La I Parte dell'articolo è pubblicata in data Odierna
La II Parte in data 20 luglio 22 Cile e Peru
La III Parte in data 30 luglio 22 Bolivia Equator
Fonte Atlante delle Guerre Luglio 2022
Maurizio Sacchi
Cile
In Cile, dopo l’entusiasmo seguito alla vittoria del governo Boric, e al trionfo delle sinistre nella scelta dei membri dell’Assemblea costituente, le prospettive sono incerte in vista del plebiscito del 4 settembre, che deve decidere se approvare o respingere la bozza. Gli ultimi sondaggi suggeriscono che l’entusiasmo iniziale per la riforma si è dissipato: secondo i sondaggi, il 46 percento ha dichiarato che rifiuterà la bozza, mentre solo il 38 percento si dichiara a favore. Con 499 articoli, la nuova Costituzione cilena sarebbe la più lunga del mondo, e l’approccio, definito a volte “massimalista” adottato dai delegati potrebbe essere alla radice della perdita di consensi. La Convenzione si è divisa in tre commissioni: una per snellire e condensare il documento, un’altra per tracciare la transizione da una costituzione all’altra e una terza per scrivere un preambolo. “C’è il rischio di sostituire una costituzione illegittima e autoritaria con una costituzione divisiva e mal definita”, ha dichiarato Kenneth Bunker, direttore di tresquintos.cl, un sito web di analisi politica.
Il nuovo presidente cileno, Gabriel Boric, aveva espresso il suo sostegno alla Convenzione subito dopo aver vinto le elezioni di dicembre. Ma ora rischia di veder sfumare il consenso per il collegamento che l’opinione pubblica fa tra la sua giovane e promettente squadra di governo e la controversa bozza di Costituzione. Anche qui, il tema delle risorse naturali e dell’ambiente occupa un ruolo centrale.
Quando il 1° febbraio la Commissione per l’Ambiente ha approvato l’articolo che stabilisce la nazionalizzazione dei beni naturali del Paese, la reazione è stata forte, soprattutto da parte dell’industria mineraria su larga scala. L’industria la rifiuta perché rallenterebbe gli investimenti e lo sviluppo minerario. I membri della Convenzione che sostengono la proposta ritengono che, indipendentemente dal fatto che raggiunga o meno i 2/3 in plenaria, sia importante aprire il dibattito per chiudere un processo che è stato invertito durante la dittatura senza la partecipazione dei cittadini. Gli oppositori ritengono che contenga “incertezza e vaghezza”. E’ un argomento ricorrente nella storia del Cile, come anche del suo vicino Perù, i due principali produttori di rame.
L’assemblea costituenteha deciso di dichiarare lo “Stato di emergenza climatica ed ecologica” e diverse norme che ne derivano avevano causato forti dubbi e contrasti. Quando, ai primi di febbraio, la Commissione per l’Ambiente, i Diritti della Natura, i Beni Naturali e il Modello Economico ha approvato con 11 voti a favore, 6 contrari e 2 astensioni l’articolo transitorio che stabilisce la nazionalizzazione dei beni naturali del Cile, ha trovato l’opposizione del sindacato minerario, che teme la perdita di posti di lavoro. E’ solo l’inizio di una discussione che potrà essere approfondita e definita in plenaria, dove saranno necessari i 2/3 dei voti.
La proposta di nazionalizzazione, che potrebbe avere effetti sull’attività mineraria su larga scala, non è ancora stata sottoposta all’esame dell’Assemblea plenaria e non si prevede che raggiunga i 2/3 del suo mandato. Ma pare che i costituenti abbiano scelto la formula di presentare inizialmente proposte di cambiamenti profondi e radicali, che potrebbero essere inizialmente respinti, ma poi modificati in sede di dibattito in modo da ottenere efficaci modifiche intermedie all’attuale modello minerario. Il settore minerario rappresenta il 12,5 percento del Pil nazionale, di cui l’estrazione del rame rappresenta l’11,2 percento, secondo l’Annuario minerario cileno 2020 del Servizio nazionale di geologia e miniere.
Sono però 120 i miliardi di dollari che, secondo gli economisti Ramón López e Gino Sturla Zerene, il Paese sta consegnando alle grandi compagnie minerarie transnazionali perché non c’è una tassazione adeguata per le aziende che sfruttano le risorse naturali. Inoltre, i critici dello stato attuale delle miniere sottolineano anche i danni ambientali irreversibili ai fragili ecosistemi.
