Media Se Al-Jazeera sbarca nella Grande Mela Azzurra Meringolo 02/09/2013 |
Ammiccando all’America
Secondo quello che ci dice il portavoce di Al-Jazeera America, Stan Collander, dietro questa mossa si nasconderebbe solo la fame di affari dell’emiro. Difficile credere però che l’operazione di mercato non sia l’ennesima mossa del soft-powerqatarense.
Per conquistare il suo nuovo pubblico, sono mesi che gli altri canali di Al-Jazeera ammiccano agli americani. Basta pensare a quanto accaduto a Joseph Massad che a maggio ha visto sparire dalla home page di Al-Jazeera un suo articolo nel quale commemorava la Nakba, il giorno in cui i palestinesi ricordano la loro catastrofe. Nel suo The Last Semites, Massad scardina alcuni miti e contesta alcuni fatti storici considerati acquisiti sul sionismo, ponendo in dubbio anche il fenomeno dell’antisemitismo.
Meglio edulcorare i termini, pensa Ehab al-shihabi, il direttore esecutivo di Al-Jazeera America, timoroso di possibili ricadute in termini di immagine e di marketing per l’operazione di lancio del nuovo canale.
Non è la prima volta che Al-Jazeera decide di accordare la propria voce sulle tonalità americane. Già nel 2011, il direttore Waddah Khanfar era stato costretto alle dimissioni per un cable scoperto da Wikileaks nel quale veniva accusato di aver dato versioni di comodo della guerra in Iraq nel 2005 su pressione degli Stati Uniti.
Paladina della libertà di opinione
La nuova avventura americana influenza quindi la politica editoriale di un’emittente che fu creata nel 1996 dall’ex emiro del Qatar Hamad bin Khalifah al-Thani. L’idea originaria era di farne un canale indipendente e innovativo nel contesto regionale.Una televisione in grado di riplasmare i rapporti di forza all’interno del mondo arabo che puntasse sull’obiettività e sul pluralismo, piazzando anche il piccolo emirato del Qatar - Paese con il reddito pro capite più alto del mondo pari a oltre 100 mila dollari - sulla mappa delle relazioni internazionali.
Un’emittente che proponesse una narrativa delle dinamiche regionali alternativa rispetto a quella occidentale, ma rispettosa degli standard del giornalismo professionale.
Per fare del Qatar un Paese paladino della libertà di informazione, l’emiro fa scendere in campo anche sua moglie che nel 2008 fonda un centro per la liberà dei media nella regione. Il primo a guidarlo è Robert Ménard, fondatore di Reporters senza frontiere. Ménard non è però disposto a barattare il suo silenzio in cambio di uno stipendio dorato. Ménard critica le contraddizioni del sistema informativo qatarense e inizia a puntare il dito contro la leadership locale. Nel giro di poco però è lui a uscire di scena, dopo essere stato descritto come un pornografo amico di Satana.
Il messaggio è chiaro: tralasciare indagini su questioni interne come quella relativa all’ascesa al potere, nel ’95, dell’emiro Hamed. Nell’emittente nota per la sua libertà di opinione è ancora vietato affermare che in quell’anno c’è stato un colpo di stato. Meglio indagare i mali di Iraq e Afghanistan sulla cui copertura Al-Jazeera costruisce la sua credibilità.
Parabola discendente
La rivoluzione attraverso la quale Al-Jazeera plasma il giornalismo arabo inizia a scemare nel periodo delle primavere arabe, quando l’influenza del governo del Qatar nella linea editoriale dell’emittente diventa ancora più evidente. Il crollo arriva poco dopo, con l’ascesa nel mondo arabo di nuovi governi islamisti che tanto deludono le popolazioni.
Il Qatar investe nel nuovo Egitto di Mohamemd Mursi. Tutti i canali di Al-Jazeera esaltano le gesta del presidente islamista. Gli egiziani che tanto hanno ringraziato la prima satellitare panaraba per il sostegno alla loro rivoluzione contro Hosni Murbarak, iniziano però a cambiare canale. Lo stesso fanno in Tunisia e in Bahrein dove, secondo uno studio della Northwestern University in Qatar, solo il 4% della popolazione guarda la tv dell’emiro.
E così, nei dintorni di piazza Tahrir, l’Al-Jazeera megafono degli islamisti democraticamente eletti, ma illiberali, viene censurata dai militari poche ore dopo la destituzione, il 3 luglio scorso, di Mursi.
Per compensare la perdita di audience araba, Al-Jazeera sta puntando sui telespettatori del mercato a stelle e strisce. Ma sull’agenda del nuovo emiro Tamin, Al-Jazeera è ancora un’arma per vincere la sfida sull’equilibrio regionale. Con l’uscita di scena di Mursi, il campo di battaglia si è complicato e la Siria resta il punto nevralgico.
Qualora il regime di Bashar al-Asad vincesse, il Qatar vedrebbe cambiare a suo sfavore gli equilibri nella regione con il rafforzamento dell’asse Iran-Siria-Hezbollah. Ad Al-Jazeera quindi il compito di contribuire all’affossamento del regime più ostico della regione.
Azzurra Meringolo è dottoressa in Relazioni Internazionali presso l’Università di Bologna. È autrice di "I Ragazzi di piazza Tharir" e vincitrice del premio giornalistico Ivan Bonfanti 2012. Ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI), è coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.
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