sabato 29 marzo 2014
Caraibe: Presenza di navi russe
Nella cartina le navi russe individuate vicino alle coste Statunitensi. Mentre a nord sicuramente sono stazionanti sottomarini nucleari, nelle acque della Florida è stato individuato uno strano rimorchiatore russo, sicuramente con funzioni di intelligence. a Sud di Cuba, nel mar dei Caraibi vi è la nave spia russa Viktor Leonov.
Fonte: Corriere della Sera: 27 marzo 2014.
Stati Uniti. NOte al Bilancio della Difesa Defence Rewiew 2014.
Quadriennale Defense Review 2014
attezione:
Esso deve essere letto come un documento strategico-driven
Dopo 24 febbraio anteprima del Segretario Hagel, l'Amministrazione ha fatto la sua richiesta di Budget Presidenziale "pieno" il 4 marzo, accanto alla pubblicazione di una recensione difesa quadriennale del bilancio-driven. Ecco una panoramica sia del QDR e la richiesta di bilancio FY15, con le loro luci e difetti.
Il Pentagono Quadrennial_Defense_Review ha un intero capitolo dedicato agli sforzi del Dipartimento per convincere il Congresso ad annullare definitivamente sequestro. In caso contrario, sottolinea il tipo di componenti di forza non basate su terreni che sono attualmente di moda: informatica, difesa missilistica, la deterrenza nucleare, spazio, aria / mare, attacchi di precisione, ISR, e l'antiterrorismo. In altre parole, i componenti politicamente appetibili che non comportano fanteria e armatura "stivali sul terreno".
Pubblicato in Politica Fonte A
venerdì 28 marzo 2014
Sapienza e ISaG: Conferenza-Dibattio
Mercoledì 2 aprile 2014, ore 9.30-12.00
L’alternativa latino-americana
Cuba,
Venezuela e il socialismo nell’Emisfero Occidentale
Sala delle Lauree,
Ex Facoltà di Scienze Politiche
Intervengono:
Julian Isaias Rodriguez Diaz
Ambasciatore della
Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia
Roger Lopez Garcia
Consigliere Affari
Politici dell’Ambasciata della Repubblica di Cuba in Italia
Discutono:
Massimo Coltrinari
Sapienza, Cultore di
Geografia Politica ed Economica
Franco Fatigati
Sapienza, Cultore di
Geografia
Francesco G. Leone
IsAG, Direttore del
Programma di ricerca “America Latina”
Matteo Marconi
Docente e Tutor del
Master in Geopolitica e Sicurezza Globale, Sapienza
Massimo Nevola S.J.
Gesuita, Direttore
della Lega Missionaria Studenti
Daniele Scalea
IsAG, Direttore
Generale
Paolo Sellari
Professore di
Geografia Politica ed Economica, DiSPo, Sapienza.
Info: geografia2013@libero.it
America Latina: Invito: Sapienza. Mercoledi 2 aprile 2014 ore 9-12. Conferenza-Dibattito
:L'ALTERNATIVA LATINA-AMERICANA
CUBA, VENEZUELA
E
IL SOCIALISMO NELL'EMISFERO OCCIDENTALEper informazioni:
http://www.geopolitica-rivista.org/25389/lalternativa-latinoamericana-il-2-aprile-alla-sapienza
giovedì 27 marzo 2014
Cile: i primi passi veloci della nuova presidenza
Cile rischio: Alert - Bachelet inizia termine con grandi intenzioni
19 Marzo 2014
|
attenzionene automatica dall'inglese. Per la versione originale usare il tasto Traduttore di questo blog
Nuovo presidente del Cile, Michelle Bachelet, che fu inaugurata il 11 marzo, si propone di non perdere tempo a ottenere il suo programma di riforme in corso. Ha promesso di introdurre 50 nuovi fatture entro i suoi primi 100 giorni in carica, dando priorità a sue proposte firma: fiscali, istruzione e riforme costituzionali. Tuttavia, nonostante la sua forte popolarità e il mandato elettorale robusto, rallentamento della crescita economica del Cile e un ambiente esterno meno favorevole potrebbe costringerla a rallentare il ritmo della sua campagna di riforma. Ciò potrebbe potenzialmente portare ad una certa erosione precoce della sua base di appoggio. La signora Bachelet ha parlato per appena sei minuti dopo il suo giuramento, toccando i temi della disuguaglianza, il suo impegno per le riforme per affrontare e la necessità di unità tra tutti i cileni. (Anche se la signora Bachelet ha vinto il ballottaggio in dicembre, con oltre il 60% dei voti, più della metà dei cileni non sono andate per le elezioni). Ha sottolineato che una riforma fiscale progressiva e l'istruzione superiore gratuita erano centrali per rendere Cile completamente sviluppato, paese moderno.
Modifiche fiscali prima
Piani fiscali del nuovo presidente comportano l'aumento del tasso di imposta sulle società dal 20% al 25% su un periodo di quattro anni, mentre abbassando il tasso di imposta sul reddito personale superiore dal 40% al 35%. Ha anche proposto modifiche al imponibile Profits Fund (FUT), un regime di differimento d'imposta progettato per consentire alle aziende di risparmiare e di investimenti di auto-finanziamento, ma che è ampiamente visto come un mezzo per gli imprenditori per eludere la tassazione. Questi e altri cambiamenti, oltre a rendere più equo il sistema, sono progettati per generare entrate (pari a 3 punti percentuali del PIL) per aiutare a finanziare le riforme al sistema scolastico, nonché per l'assistenza sanitaria.Modifiche costituzionali proposte sono intese ad aggiornare la Costituzione, che risale agli anni della dittatura militare, per renderlo più democratico, e di includere modifiche al sistema elettorale del Cile per renderlo più rappresentativo. Alcune di queste proposte saranno fortemente contrari dai legislatori conservatori.
