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Se Donald Trump voleva galvanizzare l’America che l’ha votato e spaventare quella, più numerosa, che non l’ha votato, oltre che tutta quella fetta di Mondo che si autodefinisce ‘libero’ e che guarda all’America con simpatia e magari con riconoscenza, c’è perfettamente riuscito.
E se voleva fomentare l’odio verso l’America di quella fetta di Mondo che già la considera un “satana”, c’è pure perfettamente riuscito. E se infine voleva dare il ‘libera tutti’ ai populismi nostrani e ai nazionalismi altrui, russi o cinesi o quali che siano, c’è pure perfettamente riuscito. Missione compiuta!, Presidente Trump. Adesso, è chiaro: con lei al potere, lo Sbarco in Normandia non sarebbe mai avvenuto - al massimo, la guerra nel Pacifico perché i giapponesi se la tirarono proprio - e il Mondo sarebbe diviso tra Nazismo, Comunismo e America in perpetuo conflitto. Proprio come in ‘1984’. Sentirla è stato come andare al cinema e scoprire che lei ha ribaltato i finali di Quarto Potere e de Il Grande Dittatore; e che il passato può tornare, forse è già tornato. Il conto alla rovescia: -1461 Trump ha fatto proprio il discorso che mi aspettavo facesse. E che, in qualche misura, speravo facesse. Non perché sia d’accordo con qualcosa che ha detto: neanche con una parola. Ma perché così Donald Trump non lascia spazio a chi continua a credere, o almeno a raccontare, che il Trump presidente sarà diverso dal Trump candidato: il primo discorso del Trump presidente è stato come un qualsiasi discorso del Trump candidato. Solo più agghiacciante, perché ora lui è il presidente. Adesso, inizia il conto alla rovescia: -1461 all’alba della fine del suo mandato, nella speranza che, nel frattempo, lui e alcuni suoi ‘compagni di merenda’, da Putin a Erdogan, da al-Sisi a Duterte, magari da Farage a Marine Le Pen, non ci combinino guai irreversibili. Lascio stare la cronaca e il resoconto, ché quelli li avete già vissuti in diretta - se volete sentire o risentire il discorso, lo trovate qui e altrove. Io mi limito alle impressioni, le mie, partendo dall’ammettere che questo discorso può davvero averlo scritto lui di suo pugno, come vuole la sua ‘agiografia’ mediatica. Quel che mancava nel discorso È stato un discorso senza radici, senza storia, senza riferimenti. Trump non ha citato nessuno, tranne se stesso: non ha citato i suoi predecessori, né uomini di cultura o di scienza, a parte un paio di richiami (a modo suo, non precisi, un po’ per sentito dire) alla Bibbia. E non ha neppure citato un qualsiasi Paese estero, né la Cina né la Russia, figuriamoci l’Europa, a meno che non ci siano fischiate le orecchie quando ha detto che gli Stati Uniti hanno sprecato le loro risorse per difendere altri Paesi - fossimo mai noi? - mentre non proteggevano se stessi. È stato un discorso inquietante e arrogante: “Prospereremo di nuovo” e gli altri saranno “liberi di seguirci”, “sradicheremo dalla faccia della Terra il terrorismo integralista islamico”, “sconfiggeremo la droga e le malattie”, della serie ‘miracoli offrensi’. È stato un discorso, come spesso i suoi, mirato a suscitare lo spirito di rivalsa dei perdenti d’America, illudendoli che lui, miliardario con il culto del profitto, sia il loro profeta. Ce n’erano a decine di migliaia assiepati sotto Capitol Hill e lungo il Mall fino al Washington Monument: neri, ispanici, donne, che lo hanno votato nonostante gli insulti e la minaccia del muro anti-immigrazione (che non è mai stata evocata). È stato un discorso, come sempre i suoi, che partiva da presupposti totalmente falsi: descrive l’America lasciatagli in eredità da Barack Obama come un Paese in macerie che ha subito - letterale - “una carneficina”, una sorta di ‘Germania Anno Zero’ di Roberto Rossellini o di ‘The Day After’ d’un attacco atomico - il film si riferiva a una catastrofe ambientale, ma quella Trump non la contempla, semmai la facilita. Bufale, nazionalismi e giacobinismi È stato un discorso nazionalista e protezionista: America First, ‘comprate americano e assumete americano’. Questa l’abbiamo già sentita: è l’ennesima versione dell’autarchia italica, che non finisce mai bene, ma che dopo un po’ torna a piacere perché suona bene. È stato un discorso senza concessioni alla cooperazione internazionale e alla solidarietà fra i popoli della Terra, come nessun presidente americano ha mai fatto, di sicuro da Roosevelt in poi - magari, qualcosa di simile erano i discorsi dei presidenti repubblicani degli Anni Venti, tra proibizionismo e charleston, che prepararono la crisi del ’29 e, senza né volerlo né rendersene conto, contribuirono ad avviare il Mondo verso la Seconda Guerra Mondiale. Persino Bush jr, ‘rinato in Cristo’, voleva e vedeva l’America ‘compassionevole’ e ‘misericordiosa’, anche se poi invadeva Paesi a buffo e faceva torturare presunti terroristi. È stato un discorso da Robespierre del XXI Secolo: sembrava di stare su una piazza insanguinata della Rivoluzione francese (e non solo perché l’ho seguito da Parigi). Trump ha sommariamente processato in pubblico, sollecitando gli astanti e tutta la gente che lo seguiva alla tv a essere giurati, i presidenti suoi predecessori che sedevano dietro di lui e tutta la classe politica statunitense che assisteva al suo insediamento - tranne le decine di senatori e deputati che disertavano l’evento, non riconoscendone la legittimità o semplicemente non accettandone le scelte. Li ha accusati di fare solo chiacchiere, mentre adesso ‘è l’ora dei fatti’: d’ora in poi, voi, il popolo, decidete; ed io, Donald, faccio. È stato il primo discorso del 45° presidente degli Stati Uniti. Che si è chiuso con l’inevitabile “Dio benedica l’America”. Ecco, su questo auspicio concordo: Dio, quale che egli sia, benedica l’America e l’aiuti, e ci aiuti, a superare i prossimi quattro anni senza guasti peggiori di una caterva di mediocri discorsi. Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello IAI. |
giovedì 26 gennaio 2017
USA. Il giuramento del 45° Presidente
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