progressisti e un’avanzata dei conservatori, che in America sono una galassia meno circoscritta che in Europa dove i progressisti, insieme ai vari cloni del presidente Usa sparsi in tutto il Mondo, temono di subire contraccolpi dalla sconfitta di Obama.
Sul piano personale, molti saranno meno inclini a sbandierare presente affinità; qualcuno potrebbe pensare di sostituire la propria leadership a quella declinante del presidente Usa: l’ambizione senza limiti sconfina nel ridicolo.
Con un’opinione pubblica tentata dall’anti-politica, i due maggiori partiti devono pure smarcarsi dalle spese sostenute per la campagna di Mid-term costata, la cifra record di 4 miliardi di dollari, oltre 50 dollari per ogni cittadino andato alle urne.
L’agenda Usa dei prossimi due anni
Obama ha davanti a sé il periodo più difficile alla Casa Bianca, due anni da ‘anatra zoppa’, un incubo che hanno già sperimentato, prima di lui, solo Eisenhower, Reagan, Clinton e Bush II – tre degli ultimi quattro presidenti: accade sempre più spesso, forse un segno della volatilità crescente dell’elettorato statunitense.
Quale sarà, dunque, l’agenda Usa dei prossimi due anni? In economia sembrano tutti: non intralciare la ripresa, anzi cercare di fare sentire i benefici alla classe media - una delle colpe di Obama è non esserci riuscito. Sulle riforme, improbabile che vada avanti quella dell’immigrazione, ma difficile che venga cancellata quella sanitaria, che inizia a funzionare e di cui si cominciano ad avvertire i benefici.
Sui temi dei diritti civili, la nuova frontiera del secondo mandato del presidente Obama, l’attenzione è alta. Se vogliono avere una chance di riprendersi la Casa Bianca nel 2016, i repubblicani non devono arroccarsi sulle posizioni ultra-tradizionali della loro estrema destra.
Le relazioni internazionali, dove il Senato ha potere, sono un terreno minato. Meno protezionismo, forse, sul fronte commerciale - difficile, però, che grandi progetti d’interesse transatlantico, come i negoziati per l’area di libero scambio Usa-Ue, vadano in porto in un contesto di conflittualità; ma anche più diffidenza verso la Cina e le potenze economiche emergenti.
E tentazioni d’interventismo nelle crisi: muso duro con la Russia di Putin; più vicinanza con Israele. Ma le truppe lasceranno l’Afghanistan entro fine anno; e non torneranno in Iraq, contro il Califfato, a meno che Obama non rinneghi se stesso. L’Europa, che ha criticato la guida incerta dell’America nelle Primavere arabe e nei loro risvolti, teme di doversi di nuovo confrontare con un eccesso d’interventismo degli Stati Uniti: non tanto ora, ma dopo un cambio della guardia alla Casa Bianca.
Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello IAI.
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