Il disagio tra la decelerazione economica
Molte delle riforme proposte della signora Bachelet hanno generato incertezza tra il settore delle imprese, che ha risposto riducendo o posticipando gli investimenti. Ciò ha contribuito a un forte rallentamento della crescita economica negli ultimi mesi. Modifica delle condizioni esterne sono stati anche un fattore. Mosse da parte della Federal Reserve (la banca centrale degli Stati Uniti) per iniziare assottiglia il suo programma di stimolo monetario hanno stimolato un sell-off delle attività dei mercati emergenti da gennaio e sono suscettibili di condurre a stretto liquidità globale andando avanti. Inoltre, la Cina rallentamento della crescita ha frenato la domanda e dei prezzi del rame. Le esportazioni di rame sono di vitale importanza per il Cile, pari al 52,4% delle esportazioni di merci nel 2013. Prezzi del rame internazionali sono scesi del 10% finora quest'anno e si prevede a scivolare ulteriormente.In questo contesto, il tasso di cambio del Cile si è indebolita, a Ps575: US $ 1 sul 11 marzo, a fronte di Ps524: US $ 1 alla fine del 2013, tornando ai livelli registrati nel primo semestre del 2009, nel bel mezzo della finanziaria globale crisi. Questo è in realtà sano per il settore delle esportazioni del paese e dei suoi conti con l'estero, ma può produrre un aumento dell'inflazione. Il rallentamento economico ha messo in allarme la signora Bachelet, che ha nominato un armadio più moderato di quanto molti avevano previsto. E 'probabile che ad agire prontamente per rassicurare gli investitori chiarendo le sue intenzioni, al fine di mettere un pavimento sotto l'allentamento della crescita degli investimenti e stimolare una ripresa economica. Il Banco Central de Chile (la Banca Centrale) sta facendo la sua parte allentamento della politica monetaria, più recentemente nel mese di febbraio, quando ha tagliato il tasso di riferimento di 25 punti base, al 4,25%. Almeno un taglio di tasso aggiuntivo è previsto sia a sua prossima riunione di politica monetaria o quella successiva. Tuttavia, anche se questo può contribuire a sostenere la domanda interna e la crescita economica, non sarà sufficiente per aumentare le entrate fiscali, che dipende in gran parte dei proventi delle esportazioni di rame. Dopo un disavanzo di bilancio del 0,6% del PIL nel 2013, il governo si prevede di inviare un disavanzo dell'1% del PIL quest'anno.
Vincoli fiscali e di altro potrebbero rallentare le riforme
La signora Bachelet ha ereditato un budget limitato preparata dal suo predecessore, Sebastián Piñera, e può anche trovare le risorse di bilancio vincolate da un'ulteriore riduzione del prezzo del rame e di rallentamento della crescita economica nel 2014 rispetto a quanto previsto qualche mese fa. Infatti, la Banca Centrale ha recentemente abbassato la sua stima per il 2014 una crescita del PIL al 3,7%, dal 4,3% di gennaio. Anche se la signora Bachelet dovrebbe avere problemi assicurare il passaggio delle sue riforme fiscali (che richiedono solo una maggioranza semplice in Congresso, che la sua coalizione, la Nueva mayoria, controlli), i benefici fiscali delle riforme è improbabile per iniziare a farsi sentire prima del 2015.Riforme del sistema di istruzione possono rivelarsi più difficile. Essi richiedono una maggioranza più ampia nel Congresso a passare, e non tutti i cileni sono a favore, anche perché conferimento di un'istruzione superiore libero sarebbe costoso. Dibattito in Congresso potrebbe essere protratta, e dei piani potrebbe essere ridimensionato, non solo per garantire l'approvazione legislativa, ma anche per ridurre i costi (la nuova amministrazione ritiene questi saranno pari al controvalore compreso tra 1,5% e 2% del PIL). Invece di garantire l'istruzione universale libero superiore a medio termine, le riforme possono comportare un pacchetto di sovvenzioni e prestiti a basso tasso per gli studenti bisognosi. Fino fatture di riforma della signora Bachelet sono formulati e presentati al Congresso, l'intero costo di realizzazione non può essere misurata esattamente. Tuttavia, è chiaro che il clima economico è meno propizio per modifiche ambiziosi di quanto non fosse quando il signor Piñera ha assunto l'incarico nel 2010 (una crescita economica media del 5,7% nel 2010-12). La nuova amministrazione sembra determinato a portare avanti, e vede i suoi piani come fattibile. Tuttavia, la signora Bachelet rischia di essere pragmatici e di perseguire un percorso graduale che tenga conto delle condizioni che lei ha ereditato (ha dimostrato di essere sia pragmatico e moderato durante il suo primo mandato come presidente, nel 2006-10). Tuttavia, la sua elezione ha sollevato aspettative tra i suoi sostenitori, tra cui gruppi di studenti radicali che hanno portato proteste a livello nazionale a favore delle riforme dell'istruzione nel 2011. Tali gruppi e gli altri partiti di sinistra all'interno del suo coalizione rischiano di pressione su di lei per mostrare i risultati presto. Se non lo fa, se questo sia dovuto alla strozzature economiche o politiche, i suoi alti indici di popolarità potrebbero essere messi a rischio. |
Economist Intelligence Unit
Fonte: The Economist Intelligence Unit
mercoledì 26 marzo 2014
Venezuela: la prossima tappa della "geopolitica del caos"
Gli Stati Uniti d'America tentano di instaurare un "regime change" sulla falsariga dell'Ucraina. Saebbe un colpo mortale ai processi di unificazione sudamericana che riconferirebbe alla regione un ruolo da "terzo mondo". Continua a leggere su:
http://www.zenit.org/it/articles/venezuela-la-prossima-tappa-della-geopolitica-del-caos
Ulteriori informazioni: romeof83@libero.it
sabato 15 marzo 2014
Brasile: apertura verso Cuba
America Latina Un avamposto brasiliano a Cuba Carlo Cauti 07/03/2014 |
Di ritorno dal World Economic Forum di Davos, il presidente brasiliano Dilma Rousseff ha fatto tappa a Cuba, dove ha inaugurato il mega-porto di Mariel. Un’opera finanziata dalla banca pubblica di sviluppo brasiliana, il Banco Nacional de Desenvolvimento Economico e Social (Bndes), che ha provocato numerose polemiche in Brasile.
Infrastrutture bisognose
L’intervento del governo brasiliano per la costruzione del porto di Mariel è stato criticato da più parti per il suo costo enorme, per il fatto che sia stata realizzato in una dittatura ancora formalmente comunista, ma soprattutto perché Brasilia ha speso a Cuba una cifra quindici volte superiore a ciò che spende per i porti situati sulla costa brasiliana.
In tre anni, il Bndes ha investito 682 milioni di dollari nel porto cubano, contro una media di 15,5 milioni di dollari spesi dal governo brasiliano per ampliare e ristrutturare gli intasati e poco efficienti terminali portuali nazionali. Se si pensa che il porto avrà una capacità del 30% superiore al porto di Suape, uno dei più importanti del Brasile, si può comprendere perché le critiche sono state così accese.
La parte comica di tutta questa vicenda è che la Rousseff aveva appena tenuto un discorso davanti al ghota della finanza internazionale riunito a Davos, cercando di convincerli a tornare ad investire in Brasile, citando il grande piano per le infrastrutture varato dal suo governo che avrebbe “affrontato i nodi provocati da decenni di sub-investimenti e aggravati dal forte aumento della domanda negli ultimi anni”.
