IL COINVOLGIMENTO STATUNITENSE NEL GOLFO
Il golfo
Persico è sempre stata una regione caratterizzata da profonda instabilità. Uno
dei principali motivi che hanno contribuito a un ordine internazionale
nell’area è senza dubbio il coinvolgimento statunitense e la sua alleanza con i
Paesi dell’area. Tale schieramento si contrappone da decenni a quello iraniano,
che sempre più vuole imporsi come attore principale della regione.
L’impegno
americano conta più di 25.000 soldati schierati, in quella che è una vasta area
di interesse (a partire dal Golfo Persico, Mare Arabico, parte dell’Oceano
Indiano, fino ad arrivare al Mar Rosso e Canale di Suez) ed è oggigiorno uno
dei principali teatri di proiezione della potenza USA nel mondo. Per capire
quali sono le motivazioni di un così ingente impegno di Washington e come mai
la maggior parte dei Paesi arabi del Golfo facciano affidamento così tanto
sugli Stati Uniti d’America bisogna ripercorrere le vicende storiche,
politiche, economiche ma anche militari che hanno contraddistinto questo
passaggio cruciale. Prima di tutto, possiamo affermare che l’impegno americano
nell’area è cominciato con un lento e graduale “passaggio di consegne” con il
Regno Unito, da sempre attore protagonista nel Golfo che, dopo la Seconda
Guerra mondiale e con l’inizio della Guerra Fredda, ha cominciato a defilarsi
lasciando spazio all’alleato d’oltre oceano. Gli Stati Uniti hanno inteso,
secondo quella che è una visione di politica estera realista, declinare la loro
strategia verso i Paesi del Medioriente con l’ottica di contrastare l’influenza
sovietica, al tempo non molto permeata, nel mondo arabo. Inoltre, la
possibilità di approvvigionarsi degli appetibili giacimenti di risorse
energetiche (quali idrocarburi, gas naturale, ecc) hanno rappresentato un
elemento di forza per l’economia statunitense che, se caduta nelle mani dell’ex
URSS, avrebbe comportato un fallimento ed un capovolgimento politico a svavore
di Washington.
All’indomani
della rivoluzione iraniana del 1979 e dopo la nascita del Consiglio di
Cooperazione del Golfo (GCC) nel 1981 (che tra l’altro avvenne anche grazie
all’impulso degli USA), nel 1990, con l’invasione del Kuwait da parte
dell’Iraq, gli Stati Uniti diedero prova di quanto fosse importante il teatro
del Golfo nella loro strategia internazionale, organizzando un’imponente coalizione
multinazionale e annichilendo le forze armate iraquene con enorme facilità.
Negli
anni 90’ poi, a seguito della prima Guerra del Golfo, il Dipartimento della
Difesa statunitense decise di creare una flotta responsabile per il Golfo Persico,
il Mar
Arabico, il Mar Rosso e
parte dell' Oceano Indiano lungo la costa orientale dell'Africa, fino
al confine con il Kenya. Fino
ad allora tali aree erano di competenza della Settima flotta, operante anche nell'oceano Pacifico occidentale
e nell'oceano Indiano. La Quinta flotta fu così ricreata il 1º luglio 1995 e il suo Quartier Generale, lo United States
Central Command (CENTCOM), si trova nella base navale "Naval
Support Activity Bahrein" (NSA Bahrein) a Manama, capitale
del Bahrein. Il
personale di servizio della Quinta Flotta è composto da circa 15.000 militari
(marinai ed aviatori) e circa 1.000 civili[1].
Oltre al
comando CENTCOM, nell’area sono presenti diverse iniziative a lead americana, come il Combined Maritime Forces (CMF) e
l’Operazione Sentinel, entrambe con
il Quartier Generale a Manama (Bahrein). Sebbene
lo scopo di queste due missioni siano principalmente di anti terrorismo e anti
pirateria, è evidente che la partecipazione americana consenta da un lato di
salvaguardare i propri interessi nella regione e dall’altra di contrastare e
monitorare la presenza iraniana nella regione.
I rapporti
tra Stati Uniti e i Paesi arabi del Golfo assunsero sempre più i contorni di
un’alleanza formale ed istituzionalizzata a partire dalla fine degli anni 90’.
Un passo importante ci fu nel 2004 con l’Iniziativa di Cooperazione di Istanbul
(ICI), la
quale vide la partecipazione da un lato della NATO e, dall’altro, di Emirati
Arabi Uniti, Qatar, Kuwait e Bahrain. L’obiettivo dell’ICI era parte del più
grande disegno di una “NATO allargata” che coinvolgesse i Paesi alleati sparsi
per il mondo fortemente voluto dall’amministrazione George W. Bush a
partire dal 2001, con l’inizio della guerra al terrorismo[2].
L’ICI,
che oggi ha sede a Kuwait City, gettò le basi dei capisaldi che oggi
caratterizzano la coalizione araba nel Golfo a guida americana. In
primis strategie di sicurezza comuni, con diverse esercitazioni congiunte
tra gli eserciti locali e il contingente americano schierato nella regione. In
secondo luogo, misure per la condivisione delle informazioni nell’ottica di
contrasto ai movimenti considerati terroristi e allo spionaggio condotto da
Paesi ostili, a partire dall’Iran.
Nel
corso degli anni, le tensioni nell’area che hanno coinvolto gli USA sono
diventate sempre più frequenti. La situazione rischiava di aggravarsi il 3
gennaio 2020, quando un drone MQ-9 americano lanciò 4 missili uccidendo il
Generale iraniano Soleimani (capo della forza Quds) e il Generale iracheno Abu Mahdi al-Muhandis (capo delle forze di
mobilitazione popolare irachene) presso l’aeroporto di Baghdad (Iraq). La
giustificazione ufficiale fornita dalla Casa Bianca è stata quella della “difesa preventiva” contro
gli attacchi a obiettivi statunitensi che il generale Soleimani stava
pianificando in Iraq. Come prevedibile, fin dalle prime ore dopo l’attacco
statunitense, la Repubblica Islamica ha promesso che l’assassinio di
Soleimani non sarebbe rimasto impunito. La risposta iraniana è in effetti
arrivata nella notte tra il 7 e l’8 gennaio, con un attacco mirato su due basi
militari statunitensi in Iraq: la base di Al Asad, a ovest di Baghdad, e la
base di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Gli attacchi (“Operazione martire
Soleimani”) non hanno causato vittime, e rappresentano da parte iraniana la
risposta “proporzionata e finale” all’assassinio di Soleimani[3]
lasciando spazio ad un periodo di de-escalation
nei rapporti fra i due Paesi.
Ad oggi,
seppur non si ha l’evidenza di eventuali cause che possano portare ad un
aggravarsi della stabilità nella regione, Stati Uniti ed Iran rimangono
comunque in allerta: i due Stati, in modo diretto o indiretto, continuano a monitorarsi,
anche mediante l’utilizzo di droni (UAV e USV) di ultima generazione. Resta da
capire, quale sarà la volontà nel futuro da parte degli Stati Uniti di
continuare a mantenere un forte impegno nel Golfo.