venerdì 25 ottobre 2013
Burasile: Alta Velocità, una occasione per le industrie italiane
Il Presidente del Brasile Dilma Rousseff ha lanciato il nuovo Programma federale per l’infrastruttura e la logistica che prevede di attrarre in 25 anni investimenti privati nei settori della costruzione di strade e ferrovie per un ammontare di 133 miliardi di Real (circa 53 miliardi di Euro), di cui 80 mld nei prossimi 5 anni e la restante parte fino al 2037.
Il Programma intende realizzare una pianificazione integrata del sistema dei trasporti e prevede la duplicazione di arterie stradali (7.500 km) e la costruzione di nuove linee ferroviarie (10.000 km). Col lancio del Programma di Infrastruttura e Logistica il governo brasiliano ha pubblicato il bando di gara relativo alla prima linea ferroviaria ad alta velocità – cosiddetto “Trem Bala” (treno proiettile) – che collegherà le città di Rio de Janeiro, San Paolo e Campinas.
Il TAV brasiliano risponde all’esigenza di collegare le due maggiori città del grande Paese sudamericano, quelle dove hanno sede le maggiori imprese nazionali e straniere e sono dislocati gli aeroporti internazionali col maggior numero di transiti annuali. In questo periodo, già battezzato decennio dello sport per via dei due importantissimi appuntamenti sportivi internazionali (campionati del mondo di calcio del 2014 ed olimpiadi del 2016 ), la scelta di potenziamento delle infrastrutture del Paese risulta davvero strategica anche per il suo futuro.
Il termine per la presentazione delle offerte doveva scadere il 16 agosto scorso ma l’asta è stata rinviata di almeno un anno. La motivazione ufficiale è che ci sarebbe l’assenza di concorrenza tra le imprese interessate: tra di esse (la francese Alstom, la tedesca Siemens e la spagnola Renfe), infatti, solo la compagnia transalpina ha finora formalizzato una proposta.
Il Presidente della società di Pianificazione e Logistica (EPL), Bernardo Figueiredo, ha sottolineato che la decisione di posporre il subappalto è stata presa dopo aver parlato con i paesi interessati. Infatti, mentre la Francia era già pronta a partecipare alla licitazione, la Spagna ha chiesto più tempo e la Germania che si rinviasse di un anno, secondo quanto ha reso noto lo stesso Figueiredo in un comunicato stampa. L’intento degli spagnoli è di costituire un unico grande gruppo per competere per questo contratto, cercando di ripetere il successo ottenuto in Arabia Saudita, dove alla fine del 2011 la Spagna – con un consorzio di imprese – si è aggiudicata l’AVE La Mecca-Medina, uno dei più grandi contratti mai stipulati all’esterno. Inoltre, le aziende spagnole in queste ultime settimane stanno lavorando alacremente per evitare che l’immagine internazionale dell’Alta Velocità spagnola sia offuscata dall’incidente di un treno Alvia occorso in Santiago de Compostela il 24 luglio scorso.
L’aggiudicazione della gara era stata fissata, prima del rinvio, al 20 novembre 2013. L’inizio delle opere sarebbe dovuto avvenire nel 2015, mentre l’operatività dei treni avviata entro il 2° semestre del 2020. Il progetto TAV Brasile prevede la costruzione e gestione, in concessione per 40 anni, di una linea ad Alta Velocità (per una velocità massima di 350 km/h) di circa 510 Km, di cui 90 in galleria, 108 in viadotto e 312 in superficie.
Varrà la combinazione di due criteri di aggiudicazione: la capacità di pagare il maggior valore per km/treno ed il minor costo proposto per la costruzione dell’opera. Sarà valutata di più la tecnologia proposta. L’ANTT ha reso disponibile le informazioni e la documentazione per il bando di gara anche sulla sua pagina web (http://www.antt.gov.br/). Intanto il ministro brasiliano dei Trasporti César Borges ha voluto assicurare che non impedirà al consorzio spagnolo Renfe di partecipare alla licitazione, dubbio che si era posto poiché tra i requisiti previsti dal concorso c’è quello di non aver avuto un “incidente fatale” negli ultimi cinque anni; il Ministero della Promozione spagnolo e le imprese implicate hanno assicurato che il tratto Ourense-Santiago non era di alta velocità.