Flussi commerciali
Le ragioni che hanno portato il governo brasiliano ad investire a Cuba non sono soltanto ideologiche, pur essendoci un forte legame tra l’ex-presidente Ignacio Lula, la Rousseff e i fratelli Castro. Secondo Brasilia, il porto di Mariel sarà un avamposto importate per i flussi commerciali brasiliani nei Caraibi, in Centro America, ma soprattutto verso il primo mercato de mondo, gli Stati Uniti. Una previsione che da praticamente per scontato la fine del quasi cinquantennale embargo imposto da Washington all’Havana.
Il porto ha dimensioni sufficienti per ospitare le navi da carico tipo Post-Panamax, super-portacontainer che transiteranno per il Canale di Panama dopo il suo problematico ampliamento, previsto per il 2015. Mariel è considerato avanzato tanto quanto i principali porti dei Caraibi, come Kingston, in Jamaica, e Freeport, alle Bahamas.
Inoltre, nell’entroterra annesso alle banchine verrà realizzata una Zona economica speciale, su modello di quelle create in Cina, anch’essa finanziata dal Brasile con una linea di credito di 290 milioni di dollari. Il progetto prevede che aziende brasiliane possano installarsi e operare a condizioni particolarmente agevolate, usufruendo della manodopera a basso costo e relativamente qualificata offerta da Cuba.
Infine, l’intera infrastruttura portuale è stata realizzata dalla Oderbrecht, gigante brasiliano dell’edilizia, responsabile per la realizzazione di molti stadi della Coppa del Mondo di calcio di quest’anno. Gran parte dei fondi destinati a Mariel sono stati vincolati ad essere spesi in Brasile per l’acquisto di beni e servizi. Secondo i calcoli di Brasilia, questa operazione ha portato alla creazione di oltre 156 mila posti di lavoro diretti e indiretti in territorio brasiliano.
Diplomazia commerciale
Un’operazione di diplomazia commerciale a tutti gli effetti per aumentare l’influenza del Brasile nelle Americhe, in un punto in cui gli Stati Uniti non hanno possibilità di ingresso. Le buone relazioni con Cuba sono una tradizione della politica estera brasiliana. Dopo aver riallacciato i rapporti diplomatici nel 1985, la relazioni tra i due paesi sono migliorate ogni anno.
Brasilia e l’Havana si sostengono spesso a vicenda nelle votazioni per posizioni rilevanti nelle organizzazioni internazionali di cui fanno parte. E dall’arrivo al potere del Partito dei lavoratori (Pt), i rapporti si sono fatti sempre più stretti. Nel 2013 il Brasile ha addirittura “importato” medici cubani per il programma “Mais Medicos” che ha portato assistenza sanitaria nelle regioni più remote.
Tuttavia, l’investimento di risorse pubbliche brasiliane in un paese che non rispetta i diritti umani è stato fonte di imbarazzo per il governo. La risposta di Brasilia è stata pragmatica: il primo partner commerciale del Brasile è la Cina e un altro importante mercato per le merci brasiliane è il Venezuela, entrambi non proprio paladini nella difesa dei diritti dell’uomo.
La critica più velenosa al porto di Mariel supera però qualsiasi questione politica o ideologica. In un anno di elezioni presidenziali come il 2014, molti hanno ricordato come la Oderbrecht sia una delle principali aziende finanziatrici delle campagne elettorali del Pt.
E chiunque volesse dare un’occhiata a come sono stati spesi i fondi del Bndes a Cuba dovrà aspettare a lungo. Brasilia ha infatti classificato come “segreto di Stato” fino al 2027 il contatto di finanziamento del porto di Mariel. Un modus operandi molto più consono ad una piccola dittatura caraibica che alla più grande democrazia latinoamericana.
Carlo Cauti è giornalista della testata brasiliana O Estado de S.Paulo.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2558#sthash.obhGGWse.dpuf
Infrastrutture bisognose
L’intervento del governo brasiliano per la costruzione del porto di Mariel è stato criticato da più parti per il suo costo enorme, per il fatto che sia stata realizzato in una dittatura ancora formalmente comunista, ma soprattutto perché Brasilia ha speso a Cuba una cifra quindici volte superiore a ciò che spende per i porti situati sulla costa brasiliana.
In tre anni, il Bndes ha investito 682 milioni di dollari nel porto cubano, contro una media di 15,5 milioni di dollari spesi dal governo brasiliano per ampliare e ristrutturare gli intasati e poco efficienti terminali portuali nazionali. Se si pensa che il porto avrà una capacità del 30% superiore al porto di Suape, uno dei più importanti del Brasile, si può comprendere perché le critiche sono state così accese.
La parte comica di tutta questa vicenda è che la Rousseff aveva appena tenuto un discorso davanti al ghota della finanza internazionale riunito a Davos, cercando di convincerli a tornare ad investire in Brasile, citando il grande piano per le infrastrutture varato dal suo governo che avrebbe “affrontato i nodi provocati da decenni di sub-investimenti e aggravati dal forte aumento della domanda negli ultimi anni”.
Flussi commerciali
Le ragioni che hanno portato il governo brasiliano ad investire a Cuba non sono soltanto ideologiche, pur essendoci un forte legame tra l’ex-presidente Ignacio Lula, la Rousseff e i fratelli Castro. Secondo Brasilia, il porto di Mariel sarà un avamposto importate per i flussi commerciali brasiliani nei Caraibi, in Centro America, ma soprattutto verso il primo mercato de mondo, gli Stati Uniti. Una previsione che da praticamente per scontato la fine del quasi cinquantennale embargo imposto da Washington all’Havana.
Il porto ha dimensioni sufficienti per ospitare le navi da carico tipo Post-Panamax, super-portacontainer che transiteranno per il Canale di Panama dopo il suo problematico ampliamento, previsto per il 2015. Mariel è considerato avanzato tanto quanto i principali porti dei Caraibi, come Kingston, in Jamaica, e Freeport, alle Bahamas.
Inoltre, nell’entroterra annesso alle banchine verrà realizzata una Zona economica speciale, su modello di quelle create in Cina, anch’essa finanziata dal Brasile con una linea di credito di 290 milioni di dollari. Il progetto prevede che aziende brasiliane possano installarsi e operare a condizioni particolarmente agevolate, usufruendo della manodopera a basso costo e relativamente qualificata offerta da Cuba.
Infine, l’intera infrastruttura portuale è stata realizzata dalla Oderbrecht, gigante brasiliano dell’edilizia, responsabile per la realizzazione di molti stadi della Coppa del Mondo di calcio di quest’anno. Gran parte dei fondi destinati a Mariel sono stati vincolati ad essere spesi in Brasile per l’acquisto di beni e servizi. Secondo i calcoli di Brasilia, questa operazione ha portato alla creazione di oltre 156 mila posti di lavoro diretti e indiretti in territorio brasiliano.
