In
sociologia la deterrenza viene studiata nell’ambito delle teorie della devianza
inserite in un contesto criminologico. Lo studio delle problematiche legate
all’ordine sociale ha portato alla definizione di una prima teoria sociologica
basata sull’analisi dei comportamenti criminali dovuti a scelte deliberate.
Tale teoria della scelta razionale[1]
dei criminologi Cornish e Clarke presuppone che le persone tendano ad attuare
strategie individuali libere nella decisione di compiere un’azione criminale
valutando i benefici che si potrebbero trarre dalla condotta deviante. Un
insieme di elementi, dunque, interviene nel processo decisionale in base al
quale si effettua un’accurata analisi dei costi e dei benefici dell’opportunità
criminale. Le variabili dipenderanno dalle abilità cognitive e dalle
informazioni a disposizione del criminale e risulteranno determinanti
nell’elaborazione del modello strategico da seguire. Secondo questa teoria, le
persone agiscono per libero arbitrio ma è necessario introdurre nello schema
altri fattori come il background personale – competenze, capacità individuali,
personalità, educazione – e i fattori situazionali – dipendenze da alcool e
droghe, forti pressioni esterne, estrema vulnerabilità del soggetto. Le scelte
dei soggetti, poi, sono legate a due fondamentali presupposti, la
disorganizzazione sociale e il controllo sociale. Il primo concetto porta alla
constatazione che i desideri e bisogni personali possano essere soddisfatti
mediante azioni illegali. Il secondo presupposto, invece, sottolinea il calcolo
di costi e benefici dell’azione deviante o legale con conseguente scelta della
via più conveniente da seguire. Con il concetto del controllo sociale si
introduce la Teoria del deterrente, sviluppata intorno alla metà del XX secolo.
Secondo questa teoria, l’idea di una punizione dovrebbe fungere da deterrente
all’attuazione di azioni criminali. Non si nasce criminale ma la devianza è
frutto di scelte legate ai benefici e ai costi. Nel momento in cui la
possibilità di incorrere in una punizione dovesse risultare maggiore rispetto
al raggiungimento di presunti benefici, il soggetto sarà portato ad invertire
la tendenza deviante e rispetterà la legge. Ad una sanzione più severa
corrisponderà, secondo i teorici della deterrenza, un potere deterrente più
elevato, ci si allontana, dunque, dal pensiero di Beccaria[2]
secondo il quale la gravità del reato e la pena dovessero equivalersi.
Partendo
dalle tematiche della devianza sociale che sottolineano l’intervento razionale
e irrazionale nell’orientamento del processo decisionale si arriva a
considerare l’importanza che il pensiero di una possibile azione della
controparte detiene per il compimento di specifiche scelte. Il riferimento è
alla Teoria dei giochi e alla spiegazione sociologica che ne viene data. La
lettura vede le decisioni strategiche legate a ciò che fa o che potrebbe fare
l’altro. L’attenzione si concentra, dunque, sull’interdipendenza dei giocatori
e sulle attese che ognuno ha nei confronti dell’avversario/alleato.
Allargando
i concetti citati ai contesti internazionali, l’uso della deterrenza tra
nazioni, così come è avvenuto durante il periodo dell’Equilibrio del terrore,
diventa più comprensibile. Le minacce del compimento di una azione dai risvolti
devastanti sono servite per prevenire tali azioni prima che accadessero. Al
pari del singolo individuo, uno Stato valuta costi e benefici di una azione
intesi in termini di guadagni, aspettative, ammontare dei costi materiali e
non, la possibilità di una perdita del proprio status e del potere rivestito,
tutti elementi che saranno determinanti nel stabilire l’azione successiva. In
conclusione, se le minacce e i calcoli strategici dovessero colpire nel segno
come conseguenza si avrà un’inazione
dell’altro.
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