mercoledì 13 novembre 2013
Kerry: una influenza positiva
Israele
Mercoledì 30 ottobre le autorità israeliane hanno rilasciato 26 prigionieri palestinesi detenuti nella prigione di Ofer, che erano stati condannati all’ergastolo per l’omicidio di cittadini israeliani compiuti tra gli anni ’80 e ’90. È stato il secondo gruppo di detenuti liberato nell’arco di tre mesi, come parte di un piano di più ampio respiro, iniziato ad agosto, che dovrebbe portare alla liberazione di 104 prigionieri nei prossimi mesi. Il progetto di scarcerazione, infatti, era stato deciso dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu lo scorso 30 luglio, in occasione dell’incontro con il Segretario di Stato John Kerry per il rilancio del processo di pace tra Israele e Palestina. Le aperture di Netanyahu hanno suscitato dure critiche tra le frange più conservatrici dello spettro politico israeliano, che hanno visto la decisione del Primo Ministro come una potenziale minaccia per la sicurezza di Israele. La liberazione dei prigioni! eri, infatti, era dovuta passare attraverso il rigetto da parte della Corte Costituzionale dell’appello presentato dai familiari delle vittime nelle scorse settimane. Nonostante il dichiarato interesse per portare avanti i preparativi per l’istituzione di un tavolo di trattativa, un effettivo progresso per la riapertura dei negoziati sembra scontrarsi con la necessità del Primo Ministro israeliano di mediare tra i gesti, seppur simbolici, di apertura nei confronti del governo palestinese e la strenua opposizione della destra conservatrice di Tel Aviv. L’annuncio di ulteriori 1.500 insediamenti nell’area di Rabat Shlomo, in Cisgiordania, giunto a poche ore dalla liberazione dei 26 prigionieri sembrerebbe, di fatto, rispondere ad una logica di compensazione delle concessioni fatte al governo palestinese che, sebbene sia necessaria a Netanyahu per non alienarsi il sostegno politico interno, rappresenta, di fatto, l’ostacolo principale ad una rapida ripresa del processo! di pace.
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