Diplomazia commerciale
Un’operazione di diplomazia commerciale a tutti gli effetti per aumentare l’influenza del Brasile nelle Americhe, in un punto in cui gli Stati Uniti non hanno possibilità di ingresso. Le buone relazioni con Cuba sono una tradizione della politica estera brasiliana. Dopo aver riallacciato i rapporti diplomatici nel 1985, la relazioni tra i due paesi sono migliorate ogni anno.
Brasilia e l’Havana si sostengono spesso a vicenda nelle votazioni per posizioni rilevanti nelle organizzazioni internazionali di cui fanno parte. E dall’arrivo al potere del Partito dei lavoratori (Pt), i rapporti si sono fatti sempre più stretti. Nel 2013 il Brasile ha addirittura “importato” medici cubani per il programma “Mais Medicos” che ha portato assistenza sanitaria nelle regioni più remote.
Tuttavia, l’investimento di risorse pubbliche brasiliane in un paese che non rispetta i diritti umani è stato fonte di imbarazzo per il governo. La risposta di Brasilia è stata pragmatica: il primo partner commerciale del Brasile è la Cina e un altro importante mercato per le merci brasiliane è il Venezuela, entrambi non proprio paladini nella difesa dei diritti dell’uomo.
La critica più velenosa al porto di Mariel supera però qualsiasi questione politica o ideologica. In un anno di elezioni presidenziali come il 2014, molti hanno ricordato come la Oderbrecht sia una delle principali aziende finanziatrici delle campagne elettorali del Pt.
E chiunque volesse dare un’occhiata a come sono stati spesi i fondi del Bndes a Cuba dovrà aspettare a lungo. Brasilia ha infatti classificato come “segreto di Stato” fino al 2027 il contatto di finanziamento del porto di Mariel. Un modus operandi molto più consono ad una piccola dittatura caraibica che alla più grande democrazia latinoamericana.
Carlo Cauti è giornalista della testata brasiliana O Estado de S.Paulo.
mercoledì 12 marzo 2014
SUD AMERICA: IL lAND GRABBING: FATTORE DI RISCHIO PER LA "SOVRANITA'" SUD AMERICANA
6/03/2014
Filippo Romeo
Americhe 0 commentI
La corsa alla terra è consequenziale ad una sequela di fattori rintracciabili tanto nella poderosa crescita demografica che sta interessando il pianeta, quanto nel cambiamento in corso dei paradigmi geopolitici che hanno già prodotto la formazione di nuovi poli di potenza da cui è emerso lo sviluppo di una nuova classe media con abitudini alimentari in evoluzione.
In particolare, Stati come Cina e India, interessati da questi stravolgimenti, unitamente ad Arabia Saudita, Qatar e Bahrein, risultano essere tra i maggiori acquirenti di territori dei paesi africani.
A questa serie di elementi vi è da aggiungere l’annosa questione della finanziarizzione delle commodities agricole, fattore trainante della crisi alimentare, che ha affinato l’abilità – per non dire l’incoscienza – dei traders di trasformare, per la prima volta nella storia, le merci in patrimoni finanziari.
Tale fatidico intreccio del capitale speculativo con quello produttivo, infatti, non solo non ha rafforzato il sistema alimentare globale ma, viceversa, ha prodotto un drastico indebolimento e, conseguentemente, un’eccessiva volatilità dei prezzi dei beni da cui, per l’appunto è scaturita la crisi. La continua crescita del costo dei beni di prima necessità ha così incentivato ricche imprese, governi, società finanziarie, grandi banche, fondi di investimento e multinazionali ad investire sulle terre del terzo mondo, sperando in un loro continuo apprezzamento.
Infine, ma non per ordine di importanza, vi è il business concernente la produzione di biocarburanti legata in particolare alla nuova politica energetica intrapresa da Stati Uniti e l’Unione Europea. Quest’ultima, infatti, attraverso una politica di incentivazione alle imprese, di fatto le spinge ad una frenetica “corsa alla terra” dei paesi in via di sviluppo il cui 66% dei territori destinatari di tali investimenti è adibito a colture specifiche – quali soia e mais – per produrre biocarburanti1.
Questa corsa alla terra praticata dai grandi gruppi internazionali, oltre a creare dispute con le popolazioni locali che finiscono per avere sempre la peggio sfociando in gravi crisi sociali, ha prodotto una grave marginalizzazione dei piccoli produttori in ragione del fatto che il sistema, così come è congegnato, conferisce solo alle grandi aziende il potere di determinare il mercato2.
Questo fenomeno, che sta maggiormente interessando i territori dell’Africa, dell’Asia sud Orientale e dell’America meridionale, si diffonde peraltro con la complicità dei governi locali che vendono le terre giustificando la scelta in termini economici o di sviluppo.
È in dubbio che il continente sudamericano stia vivendo negli ultimi anni una stagione di profondo rinnovamento e ritrovata sovranità. Su tali presupposti, si coglie come quella connessa alla sovranità alimentare costituisca una questione da affrontare prioritariamente al fine di evitarne la trasformazione in un’indelebile piaga capace di mettere a repentaglio non soltanto la sovranità e la sicurezza alimentare, ma anche quella politico economica regionale. Ciò tanto è vero se si tiene conto di quanto emerge dal rapporto dell’ufficio regionale della FAO secondo cui i prezzi degli alimenti in Sud America e Caraibi sono saliti dello 0,9% lo scorso novembre3.
Il fenomeno del land grabbing che interessa il Sud America presenta proprie caratteristiche e peculiarità legate sopratutto al contesto regionale. Sviluppatosi intorno agli anni ’80, a seguito delle imprudenti politiche neo-liberali che hanno indotto gli Stati ad abbandonare le politiche di credito e di assistenza tecnica ai campesinos nonché ad abbattere i dazi doganali sulle importazioni di cibo4, il fenomeno ha marginalizzato l’economia contadina determinando benefici solo ed esclusivamente alle grandi multinazionali del settore agricolo, le uniche ad avere l’accesso garantito agli investimenti e alle necessarie conoscenze tecniche.
Ovviamente questo repentino capovolgimento della situazione oltre a creare una crisi sociale che per parecchi anni ha interessato i paesi della regione, ha totalmente modificato la struttura agraria facendo si che la stessa divenisse ad appannaggio esclusivo del grande capitale, a scapito delle comunità rurali che da proprietari sono stati degradati in lavoratori temporanei senza stabilità e con salari estremamente ridotti.
