Alleanza del Pacifico e Mercosur America Latina a due velocità Carlo Cauti 25/08/2013 |
Nel maggio di quest’anno, tuttavia, lo stesso Humala è stato immortalato al fianco del presidente colombiano, Juan Manuel Santos, del messicano Enrique Peña Nieto, e del cileno, Sebastián Piñera, nella cerimonia per l’entrata in vigore dell’Alleanza del Pacifico, Ap, un’area di libero scambio dove il 90% dei prodotti commercializzati tra i Paesi membri è esente da tariffe doganali, e di cui il Perù è fondatore.
La decisone del presidente peruviano di far parte di un accordo commerciale come l’Ap è essenzialmente dovuta alla constatazione degli ottimi risultati economici ottenuti negli ultimi anni dai Paesi partner. Messico, Cile e Colombia hanno attestato le loro rispettive economie nazionali su posizioni liberiste e liberoscambiste, beneficiando in questo modo di una solida crescita del Pil, superiore alla media regionale.
Il Cile è l’esempio lampante di questo successo. Grazie a politiche economiche di stampo liberista, unite ad una serie di accordi di libero scambio firmati con 60 Paesi e organizzazioni regionali, tra cui Stati Uniti e Unione Europea, negli ultimi vent’anni l’economia cilena è cresciuta in media de 5,2%, contro un indice regionale del 2,6%.
Allo stesso tempo sono stati ridotti i livelli di criminalità e di povertà, oggi tra i più bassi dell’America del Sud. Secondo diverse proiezioni, prima del 2020 i cileni raggiungeranno un Pil pro-capite superiore a 22 mila dollari, entrando a far parte del cosiddetto “primo mondo”.
Ricetta vincente
Applicando la stessa ricetta cilena, anche Messico e Colombia hanno registrato importanti progressi economici negli ultimi anni, e questa omogeneità di politiche e di risultati ha portato, quasi naturalmente, alla creazione dell’Alleanza. Nata con precisi obiettivi economici, l’Ap si proietta commercialmente verso l’Oceano Pacifico e in particolare verso i dinamici mercati asiatici, a cominciare dalla Cina.
Il rapporto percentuale delle esportazioni sul Pil mostra l’importanza del commercio estero nell’economia dei membri: Colombia 19%, Perù 29%, Messico 32%, Cile 38%, per un totale di circa 556 miliardi di dollari. Nessuna grande economia regionale può vantare valori più elevati.
Senza contare gli accordi di libero scambio firmati con altrettanti Paesi o blocchi regionali, portati “in dote” da ogni membro dell’Ap e diventati automaticamente patrimonio comune di tutti i partner. Grazie all’entrata in vigore dell’accordo, le previsioni di crescita del Pil dei Paesi membri nel 2013 sono stimate intorno al 5%.
Diversi Paesi hanno mostrato forte interesse nei confronti del nuovo blocco regionale. Il Costa Rica è diventato da poche settimane il quinto membro pieno; Panama ha già presentato la sua candidatura e tra gli osservatori ci sono Spagna, Canada, Guatemala, Uruguay, Nuova Zelanda, Australia, Giappone, Ecuador, El Salvador, Francia, Honduras, Paraguay, Portogallo e Repubblica Dominicana.
Cugini lontani
Sulla sponda atlantica del Cono Sud, al contrario, i “cugini” del Mercosur sembrano allontanarsi sempre di più da questi successi economici. A 22 anni dalla sua creazione, il Mercato Comune del Sud vanta una percentuale di prodotti esenti da dazi inferiore a quella della neonata alleanza: soltanto l’80%.
Da alcuni anni si registra una riduzione del libero scambio all’interno dello stesso Mercosur, a causa delle costanti scaramucce doganali tra i Paesi membri, in particolare tra Argentina e Brasile.
Il numero di accordi commerciali firmato dall’organizzazione con Paesi terzi è fermo a 3: Israele, Palestina e Egitto. Qualsiasi accordo commerciale deve essere necessariamente approvato unanimemente da tutti i Paesi membri, che ovviamente hanno strutture economiche molto diverse e impediscono di fatto qualsiasi intesa.
Infine, i continui interventi statali nell’economia hanno prodotto una minore crescita del Pil del blocco, fermo al 2,5%.
Identità opposte
L’Ap e il Mercosur presentano identità opposte perché già al momento della loro nascita i Paesi fondatori avevano alle spalle tradizioni economiche diametralmente opposte. Nell’Alleanza si trovano economie in cui il paradigma liberista era già un assioma consolidato. Nel Mercosur convivono Paesi protezionisti, dove lo stato non si trattiene dall’intervenire.
Il risultato è che nella classifica di libertà economica dell’Heritage Fundation, il Mercosur occupa la 133 posizione mentre l’Alleanza la 29. Per aprire un’azienda a San Paolo c’è bisogno di aspettare 119 giorni e spendere oltre 1000 euro, mentre a Santiago solo sette ed è gratis.
A queste condizioni è logico aspettarsi che le quote di mercato mondiali di questi Paesi si riassetteranno in poco tempo, così come i flussi di Investimenti Diretti Esteri e i livelli di produzione industriale.
Si sta dunque delineando una spaccatura ideologica e economica in America Latina, che porterà quasi sicuramente a un Cono Sud “a due velocità”, con una sponda pacifica economicamente in crescita ed una sponda atlantica stagnante, con conseguenze importanti nelle relazioni internazionali e negli equilibri dell’intera regione.
Brasile ago della bilancia
In Brasile l’opinione pubblica inizia a chiedersi apertamente se sia nell’interesse nazionale rimanere legati al Mercosur o se iniziare una politica commerciale indipendente, per aumentare la propria capacità di proiezione internazionale e agganciare in questo modo i grandi centri economici mondiali.
L’annuncio dell’inizio delle trattative per un accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti ha generato un forte interesse nella classe politica brasiliana, che ha ben chiara la necessità di trovare nuovi sbocchi e stimoli per un’economia che inizia a dare segni di stagnazione, se non di stagflazione.
Se in Brasile - che rappresenta da solo oltre due terzi di popolazione, Pil, e territorio di tutto il Mercosur - prevalesse l’idea di abbandonare l’organizzazione al proprio destino, probabilmente questa non avrebbe più senso di esistere.
I Paesi rimanenti sarebbero costretti a scegliere se continuare a seguire programmi politici bolivariani o aprirsi finalmente al libero mercato e all’economia mondiale.
Carlo Cauti è giornalista presso la sede Ansa di San Paolo del Brasile. Le opinioni espresse in questo documento sono personali dell'autore e non rappresentano necessariamente le opinioni dell'Ansa .
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