La maggior parte delle grandi miniere si trova nel territorio delle popolazioni indigene, dice Selena Godoy Monárdez,nata nel 1967), attivista della comunità Qulla in Cile. “Ci hanno contaminato. La produzione mineraria è completamente dannosa per l’ecosistema, per i territori, per la natura”. Tuttavia, Godoy riconosce che non è realistico porre completamente fine all’attività mineraria e afferma che come popolo indigeno vorrebbe orientarsi verso un modello statalista. “Non per ampliare ciò che esiste, ma piuttosto per passare gradualmente a un modello che ci permetta di sviluppare altre tecnologie e altri prodotti aggiunti dall’attività estrattiva”. Ivanna Olivares, deputata della regione di Coquimbo, all’inizio di febbraio ha rilasciato dichiarazioni in difesa della legge approvata dalla commissione
Dobbiamo aprire un dibattito a livello nazionale sul destino delle risorse naturali strategiche come il rame e il litio. La nostra proposta è stata molto criticata, perché gli interessi in gioco sono molti, ma abbiamo anche ricevuto un importante sostegno da parte dei cittadini e del mondo accademico. Non va dimenticato che nel 2013 il sondaggio del Centro de Estudios Públicos ha registrato che l’83% dei cileni era favorevole alla nazionalizzazione dell’estrazione del rame su larga scala. La nostra proposta è che come Paese possiamo discutere le questioni essenziali per esercitare la nostra sovranità. Ci sono molti argomenti e punti di vista che devono essere presi in considerazione, ma il dialogo non può essere messo in discussione“, afferma l’insegnante di storia, che fa parte del Movimiento Territorial Constituyente e del Movimiento de Defensa por el acceso al Agua, la Tierra y la Protección del Medio Ambiente (Modatima).
Secondo Olivares, quattro sono gli aspetti che dovrebbero costituire la base minima del dibattito. In primo luogo, secondo l’autore, si dovrebbe considerare come la popolazione cilena decida democraticamente quali progetti minerari autorizzare – e a quali condizioni – e quali non autorizzare. In secondo luogo, ritiene che “la crisi socio-ecologica dell’attuale estrattivismo” debba essere presa in considerazione e che si debbano stabilire limiti chiari – da definire nella Costituzione – per la riparazione integrale delle comunità e della natura colpite dall’inquinamento e dal degrado. Un terzo punto è, a suo avviso, la giustizia redistributiva, per stabilire chi riceve e chi beneficia del reddito minerario. Infine, ritiene che si debba dare valore alle attività minerarie minori attraverso l’incipiente industrializzazione, un processo in cui lo Stato dovrebbe svolgere un ruolo attivo.
Perù
Il Perù è il secondo produttore di rame al mondo e Las Bambas, di proprietà cinese, nel distretto di Mara, nella regione di Apurimac è uno dei maggiori siti di estrazione mondiali del metallo, oggi ancor più prezioso in vista della conversione al motore elettrico. Las Bambas rappresenta da sola l’1% del prodotto interno lordo del Perù. La comunità delle Ande peruviane ha sospeso mercoledì il blocco dell’ autostrada utilizzata dalla miniera di rame Las Bambas, in gestione della società cinese MMG Ltd, accettando di negoziare con il governo e l’azienda le condizioni per la riapertura della strada bloccata con pneumatici e barricate, La protesta ha causato un problema all’amministrazione del presidente Pedro Castillo, che è entrato in carica l’anno scorso con l’impegno di ridistribuire la ricchezza mineraria, ma che affronta al contempo il problema di una grave crisi economica. “È una tregua che durerà fino a mercoledì della prossima settimana. Se non si troverà una soluzione, riprenderemo la protesta”, ha dichiarato Efrain Mercado, presidente del fronte di difesa del distretto di Mara. Il blocco segnala un nuovo conflitto a sole due settimane dalla ripresa delle operazioni da parte dell’azienda mineraria, dopo un’altra protesta che ha costretto Las Bambas a chiudere per oltre 50 giorni, la più lunga nella storia della miniera. “Stiamo bloccando la strada perché il governo sta ritardando la valutazione dei terreni attraverso i quali passa la strada. È una protesta a tempo indeterminato”, ha dichiarato uno dei leader del distretto di Mara, prima che il blocco fosse sospeso.
Fonte Atlante delle guerre luglio 2022
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