Tale cambiamento ha avuto ripercussioni ed effetti negativi anche sugli equilibri ecologici ambientali dal momento che per privilegiare le grandi coltivazioni di monocolture come la soia, non è stata risparmiata né la foresta amazzonica che in ragione di tale scelte sta subendo forti ondate di desertificazione, né le altre colture tradizionalmente presenti in quei territori5.
Fra i paesi sudamericani, l’Argentina è senz’altro quello che maggiormente ha subito una terribile, repentina e radicale trasformazione agricola. Fino agli inizi degli anni ’80, infatti, il settore agricolo ereditato dal peronismo, dominato da piccole fattorie a gestione familiare con una produzione diversificata, era famoso in tutta l’America meridionale per l’alto tenore di vita che garantiva ai residenti. L’efficienza di quel sistema, invero, era tale che in quegli anni i terreni produttivi e la cultura agricola soddisfaceva abbondantemente i bisogni interni e produceva un un vasto surplus alimentare6.
Il modello, però, cominciò a traballare a seguito della crisi del debito degli anni ’80, crollando risolutivamente con le decisioni assunte nel 1996 da Menem allora alla guida del Governo. Questi, per far fronte all’esplosione del debito pubblico estero contratto dal paese, ritenne urgente e necessaria la trasformazione della produzione alimentare in coltivazione industriale, individuando nella soia geneticamente modificata la coltura su cui puntare7.
Questa operazione, combinata con le liberalizzazioni “consigliate” dal Fondo Monetario Internazionale, spalancò le porte a questi nuovi prodotti di importazione favorendo le multinazionali – quali la Monsanto – a discapito sia dei contadini locali che di altri agricoltori i quali, finiti in bancarotta per via dell’invasione del mercato di cibi a basso costo, furono costretti a cedere i terreni alle grandi compagnie straniere come la Cargill, a fondi internazionali di investimento come il Quantum Fund di George Soros, a compagnie assicurative straniere o multinazionali come la Seabord Corporation8, o a speculatori locali collegati al grande capitale.
Ciò consentì che i terreni argentini venissero convertiti in unità di produzione di massa geneticamente modificati soppiantando quel patrimonio agricolo caratterizzato da una vasta biodiversità – che tra i territori delle leggendarie pampas annoverava una varietà di colture quali mais, grano e frumento – e da un sistema di rotazione tra coltivazione e allevamento che lo trasformava in pascolo per i numerosi capi di bestiame.
La pratica della rotazione, sospesa con l’introduzione della monocoltura della soia, provocò una diminuzione degli allevamenti comportando, per la prima volta nella storia del paese, l’importazione del latte dall’Uruguay, a prezzi ovviamente molto più alti rispetto a quelli della produzione interna. Questo stato di cose ha determinato l’aumento della povertà, della malnutrizione e, non ultimo, dei conflitti sociali dovuti al trasferimento delle famiglie contadine nelle periferie, ai margini delle città9 nonostante lo Stato argentino contempli nella propria carta costituzionale «la facoltà giuridica di queste comunità di possedere le terre che occupavano tradizionalmente».
Tuttavia, coloro che hanno cercato di esercitare questo diritto si ritrovano ad affrontare lunghe battaglie legali contro potenti nemici, senza poter contare su una concreta tutela da parte degli organi dovendo, al contrario subire l’uso della violenza per essere cacciati dalle loro terre. Di contro, per le multinazionali dell’agri-business, tali pratiche hanno rappresentano investimenti molto sicuri in ragione del fatto che le produzioni di monocolture quali soia, olio di palma e canna da zucchero, sono sfruttabili sia come prodotti finanziari speculativi, che utilizzabili per la produzione di oli o biocarburanti.
Oltre al caso argentino, significativo è anche il fenomeno del land grabbing in Brasile.
Il Paese, che al momento ricopre un ruolo di primissimo piano nello scacchiere internazionale essendo la sesta economia e il secondo produttore agricolo mondiale, presenta una distribuzione di terreni piuttosto iniqua. A tal proposito si pensi che il solo 1,5% di proprietari terrieri occupa ben il 52,6% del totale delle terre10.
Questo dato è dovuto al fatto che il Brasile ha in un primo tempo accolto – o, sarebbe più corretto dire, “subito” – l’arrivo degli investitori esteri che hanno acquistato i terreni aumentando notevolmente la loro presenza nell’economia locale e generato la crescita esponenziale di capitale internazionale nell’industria agricola brasiliana che nel giro di dieci anni – dal 1995 al 2005 – è aumentato dal 16% al 57%.
Tale situazione, sfuggita al controllo delle autorità statali con conseguente repentaglio per la sovranità, ha subito una limitazione sotto la Presidenza di Luiz Ignácio “Lula” da Silva che nel 2007 ha riunito un’apposita commissione per poi varare nell’agosto del 2010 una nuova legislazione che, da un lato, restringe la possibilità di acquisire appezzamenti di terra a compagnie controllate per il 50% (o più) da capitale straniero, dall’altro, limita l’ammontare di terra disponibile per l’acquisto ad un appezzamento la cui estensione non sia maggiore di un quarto della “municipal area” totale11.
Come in Argentina anche in Brasile, l’espansione dell’agri-business, ha comportato sia la conversione delle colture tradizionali in coltivazioni di soia, mais, canna da zucchero e allevamenti intensivi, che l’intensificarsi di conflitti per le terre su cui vivono e lavorano popolazioni indigene e comunità locali.
Il Brasile, tuttavia, oltre a subire il fenomeno del land grabbing, negli ultimi anni ha iniziato a praticarlo. A tal fine ha sviluppato una propria politica di acquisizione di terreni agricoli al di fuori dei suoi confini nazionali12 come, ad esempio, in Paraguay dove su 31 milioni di ettari di terra arabile (il 29% della quale è destinata alla produzione di soia) è stato concesso il 25% a investitori stranieri di cui il 15% ai soli brasiliani.
La duplicità del ruolo del governo brasiliano ha portato ad un concatenarsi di eventi che hanno interessato diverse regioni del Sud America. In particolare, la crescita della produzione di soia negli anni ’70-’80 è stata responsabile del dislocamento di 2,5 milioni di persone nello stato di Paraná e di 300.000 nel Rio Grande do Sol.
Oltre che in Paraguay, gli speculatori brasiliani e argentini collegati alle multinazionali dell’agri-bussines, hanno esteso i loro acquisti anche in Bolivia, e in particolare nella regione di Santa Cruz famosa per essere un importante polo agricolo del paese sotto il controllo dell’agro-industria internazionale13.