Dopo l’incontro a Brasilia nel 2012 tra i vertici di ANTT e di FFSS, all’esito del quale il Governo brasiliano, secondo il comunicato stampa delle FFSS, aveva stimato che i passeggeri che avrebbero viaggiato sull’Alta Velocità sarebbero stati 46 milioni nel 2024, fino ad arrivare a 69 milioni nel decennio successivo, nessuna notizia è giunta riguardo all’intenzione di candidarsi sia da parte di FFSS che di altre imprese italiane.
E sebbene tutto appaia ancora troppo incerto e molti osservatori ritengano che le opere non vedranno mai la luce, il Presidente della EPL brasiliana Figueiredo sostiene che “ l’iniziativa è ancora in piedi”. Staremo a vedere.
lunedì 14 ottobre 2013
J. Jnsulza: il punto di situazione sull'America Latina
Il Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), José Miguel Insulza, il 12 settembre 2013, ha tenuto una Conferenza per illustrare la situazione generale dei paesi dell’America Latina nella sede romana dell’Istituto Italo-Latino Americano (IILA). Insulza, che ha assunto l’attuale prestigioso incarico nel maggio 2005, è un politico cileno, esponente del Partito Socialista, laureato in legge all’Università di Santiago del Cile, che, dopo il colpo di stato militare di Pinochet, si era trasferito dapprima in Italia, poi in Messico ed infine negli Stati Uniti, dove si è specializzato in economia.
La conferenza ha avuto luogo alla presenza degli Ambasciatori rappresentanti i Paesi membri dell’IILA, di alcuni parlamentari italiani, di funzionari del Ministero degli Affari Esteri, di rappresentanti del mondo diplomatico, di giornalisti e di studiosi, tutti interessati all’America Latina, che hanno partecipato anche all’interessante dibattito seguito alla Conferenza. Il Segretario Generale dell’OSA, dopo i saluti del Segretario Generale dell’IILA Giorgio Malfatti di Monte Tretto e del Presidente dell’IILA S.E. l’Ambasciatore Miguel Ruìz-Cabañas, ha preso la parola esponendo una relazione sulle principali sfide, difficoltà e problematiche che oggi pone l’America Latina.
Secondo Insulza forse è un po’ esagerato sostenere – come ha fatto l’Economist – che il XXI secolo sia il secolo dell’America Latina. E’ vero, però, che il biennio 2010-2012 ha segnato un grande sviluppo economico di quest’area, sebbene la crisi globale del 2008 l’abbia comunque toccata. La crescita registrata, d’altra parte, è abbastanza eterogenea: nel 2010, ad esempio, il Paraguay ha avuto un enorme sviluppo economico (+15%); mentre la crescita del Centro America è stata più bassa a causa del problema del narcotraffico (una media del +3%); ed il Caribe ha segnato il passo con una crescita vicina allo zero. L’export dell’America Latina è cresciuto del 4-5% all’anno. C’è stata una sostanziale riduzione della povertà, con circa 60 milioni di persone uscite da questo difficile status nel primo decennio del 2000; circostanza che ha consentito una crescita generale dei consumi grazie al notevole incremento di persone che hanno avuto accesso alla classe media. D’altra parte la classe media latinoamericana, sostiene Insulza, è molto fragile per via della sua instabilità. E’ innegabile, però, che non c’è mai stata tanta democrazia – assoluta e diffusa – in America Latina come in questa prima decade del 2000: la democrazia non si costruisce in un giorno ed il grado di democrazia raggiunto non è paragonabile anche solo a quello del decennio precedente.
L’accesso all’educazione è ormai quasi universale in tutta l’America Latina. La disuguaglianza, invece, è ancora un problema che, però, non può essere affrontato nello stesso modo della povertà: infatti, per ridimensionare la disuguaglianza è necessario che chi cresce di meno cresca ad un ritmo superiore di chi cresce di più; e questa, specialmente in un periodo di crescita relativa com’è l’attuale, è una sfida assai difficile. Un’altra sfida da affrontare è l’accesso diffuso alla salute, come dimostrano ad esempio le recenti contestazioni sul tema in Brasile. Un problema grave è quello della sicurezza: basti pensare che in ciascun paese di quest’area per ogni polizia pubblica ci sono almeno 4 polizie private. Questione spinosa è, poi, la violenza, considerato che il tasso di criminalità dell’America Latina è il più alto del mondo (ad esempio il tasso di omicidi); il 96% degli omicidi è commesso da giovani tra i 10 ed i 24 anni, sicché si parla di un problema giovanile. Riguardo alla violazione dei diritti umani c’è ancora molto da fare: senza dubbio, secondo Insulza, l’OSA è stata un volano molto importante per la difesa di essi; ma deve far riflettere che la Convenzione Americana dei Diritti Umani (approvata dall’Assemblea dell’OSA nel 1969) non sia stata ancora ratificata dagli USA e sia stata addirittura denunciata dal Venezuela. Altro problema è la droga: l’America Latina, infatti, è il continente del mondo dove si svolge il maggior numero di attività collegate alla droga (coltivazione, raccolta, produzione, transito verso altri paesi etc.); ed è l’area in cui si consuma il 45% della cocaina ed eroina consumate nelle Americhe ed il 25% di marijuana.
