Politica estera del Vaticano La visione neo bolivariana di papa Francesco Aldo Maria Valli 26/05/2016 |
Bergoglio ritiene che si debba ragionare in termini di Stato continentale. Alla base c’è la Teologia del pueblo, derivazione argentina della Teologia della liberazione che rifiuta la lettura marxista della realtà e la lotta di classe, ma valorizza il ruolo del popolo (il “santo popolo”, come lo definisce spesso Bergoglio), considerato come la risorsa numero uno dell’America Latina.
Di qui, con evidenti venature populiste, per non dire peroniste, le dure critiche ai processi di globalizzazione e alla politiche neoliberiste, con la richiesta di integrare l’economia di mercato con una visione sociale.
America Latina, la terra della speranza
Alla vigilia del viaggio che lo ha portato in Ecuador, Bolivia e Paraguay, Francesco, riprendendo l’espressione di Giovanni Paolo II, ha parlato del Sudamerica come continente della speranza perché da esso, ha detto, si attendono nuovi modelli di sviluppo in grado di integrare giustizia, equità, riconciliazione, sviluppo.
Il papa, ha detto il segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Pietro Parolin, vede nel Sudamerica un laboratorio politico e sociale (intervista a Radio Vaticana, 2 luglio 2015): per questo dice no alle colonizzazioni ideologiche, all’imposizione di modelli, e predica il Vangelo della vita, della famiglia e del rispetto del creato.
Il Vaticano e la crisi del Venezuela
All’atto pratico però Francesco incontra grandi difficoltà. Circa il disastrato Venezuela, il previsto viaggio di monsignor Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, è stato annullato nei giorni scorsi “per motivi che non dipendono dalla Chiesa”, come ha fatto sapere la nunziatura apostolica.
Presenziando alla nomina del nuovo nunzio apostolico per il Venezuela, Gallagher avrebbe dato un segnale a favore della destituzione del presidente Nicolas Maduro, come sperava il leader dell’opposizione Enrique Capriles, ma il governo si è nettamente opposto. La polarizzazione dello scontro in Venezuela ha raggiunto il punto di rottura e lo spettro della guerra civile non è lontano. La Chiesa è forse l’unico attore internazionale che potrebbe contribuire ad allentare la tensione, ma la diplomazia vaticana sta incontrando ostacoli al momento insormontabili.
Se in Colombia, anche grazie alla mediazione vaticana, c’è ottimismo circa gli accordi di pace tra governo e Farc, molti altri fronti restano problematici. Il 19 maggio, ricevendo in Vaticano i vescovi del Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), Francesco, tornando a parlare di “patria grande” e di integrazione dei popoli, non ha nascosto le sue preoccupazioni ed ha citato in particolare Venezuela, Brasile, Bolivia e Argentina.
Guerra fredda tra Francesco e Macri
In particolare, circa l’Argentina, a sei mesi dall’inizio del mandato del presidente Maurizio Macri che ha messo fine alla lunga egemonia della famiglia Kirchner-Fernandez, la Chiesa incomincia ad attaccare.
Il primo maggio il presidente della Conferenza episcopale argentina, José María Arancedo ha accusato la politica economica che usa il lavoro come merce e come un semplice scalino della catena finanziaria. L’Università Cattolica di Buenos Aires ha poi diffuso un rapporto che denuncia il dilagare del traffico di droga, specie nei quartieri poveri. Il periodo di osservazione è terminato e ormai si parla apertamente di guerra fredda tra Francesco e Macri.
Intanto a Cuba, terminata l’era dell’arcivescovo Jaime Lucas Ortega y Alamino, grande elettore di Bergoglio al conclave, andato in pensione per raggiunti limiti d’età, è incominciata quella Juan de la Caridad García Rodríguez, cubano, classe 1948, ottimo conoscitore della realtà dell’isola e uomo di mediazione: una nomina nel segno della continuità dopo lo storico accordo tra l’Avana e Washington, raggiunto anche grazie alla decisiva mediazione vaticana.
Aldo Maria Valli è vaticanista di Rai1.
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