Negli ultimi quindici anni, infatti, le coltivazioni di soia sono passate da circa 143.000 ettari nel 1990, a quasi un milione di ettari nel 201214, ciò nonostante l’avvento al potere di Evo Morales e dei suoi provvedimenti legislativi quali la riforma agraria del 2006 e la Costituzione del 2009 facilmente aggirate con vari escamotage. Secondo alcuni analisti, la permissiva attitudine dello Stato boliviano a consentire il controllo estero di capitale straniero su ampi estensioni di terre è in parte attribuibile allo speciale rapporto con il Brasile basato sull’esportazione di gas attraverso il gasdotto che da Santa Cruz giunge a San Paolo, che per la Bolivia rappresenta una irrinunciabile introito15.
Alla luce di quanto descritto, emerge con estrema evidenza come il tema della sovranità alimentare e di tutte le molteplici e variegate questioni ad essa connesse, rappresentati per la regione sudamericana un pericoloso fattore di debolezza che, ove non sanato, potrebbe rivelarsi una letale vulnus nei rapporti intercontinentali al quale si potrebbe porre rimedio attraverso l’adozione di provvedimenti normativi sia a livello nazionale (emblematico il caso dell’Uruguay e Venezuela) che regionale.
1.- Europafrica, "Biofuelling Injustice? Europe’s responsibility to counter climate change without provoking land grabbing and compounding food insecurity in Africa", Roma, 2012.
2.- Oxfam Italia, "Zucchero amaro: quali diritti sulla terra nelle filiere di produzione delle multinazionali del cibo", Arezzo, 2013.
3.- Sebbene la maggioranza delle economie sudamericane abbia registrato indici inferiori, Costa Rica, Guatemala e Messico hanno toccato il massimo di inflazione mensile, superando l’1%. Sotto si situano, fra gli altri, Brasile, Cile, Ecuador, Paraguay e Uruguay; record negativi, invece, per Bolivia, Colombia e Perù, con tassi che oscillano fra il -0,5% e il -0,9%. Fonte: FAO.
4.- BURCH Sally,"Trans-Latin business and land grabbing in Latin America. Interview with Cristobal Kay", Cile, 2013.
5.- Ibidem.
6.- ENDGDAHL Frederick William, "I semi della distruzione, agri - business, dal controllo del cibo al controllo del mondo", Bologna, 2010, pp. 202-203.
7.- Non sono pochi coloro i quali intravedono in questa operazione una manovra atta a tutelare gli interessi degli investitori statunitensi, come David Rockfeller, la Monsanto e la Cargill. Sul punto cfr. ENDGDAHL Frederick William, op. cit., p. 209.
8.- Le compagnie che al momento controllano il il 90% del mercato della soia e dei suoi derivati al momento sono le seguenti sei: Cargill, Bunge, Dreyfus, AGD, Vicentin, e Molinos Rio de la Plata).Fonte: http://www.foodfirst.org.
9.- ENDGDAHL Frederick William, op. cit., p. 213-214.
10.- DATALUTA, Banco de Dados da Luta pela Terra, 2011 Brasil – Relatorio DATALUTA 2011. Presidente Prudente: NERA – Núcleo de Estudos, Pesquisas e Projetos de Reforma Agrária – FCT/ UNESP. in Clements E.A. e Fernandes B.M. (2012).
11.- Ad ogni modo, sono ancora in corso valutazioni del governo brasiliano relative al rapporto da mantenere con gli investitori stranieri e alle modifiche legislative da effettuare /www.massacritica.eu/corsa-alla-terra-il-brasile-tra-land-grabbing-e-sviluppo-sostenibile/3354
12.- Oltre che regionali anche intercontinentali di cui ne costituisce un esempio il caso del Mozambico, in Africa.
13.- URIOSTE Miguel, "Land & Sovereignty in the Americas", California, 2013.
14.- Ibidem.
15.- Ibidem.
Tra le ardue sfide a cui dovrà far
fronte il nuovo sistema internazionale a geometrie variabili che va
profilandosi a livello mondiale, vi è sicuramente quella della sicurezza
alimentare e dei fenomeni da essa derivanti quali il land grabbing.
Il termine – letteralmente “accaparramento della terra” – evidenzia
in modo efficace l’efferatezza di un fenomeno che ormai, da una decina
d’anni a questa parte va espandendosi nei cosiddetti paesi in via di
sviluppo, raggiungendo picchi esponenziali in particolare all’indomani
della crisi alimentare mondiale del biennio 2007/2008. La corsa alla terra è consequenziale ad una sequela di fattori rintracciabili tanto nella poderosa crescita demografica che sta interessando il pianeta, quanto nel cambiamento in corso dei paradigmi geopolitici che hanno già prodotto la formazione di nuovi poli di potenza da cui è emerso lo sviluppo di una nuova classe media con abitudini alimentari in evoluzione.
In particolare, Stati come Cina e India, interessati da questi stravolgimenti, unitamente ad Arabia Saudita, Qatar e Bahrein, risultano essere tra i maggiori acquirenti di territori dei paesi africani.
A questa serie di elementi vi è da aggiungere l’annosa questione della finanziarizzione delle commodities agricole, fattore trainante della crisi alimentare, che ha affinato l’abilità – per non dire l’incoscienza – dei traders di trasformare, per la prima volta nella storia, le merci in patrimoni finanziari.
Tale fatidico intreccio del capitale speculativo con quello produttivo, infatti, non solo non ha rafforzato il sistema alimentare globale ma, viceversa, ha prodotto un drastico indebolimento e, conseguentemente, un’eccessiva volatilità dei prezzi dei beni da cui, per l’appunto è scaturita la crisi. La continua crescita del costo dei beni di prima necessità ha così incentivato ricche imprese, governi, società finanziarie, grandi banche, fondi di investimento e multinazionali ad investire sulle terre del terzo mondo, sperando in un loro continuo apprezzamento.
Infine, ma non per ordine di importanza, vi è il business concernente la produzione di biocarburanti legata in particolare alla nuova politica energetica intrapresa da Stati Uniti e l’Unione Europea. Quest’ultima, infatti, attraverso una politica di incentivazione alle imprese, di fatto le spinge ad una frenetica “corsa alla terra” dei paesi in via di sviluppo il cui 66% dei territori destinatari di tali investimenti è adibito a colture specifiche – quali soia e mais – per produrre biocarburanti1.
Questa corsa alla terra praticata dai grandi gruppi internazionali, oltre a creare dispute con le popolazioni locali che finiscono per avere sempre la peggio sfociando in gravi crisi sociali, ha prodotto una grave marginalizzazione dei piccoli produttori in ragione del fatto che il sistema, così come è congegnato, conferisce solo alle grandi aziende il potere di determinare il mercato2.