Insulza ha, inoltre, sottolineato:
Il rapporto dell’OSA da cui provengono i dati sopra citati, secondo Insulza, suggerisce di affrontare il problema da una prospettiva in cui la salute prevalga di fronte alla sicurezza, privilegiando prevenzione e trattamento, oltre a tracciare alcuni possibili scenari: in primis quello della depenalizzazione del consumo, che sta guadagnando consenso negli USA (Colorado e Washington), ma anche in Uruguay, Argentina e Brasile. Il concetto è stato ribadito dal Segretario Generale dell’OSA a margine della conferenza, quando il pubblico gli ha domandato se ritenesse utile alla lotta contro la droga in America Latina la recente legalizzazione della marijuana da parte dell’Uruguay. La Camera dei deputati uruguaiana, infatti, ha approvato la legalizzazione della marijuana con una norma che prevede la legalizzazione della coltivazione (fino a sei piante per persona) e compravendita della cannabis, attraverso la creazione di un organismo statale che regolamenterà ogni fase dell’attività: i consumatori, registrati in un’apposita banca dati, potranno acquistare fino a 40 grammi di marijuana al mese, attraverso una rete di farmacie autorizzate. La legge, fortemente voluta dal Presidente dell’Uruguay José Mujica, mira a regolare e controllare la produzione e la distribuzione per il consumo personale o per fini terapeutici, come avviene in altri Paesi, ed ha ottenuto il sostegno anche del segretario generale dell’OSA, che alla domanda di cui si diceva ha risposto, appunto:
José Miguel Insulza si è congedato sostenendo di non aver voluto dare ricette, ma di aver delineato uno scenario su cui discutere per poi trovarne una tutti insieme. Molti paesi latino americani hanno dimostrato in questi ultimi anni di aver saputo raccogliere questo invito. L’augurio è che la capacità di dialogare e di porsi in ascolto dimostrata da alcuni di essi sia contagiosa per tutti i paesi dell’area.
lunedì 7 ottobre 2013
Stati Uniti, ONU e Somalia
Nazioni Unite Se l’Onu torna in Somalia Andrea de Guttry 24/09/2013 |
A circa 20 anni dall’esito disastroso delle precedenti operazioni Unosom del 1992 e del 1993-95, le Nazioni Unite ritornano in Somalia con una nuova operazione sul campo, Unsom, decisa dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione 2102(2013) del 2 maggio scorso.
Dal 1950 a oggi
Le Nazioni Unite hanno avuto un ruolo importante nella storia recente della Somalia. Nel 1950 l’Onu istituì, in quella che veniva definita “Italian Somaliland”, un regime internazionale di amministrazione fiduciaria, la cui gestione venne affidata all’Italia (la British Somaliland rimase invece, un protettorato britannico) sino al 1960, anno dell’indipendenza somala e della riunificazione formale tra le due parti di territorio.
Tra il 1992 e il 1995 il Consiglio di sicurezza decise di dispiegare le missioni Unosom 1 (1992), Unitaf (a comando Usa) e Unosom 2 con il compito di fornire e di facilitare l’assistenza umanitaria necessaria per fronteggiare la terribile carestia che stava affiggendo il paese, nonché di monitorare il rispetto del cessate il fuoco promosso dalle Nazioni Unite al termine della lunga guerra civile.
Le due missioni Unosom non riuscirono a conseguire il mandato loro affidato e, anche a seguito dei ripetuti attacchi che subirono, furono chiuse in anticipo, obbligando le Nazioni Unite ad “abbandonare” la Somalia in maniera precipitosa.
