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“Sono tempi difficili”. Così il presidente dell'Ecuador, Rafael Correa (il cui mandato è in scadenza a metà febbraio), è andato dritto al punto parlando del momento problematico che vivono le sinistre in America Latina. Una frase pronunciata non a caso durante il funerale di Fidel Castro, fra gli avvenimenti che più hanno colpito la sinistra latinoamericana nel 2016.
Nello stesso discorso, il presidente ecuadoriano ha ricordato anche le "battute d'arresto elettorali" di diversi Paesi della regione, dove le sinistre - che hanno sempre prevalso negli ultimi dieci anni - hanno dovuto cedere il passo a governi più conservatori. Le elezioni che hanno avuto luogo nell’ultimo anno e mezzo hanno portato al potere l’imprenditore Mauricio Macri in Argentina, l'ex banchiere Pedro Pablo Kuczynski in Perù, mentre in Brasile è entrato in carica il politico di lungo corso Michel Temer, vice di Dilma Rousseff, a cui è subentrato dopo l’impeachment della “presidenta”. Contando anche i referendum in cui la sinistra è stata sconfitta - come quello su un terzo mandato per il presidente boliviano Evo Morales, o quello sull’accordo con le Farc in Colombia - e la scomparsa, negli ultimi anni, di leader carismatici (non solo Fidel, ma anche Hugo Chávez e Néstor Kirchner), è evidente che i progressisti e i rivoluzionari dell’America Latina devono far fronte a un momento complicato. E il 2017 potrebbe essere l’anno che definirà fino a che punto la regione sterzerà a destra. Nei prossimi mesi si terranno infatti le elezioni presidenziali in Ecuador, Cile e Honduras, le legislative in Argentina e le regionali per il rinnovo dei governatori in Messico. Il 19 febbraio il voto in Ecuador sarà caratterizzato dall'assenza della candidatura socialista di Correa, che - alla guida del Paese da un decennio - non può ripresentarsi per raggiunti limiti di mandato. In Cile, dove si voterà a metà novembre, l’ex presidente Sebastián Piñera, di destra, è in testa ai sondaggi. L’imprenditore è diversi punti davanti un altro ex, Ricardo Lagos, rappresentante della stessa coalizione di centrosinistra del capo dello Stato in carica Michelle Bachelet (non rieleggibile). Alle urne in autunno anche l’Honduras, dove il favorito è il presidente uscente Juan Orlando Hernández, conservatore che punta ad un nuovo mandato. La sua candidatura è stata validata lo scorso dicembre dal Tribunale elettorale supremo, nonostante l'opposizione la consideri illegale, sottolineando come nel 2009 l'ex presidente Manuel Zelaya, che aveva tentato il bis, venne deposto in un colpo di Stato fra i cori di disapprovazione delle sinistre del continente. Effetto pendolo Il fatto che così tanti politici conservatori latinoamericani appaiano come favoriti non è una coincidenza. Secondo la società di sondaggi Latinobarometro, nel 2016 è aumentato il numero dei cittadini sudamericani che si collocano a destra dello spettro politico dei rispettivi Paesi. E si tratta del quarto anno consecutivo in cui questa tendenza viene registrata dai sondaggisti. Il 28% dei cittadini della regione, infatti, si dichiara di destra: nove punti in più rispetto al 19% del 2011. Sempre secondo il sondaggio, solo il 20% dei latinoamericani si considera di sinistra, mentre il 36% si identifica con un più generico “centro”. Ovviamente, si tratta di un fenomeno che ha diverse spiegazioni: anzitutto, la fine del boom dei prezzi delle materie prime, che ha causato molti problemi economici durante la gestione di diversi governi di sinistra, i quali sono così finiti per essere identificati come i responsabili del peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni. Ma ci sono anche le fasce più umili della popolazione che chiedono un pugno duro contro criminalità e narcotrafficanti, e le religioni evangeliche che avanzano ed esortano i fedeli a difendere posizioni tradizionaliste su questioni come l'aborto o il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Inoltre, i nomi di primo piano del campo progressista latinoamericano degli ultimi anni, come l'ex presidente brasiliano Lula o l'ex leader argentina Cristina Kirchner, si trovano a dover fronteggiare pesanti accuse di corruzione nelle aule dei tribunali. Comunque vadano i processi, le loro immagini sono definitivamente compromesse. In aggiunta vi è la grave crisi economica e politica in atto in Venezuela, che ha portato alla richiesta di un referendum revocatorio del mandato dell'erede politico di Chávez, Nicolás Maduro, e ha contribuito all’aggravarsi della crisi a Cuba. Dei Trump latinos all’orizzonte? Non ci sono solo le contingenze che hanno favorito l’avanzata delle destre nella regione, ma è anche in atto la ricerca di qualcosa che vada oltre la semplice ideologia. I cittadini reclamano soluzioni pratiche che superino il mero assistenzialismo statale; il che potrebbe aumentare l’alternanza al potere, permettendo anche la vittoria di candidati alternativi o populisti. Tanti potenziali “Trump latinos”, fino ad ora quasi emarginati nei rispettivi Paesi, potrebbero emergere con forza. In questo modo, l’affermarsi delle correnti più conservatrici nel 2017 confermerebbe la virata a destra della regione, segnando una tendenza chiara già prima delle presidenziali del 2018 in Brasile, Messico, Colombia, Venezuela e Paraguay. Conservatori sociali Tuttavia, se il prossimo anno i governi pro-mercato di Buenos Aires, Brasilia o Lima non saranno riusciti a cogliere risultati concreti dalle loro politiche economiche, la tensione sociale potrebbe tornare ad aumentare, lasciando prefigurare un nuovo cambio di direzione delle tendenze politiche sudamericane. In sostanza, il 2017 sarà probabilmente ricordato come l’inizio della ventata conservatrice in America Latina. Ma se i partiti di destra non riusciranno a far tornare i loro Paesi sulla strada della crescita e a risolvere o quantomeno attenuare i problemi sociali che ancora li affliggono, il pendolo politico tornerà a sinistra molto rapidamente. Carlo Cauti è un giornalista italiano di base a São Paulo del Brasile. | ||||||||
lunedì 20 febbraio 2017
Turbolenze latino.americane
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