Questo fenomeno, che sta maggiormente interessando i territori dell’Africa, dell’Asia sud Orientale e dell’America meridionale, si diffonde peraltro con la complicità dei governi locali che vendono le terre giustificando la scelta in termini economici o di sviluppo.
È in dubbio che il continente sudamericano stia vivendo negli ultimi anni una stagione di profondo rinnovamento e ritrovata sovranità. Su tali presupposti, si coglie come quella connessa alla sovranità alimentare costituisca una questione da affrontare prioritariamente al fine di evitarne la trasformazione in un’indelebile piaga capace di mettere a repentaglio non soltanto la sovranità e la sicurezza alimentare, ma anche quella politico economica regionale. Ciò tanto è vero se si tiene conto di quanto emerge dal rapporto dell’ufficio regionale della FAO secondo cui i prezzi degli alimenti in Sud America e Caraibi sono saliti dello 0,9% lo scorso novembre3.
Il fenomeno del land grabbing che interessa il Sud America presenta proprie caratteristiche e peculiarità legate sopratutto al contesto regionale. Sviluppatosi intorno agli anni ’80, a seguito delle imprudenti politiche neo-liberali che hanno indotto gli Stati ad abbandonare le politiche di credito e di assistenza tecnica ai campesinos nonché ad abbattere i dazi doganali sulle importazioni di cibo4, il fenomeno ha marginalizzato l’economia contadina determinando benefici solo ed esclusivamente alle grandi multinazionali del settore agricolo, le uniche ad avere l’accesso garantito agli investimenti e alle necessarie conoscenze tecniche.
Ovviamente questo repentino capovolgimento della situazione oltre a creare una crisi sociale che per parecchi anni ha interessato i paesi della regione, ha totalmente modificato la struttura agraria facendo si che la stessa divenisse ad appannaggio esclusivo del grande capitale, a scapito delle comunità rurali che da proprietari sono stati degradati in lavoratori temporanei senza stabilità e con salari estremamente ridotti.
Tale cambiamento ha avuto ripercussioni ed effetti negativi anche sugli equilibri ecologici ambientali dal momento che per privilegiare le grandi coltivazioni di monocolture come la soia, non è stata risparmiata né la foresta amazzonica che in ragione di tale scelte sta subendo forti ondate di desertificazione, né le altre colture tradizionalmente presenti in quei territori5.
Fra i paesi sudamericani, l’Argentina è senz’altro quello che maggiormente ha subito una terribile, repentina e radicale trasformazione agricola. Fino agli inizi degli anni ’80, infatti, il settore agricolo ereditato dal peronismo, dominato da piccole fattorie a gestione familiare con una produzione diversificata, era famoso in tutta l’America meridionale per l’alto tenore di vita che garantiva ai residenti. L’efficienza di quel sistema, invero, era tale che in quegli anni i terreni produttivi e la cultura agricola soddisfaceva abbondantemente i bisogni interni e produceva un un vasto surplus alimentare6.
Il modello, però, cominciò a traballare a seguito della crisi del debito degli anni ’80, crollando risolutivamente con le decisioni assunte nel 1996 da Menem allora alla guida del Governo. Questi, per far fronte all’esplosione del debito pubblico estero contratto dal paese, ritenne urgente e necessaria la trasformazione della produzione alimentare in coltivazione industriale, individuando nella soia geneticamente modificata la coltura su cui puntare7.
Questa operazione, combinata con le liberalizzazioni “consigliate” dal Fondo Monetario Internazionale, spalancò le porte a questi nuovi prodotti di importazione favorendo le multinazionali – quali la Monsanto – a discapito sia dei contadini locali che di altri agricoltori i quali, finiti in bancarotta per via dell’invasione del mercato di cibi a basso costo, furono costretti a cedere i terreni alle grandi compagnie straniere come la Cargill, a fondi internazionali di investimento come il Quantum Fund di George Soros, a compagnie assicurative straniere o multinazionali come la Seabord Corporation8, o a speculatori locali collegati al grande capitale.
Ciò consentì che i terreni argentini venissero convertiti in unità di produzione di massa geneticamente modificati soppiantando quel patrimonio agricolo caratterizzato da una vasta biodiversità – che tra i territori delle leggendarie pampas annoverava una varietà di colture quali mais, grano e frumento – e da un sistema di rotazione tra coltivazione e allevamento che lo trasformava in pascolo per i numerosi capi di bestiame.
La pratica della rotazione, sospesa con l’introduzione della monocoltura della soia, provocò una diminuzione degli allevamenti comportando, per la prima volta nella storia del paese, l’importazione del latte dall’Uruguay, a prezzi ovviamente molto più alti rispetto a quelli della produzione interna. Questo stato di cose ha determinato l’aumento della povertà, della malnutrizione e, non ultimo, dei conflitti sociali dovuti al trasferimento delle famiglie contadine nelle periferie, ai margini delle città9 nonostante lo Stato argentino contempli nella propria carta costituzionale «la facoltà giuridica di queste comunità di possedere le terre che occupavano tradizionalmente».
Tuttavia, coloro che hanno cercato di esercitare questo diritto si ritrovano ad affrontare lunghe battaglie legali contro potenti nemici, senza poter contare su una concreta tutela da parte degli organi dovendo, al contrario subire l’uso della violenza per essere cacciati dalle loro terre. Di contro, per le multinazionali dell’agri-business, tali pratiche hanno rappresentano investimenti molto sicuri in ragione del fatto che le produzioni di monocolture quali soia, olio di palma e canna da zucchero, sono sfruttabili sia come prodotti finanziari speculativi, che utilizzabili per la produzione di oli o biocarburanti.
Oltre al caso argentino, significativo è anche il fenomeno del land grabbing in Brasile.
Il Paese, che al momento ricopre un ruolo di primissimo piano nello scacchiere internazionale essendo la sesta economia e il secondo produttore agricolo mondiale, presenta una distribuzione di terreni piuttosto iniqua. A tal proposito si pensi che il solo 1,5% di proprietari terrieri occupa ben il 52,6% del totale delle terre10.
Questo dato è dovuto al fatto che il Brasile ha in un primo tempo accolto – o, sarebbe più corretto dire, “subito” – l’arrivo degli investitori esteri che hanno acquistato i terreni aumentando notevolmente la loro presenza nell’economia locale e generato la crescita esponenziale di capitale internazionale nell’industria agricola brasiliana che nel giro di dieci anni – dal 1995 al 2005 – è aumentato dal 16% al 57%.