In seguito, l’attività Onu in Somalia si è concentrata essenzialmente su quattro versanti: favorire una soluzione politica del conflitto somalo, anche mediante il dispiegamento della missione Amisom (l’operazione dell’Unione africana in Somalia); rafforzare la lotta alla pirateria nelle acque antistanti la Somalia (mediante l’adozione di una serie di risoluzioni assai innovative); rafforzare il sistema di sanzioni per prevenire ulteriori violazioni di diritti umani e della sicurezza internazionale (si veda, per tutte, la recente risoluzione del Consiglio di sicurezza 2111(2013) e, infine, la recente decisione di attivare la missione Unsom.
Ambizioni onusiane
La recente missione rientra tra le così dette “Political Missions” delle Nazioni Unite. Il suo mandato risulta assai ambizioso: fornire assistenza al governo federale somalo in materia di pacificazione e riconciliazione nazionale, governance, stato di diritto, riforma degli apparati di sicurezza e coordinamento degli aiuti internazionali.
Infine rientra nel mandato della missione anche il delicato compito di aiutare le autorità locali nelle indagini relative alle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, con particolare attenzione alle violazioni dei diritti dei fanciulli e delle donne.
L’architettura istituzionale della missione prevede che la stessa sia presieduta da un rappresentante speciale del Segretario generale, attualmente il diplomatico britannico Nicholas Kay. Questo sarà assistito da due vice. Uno avrà il compito di coordinare tutte le iniziative intraprese in Somalia dalle varie agenzie ed istituti Onu, l’altro si occuperà del coordinamento umanitario.
Per conseguire gli obiettivi della missione, è previsto il dispiegamento di diverse centinaia di funzionari Onu la cui sicurezza fisica, che rimane uno dei problemi irrisolti in Somalia, viene affidata ad uno speciale contingente di oltre 300 soldati di Amisom.
Si tratta di un compito assai complesso anche perché è prevista l’apertura di uffici di Unsom sia a Mogadiscio che, appena possibile, a Hargeisa (Somaliland), Garowe (Puntland), Baidoa, Beledweyne e Kismaayo.
Sfide future
Tra le prossime sfide di Unsom devono essere ricordate quelle relative all’avvio di una proficua ed intensa collaborazione con Amisom e l’Unione africana (che spera molto che Unsom possa presto sostituire la missione Amisom), la gestione della sicurezza del personale delle Nazioni Unite (problema sicuramente prioritario), l’avvio di rapporti proficui con le autorità locali nel pieno rispetto del principio della local ownership, il rafforzamento delle collaborazioni con le amministrazioni del Puntland, Somaliland con la Jubba Interim Administration (nel sud del Paese).
E inoltre il pieno coinvolgimento dell’Igad, l’istituzione regionale che raggruppa i Paesi del Corno d’Africa, e degli stati limitrofi (ed in primis dell’Etiopia che ha svolto un ruolo importante nel processo di stabilizzazione della Somalia) ma soprattutto l’avvio, con l’aiuto dei donors internazionali, di programmi di sviluppo economico del paese.
Le difficoltà in cui la missione Unsom si trova ad operare, il mandato ambizioso ad essa affidato, le attese della popolazione locale e degli attori internazionali, richiedono che le Nazioni Unite non siano lasciate sole e che tutti i partner, ed in primis l’Europa, collaborino per il successo della missione.
La recente conferenza di Bruxelles, promossa dall’Unione europea e terminata il 16 settembre scorso con l’approvazione del “Somalia New Deal Compact” costituisce un primo passo importante di questa collaborazione che lascia presagire qualche speranza per il futuro del popolo somalo.
Andrea de Guttry è professore di diritto internazionale e vicedirettore della Scuola Superiore Sant’Anna. Direttore del Centro di ricerca internazionale sullo sviluppo dei conflitti e la politica globale della Scuola Superiore Sant’Anna.
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Dal 1950 a oggi
Le Nazioni Unite hanno avuto un ruolo importante nella storia recente della Somalia. Nel 1950 l’Onu istituì, in quella che veniva definita “Italian Somaliland”, un regime internazionale di amministrazione fiduciaria, la cui gestione venne affidata all’Italia (la British Somaliland rimase invece, un protettorato britannico) sino al 1960, anno dell’indipendenza somala e della riunificazione formale tra le due parti di territorio.
