Primarie 2016 I problemi di Hillary: bianchi arrabbiati, giovani e donne Giampiero Gramaglia 10/02/2016 |
Intendiamoci!, Iowa e New Hampshire rappresentano, insieme, meno d’un sessantesimo della popolazione statunitense e10 Grandi Elettori su 538: due gocce nel fiume delle elezioni. E, inoltre, il New Hampshire non è uno spaccato dell’America, come non lo era lo Iowa: sono solo pezzi d’America, diversissimi tra di loro.
Nel New England bianco e tendenzialmente progressista, esce dalle urne l’urlo di rabbia e delusione di quella classe media che si sente, a torto o a ragione, trascurata e persino tradita, dopo otto anni alla Casa Bianca del presidente nero Barack Obama.
Vincono così l’alfiere dell’anti-politica - Donald Trump fra i repubblicani - e il crociato contro establishment e Wall Street - Bernie Sanders fra i democratici. Perde soprattutto Hillary Clinton: la sconfitta era nell’aria, ma per l’ex first lady questa è una batosta, che nei numeri e nella conta dei delegati non compromette la nomination, ma che alimenta i dubbi sulla sua capacità di essere una calamita di consensi.
L’exploit di Kasich
Si rimescolano le carte, invece, fra i rivali del magnate dell’immobiliare: John Kasich, governatore dell’Ohio, sostenuto dal New York Times, emerge bene al secondo posto col 16% dei suffragi, ma un redivivo Jeb Bush, Ted Cruz, vincitore nello Iowa, e Marco Rubio, terzo nello Iowa e che puntava a essere secondo, ma finisce solo quinto, sono tutti in un fazzoletto tra il 12 e il 10%.
Per Cruz, il mezzo passo falso era scontato: ultra-conservatori ed evangelici contano poco, da queste parti. E prima o poi i suffragi ora distribuiti fra Kasich, Bush e Rubio confluiranno su uno dei tre, che raccoglierà pure le briciole degli altri - tranne quelle del guru nero Ben Carson, destinate a Trump o a Cruz.
I risultati del New Hampshire lasciano presagire che l’incertezza su quali saranno i due candidati dei maggiori partiti si protrarrà ancora per settimane, se non per mesi, fino alle convention di luglio: di qui alla fine del mese, tocca a giorni alterni a South Carolina e Nevada - democratici e repubblicani votano separatamente -; poi, martedì 1° marzo, ci sarà il Super-Martedì, con le scelte di 14 Stati.
E il quadro potrebbe ulteriormente complicarsi se dovesse scendere in lizza come indipendente Michael Bloomberg, tycoon dei media: due candidati ‘polarizzati’ come Trump e Sanders gli lascerebbero uno spazio al centro enorme.
Nonno Bernie batte zia Hilary
Nonostante la neve abbondante, la partecipazione al voto nel New Hampshire è stata notevole: molti seggi hanno dovuto protrarre l’apertura, vista l’affluenza. Gli elettori di entrambi i partiti hanno votato senza pensare all'eleggibilità del loro campione, ma contro i rispettivi apparati; e giovani e donne hanno di nuovo preferito ‘nonno Bernie’ a ‘zia Hillary’. Nel 2008, quando mancò la nomination, Hillary aveva perso nello Iowa, ma vinto nel New Hampshire.
Trump riparte con il suo slogan: “Renderemo l’America di nuovo grande”. Sanders, che più di tutti raccoglie fondi fra i piccoli elettori, attacca i poteri forti e rilancia la sua ‘rivoluzione’, promettendo ai suoi fan “Vinceremo in tutta l’Unione”.
La sconfitta di Hillary fa piacere ai repubblicani, che tifano Sanders - sconfiggerlo l’8 novembre sarebbe una passeggiata, con un candidato moderato -, e preoccupa i democratici, che non hanno un’alternativa credibile.
Un sondaggio poco affidabile dice, però, che Sanders oggi batterebbe Trump con 10 punti di margine e Cruz e Rubio con quattro, mentre Hillary batterebbe Trump di cinque punti, sarebbe pari con Cruz e addirittura perderebbe con Rubio di sette punti.
Rupert Murdoch continua a fare incursioni nella campagna e pare preoccupato che un suo collega ‘tycoon’ conquisti la Casa Bianca: è al curaro contro Trump, è acido con Bloomberg e ripropone John Kerry, che, però, è anche lui una minestra riscaldata (nel 2004, ebbe la nomination, ma perse contro George W. Bush, che aveva già fatto il disastro dell’Iraq, ma che fu confermato presidente da un’America ancora traumatizzata dall’11 Settembre).
Il fratello di quel Bush, Jeb, l’ex governatore della Florida, favorito all’inizio della corsa, tiene viva la sua campagna: molti suoi finanziatori non lo avrebbero più sostenuto se fosse andato a fondo pure nel New Hampshire. Sono in forte bilico le campagne del guru nero Ben Carson e di tutte le altre comparse repubblicane, mentre il governatore del New Jersey Chris Christie, l'unica donna Carly Fiorina e l'ex senatore della Pennsylvania Rick Santorum hanno già gettato la spugna.
Superman e vetero femministe
Il rebus maggiore è l’attrazione che Sander esercita su giovani e donne: all’apparenza fisica, non ha nulla di Superman, ma è un Clark Kent con gli occhiali, canuto e un po’ avvizzito - ha 75 anni e si vedono tutti -; eppure, dovrà volare in soccorso dei democratici, lui che si definisce socialista e che si presenta spesso da indipendente, se la candidatura di Hillary continuasse a zoppicare.
L’autunno dell’ex first lady era stato d’oro, questa è una fase che le gira tutto storto: l’inchiesta sui fondi alla Fondazione Clinton, i sussulti nello scandalo delle mail, i risultati e i sondaggi così così. Persino la discesa in campo al suo fianco del marito ex presidente rischia di rivelarsi un boomerang: vecchie fiamme di ‘Bill il donnaiolo’, come Paula Jones, non perdono occasione per farsi pubblicità rinvangando il passato.
A tenerla su, ci provano due icone del femminimo americano: sul NYT, Madeleine Albright e Gloria Steinem criticano le donne e le ragazze che non l’appoggiano, preferendole Sanders. La Albright, che è stata la prima donna segretario di Stato, con Bill Clinton alla Casa Bianca, insiste sull'importanza d’eleggere la prima donna presidente e ammonisce ''C'è un posto speciale all'inferno per le donne che non si aiutano l'una con l'altra''. La Steinem azzarda che le ragazze sostengono Sanders perché seguono i ragazzi. Come argomento femminista suona molto maschilista.
Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello IAI.