Tra il 1992 e il 1995 il Consiglio di sicurezza decise di dispiegare le missioni Unosom 1 (1992), Unitaf (a comando Usa) e Unosom 2 con il compito di fornire e di facilitare l’assistenza umanitaria necessaria per fronteggiare la terribile carestia che stava affiggendo il paese, nonché di monitorare il rispetto del cessate il fuoco promosso dalle Nazioni Unite al termine della lunga guerra civile.
Le due missioni Unosom non riuscirono a conseguire il mandato loro affidato e, anche a seguito dei ripetuti attacchi che subirono, furono chiuse in anticipo, obbligando le Nazioni Unite ad “abbandonare” la Somalia in maniera precipitosa.
In seguito, l’attività Onu in Somalia si è concentrata essenzialmente su quattro versanti: favorire una soluzione politica del conflitto somalo, anche mediante il dispiegamento della missione Amisom (l’operazione dell’Unione africana in Somalia); rafforzare la lotta alla pirateria nelle acque antistanti la Somalia (mediante l’adozione di una serie di risoluzioni assai innovative); rafforzare il sistema di sanzioni per prevenire ulteriori violazioni di diritti umani e della sicurezza internazionale (si veda, per tutte, la recente risoluzione del Consiglio di sicurezza 2111(2013) e, infine, la recente decisione di attivare la missione Unsom.
Ambizioni onusiane
La recente missione rientra tra le così dette “Political Missions” delle Nazioni Unite. Il suo mandato risulta assai ambizioso: fornire assistenza al governo federale somalo in materia di pacificazione e riconciliazione nazionale, governance, stato di diritto, riforma degli apparati di sicurezza e coordinamento degli aiuti internazionali.
Infine rientra nel mandato della missione anche il delicato compito di aiutare le autorità locali nelle indagini relative alle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, con particolare attenzione alle violazioni dei diritti dei fanciulli e delle donne.
L’architettura istituzionale della missione prevede che la stessa sia presieduta da un rappresentante speciale del Segretario generale, attualmente il diplomatico britannico Nicholas Kay. Questo sarà assistito da due vice. Uno avrà il compito di coordinare tutte le iniziative intraprese in Somalia dalle varie agenzie ed istituti Onu, l’altro si occuperà del coordinamento umanitario.
Per conseguire gli obiettivi della missione, è previsto il dispiegamento di diverse centinaia di funzionari Onu la cui sicurezza fisica, che rimane uno dei problemi irrisolti in Somalia, viene affidata ad uno speciale contingente di oltre 300 soldati di Amisom.
Si tratta di un compito assai complesso anche perché è prevista l’apertura di uffici di Unsom sia a Mogadiscio che, appena possibile, a Hargeisa (Somaliland), Garowe (Puntland), Baidoa, Beledweyne e Kismaayo.
Sfide future
Tra le prossime sfide di Unsom devono essere ricordate quelle relative all’avvio di una proficua ed intensa collaborazione con Amisom e l’Unione africana (che spera molto che Unsom possa presto sostituire la missione Amisom), la gestione della sicurezza del personale delle Nazioni Unite (problema sicuramente prioritario), l’avvio di rapporti proficui con le autorità locali nel pieno rispetto del principio della local ownership, il rafforzamento delle collaborazioni con le amministrazioni del Puntland, Somaliland con la Jubba Interim Administration (nel sud del Paese).
E inoltre il pieno coinvolgimento dell’Igad, l’istituzione regionale che raggruppa i Paesi del Corno d’Africa, e degli stati limitrofi (ed in primis dell’Etiopia che ha svolto un ruolo importante nel processo di stabilizzazione della Somalia) ma soprattutto l’avvio, con l’aiuto dei donors internazionali, di programmi di sviluppo economico del paese.
Le difficoltà in cui la missione Unsom si trova ad operare, il mandato ambizioso ad essa affidato, le attese della popolazione locale e degli attori internazionali, richiedono che le Nazioni Unite non siano lasciate sole e che tutti i partner, ed in primis l’Europa, collaborino per il successo della missione.
La recente conferenza di Bruxelles, promossa dall’Unione europea e terminata il 16 settembre scorso con l’approvazione del “Somalia New Deal Compact” costituisce un primo passo importante di questa collaborazione che lascia presagire qualche speranza per il futuro del popolo somalo.
Andrea de Guttry è professore di diritto internazionale e vicedirettore della Scuola Superiore Sant’Anna. Direttore del Centro di ricerca internazionale sullo sviluppo dei conflitti e la politica globale della Scuola Superiore Sant’Anna.
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