Tale situazione, sfuggita al controllo delle autorità statali con conseguente repentaglio per la sovranità, ha subito una limitazione sotto la Presidenza di Luiz Ignácio “Lula” da Silva che nel 2007 ha riunito un’apposita commissione per poi varare nell’agosto del 2010 una nuova legislazione che, da un lato, restringe la possibilità di acquisire appezzamenti di terra a compagnie controllate per il 50% (o più) da capitale straniero, dall’altro, limita l’ammontare di terra disponibile per l’acquisto ad un appezzamento la cui estensione non sia maggiore di un quarto della “municipal area” totale11.
Come in Argentina anche in Brasile, l’espansione dell’agri-business, ha comportato sia la conversione delle colture tradizionali in coltivazioni di soia, mais, canna da zucchero e allevamenti intensivi, che l’intensificarsi di conflitti per le terre su cui vivono e lavorano popolazioni indigene e comunità locali.
Il Brasile, tuttavia, oltre a subire il fenomeno del land grabbing, negli ultimi anni ha iniziato a praticarlo. A tal fine ha sviluppato una propria politica di acquisizione di terreni agricoli al di fuori dei suoi confini nazionali12 come, ad esempio, in Paraguay dove su 31 milioni di ettari di terra arabile (il 29% della quale è destinata alla produzione di soia) è stato concesso il 25% a investitori stranieri di cui il 15% ai soli brasiliani.
La duplicità del ruolo del governo brasiliano ha portato ad un concatenarsi di eventi che hanno interessato diverse regioni del Sud America. In particolare, la crescita della produzione di soia negli anni ’70-’80 è stata responsabile del dislocamento di 2,5 milioni di persone nello stato di Paraná e di 300.000 nel Rio Grande do Sol.
Oltre che in Paraguay, gli speculatori brasiliani e argentini collegati alle multinazionali dell’agri-bussines, hanno esteso i loro acquisti anche in Bolivia, e in particolare nella regione di Santa Cruz famosa per essere un importante polo agricolo del paese sotto il controllo dell’agro-industria internazionale13.
Negli ultimi quindici anni, infatti, le coltivazioni di soia sono passate da circa 143.000 ettari nel 1990, a quasi un milione di ettari nel 201214, ciò nonostante l’avvento al potere di Evo Morales e dei suoi provvedimenti legislativi quali la riforma agraria del 2006 e la Costituzione del 2009 facilmente aggirate con vari escamotage. Secondo alcuni analisti, la permissiva attitudine dello Stato boliviano a consentire il controllo estero di capitale straniero su ampi estensioni di terre è in parte attribuibile allo speciale rapporto con il Brasile basato sull’esportazione di gas attraverso il gasdotto che da Santa Cruz giunge a San Paolo, che per la Bolivia rappresenta una irrinunciabile introito15.
Alla luce di quanto descritto, emerge con estrema evidenza come il tema della sovranità alimentare e di tutte le molteplici e variegate questioni ad essa connesse, rappresentati per la regione sudamericana un pericoloso fattore di debolezza che, ove non sanato, potrebbe rivelarsi una letale vulnus nei rapporti intercontinentali al quale si potrebbe porre rimedio attraverso l’adozione di provvedimenti normativi sia a livello nazionale (emblematico il caso dell’Uruguay e Venezuela) che regionale.
NOTE:
Filippo Romeo è ricercatore associato del programma di ricerca "America Latina" dell'IsAG.1.- Europafrica, "Biofuelling Injustice? Europe’s responsibility to counter climate change without provoking land grabbing and compounding food insecurity in Africa", Roma, 2012.
2.- Oxfam Italia, "Zucchero amaro: quali diritti sulla terra nelle filiere di produzione delle multinazionali del cibo", Arezzo, 2013.
3.- Sebbene la maggioranza delle economie sudamericane abbia registrato indici inferiori, Costa Rica, Guatemala e Messico hanno toccato il massimo di inflazione mensile, superando l’1%. Sotto si situano, fra gli altri, Brasile, Cile, Ecuador, Paraguay e Uruguay; record negativi, invece, per Bolivia, Colombia e Perù, con tassi che oscillano fra il -0,5% e il -0,9%. Fonte: FAO.
4.- BURCH Sally,"Trans-Latin business and land grabbing in Latin America. Interview with Cristobal Kay", Cile, 2013.
5.- Ibidem.
6.- ENDGDAHL Frederick William, "I semi della distruzione, agri - business, dal controllo del cibo al controllo del mondo", Bologna, 2010, pp. 202-203.
7.- Non sono pochi coloro i quali intravedono in questa operazione una manovra atta a tutelare gli interessi degli investitori statunitensi, come David Rockfeller, la Monsanto e la Cargill. Sul punto cfr. ENDGDAHL Frederick William, op. cit., p. 209.
8.- Le compagnie che al momento controllano il il 90% del mercato della soia e dei suoi derivati al momento sono le seguenti sei: Cargill, Bunge, Dreyfus, AGD, Vicentin, e Molinos Rio de la Plata).Fonte: http://www.foodfirst.org.
9.- ENDGDAHL Frederick William, op. cit., p. 213-214.
10.- DATALUTA, Banco de Dados da Luta pela Terra, 2011 Brasil – Relatorio DATALUTA 2011. Presidente Prudente: NERA – Núcleo de Estudos, Pesquisas e Projetos de Reforma Agrária – FCT/ UNESP. in Clements E.A. e Fernandes B.M. (2012).
11.- Ad ogni modo, sono ancora in corso valutazioni del governo brasiliano relative al rapporto da mantenere con gli investitori stranieri e alle modifiche legislative da effettuare /www.massacritica.eu/corsa-alla-terra-il-brasile-tra-land-grabbing-e-sviluppo-sostenibile/3354
12.- Oltre che regionali anche intercontinentali di cui ne costituisce un esempio il caso del Mozambico, in Africa.
13.- URIOSTE Miguel, "Land & Sovereignty in the Americas", California, 2013.
14.- Ibidem.
15.- Ibidem.
giovedì 6 marzo 2014
Stati Uniti: Gli americani finalmente aprono il portafogli
(traduzione automatica dall'inglese)
L'economia statunitense è cresciuta di un vivace 3,2% nel quarto trimestre ad un tasso annuo, sostenuta dal più veloce aumento della spesa dei consumatori in tre anni. Livelli sani di creazione di posti di lavoro, la riduzione del debito delle famiglie, e bassi tassi di interesse hanno incoraggiato i consumatori americani ad aprire i loro portafogli. Come risultato, l'Economist Intelligence Unit sta aumentando la sua reale previsione di crescita del PIL al 3% per l'intero anno 2014, dal 2,6% precedente. Ci sono rischi per questo scenario luminoso, in particolare un rallentamento abitazioni e gli investimenti delle imprese deboli, ma l'economia americana è innegabilmente più forte di quanto non lo è stato per alcuni anni.
L'espansione economica nella seconda metà del 2013 è stato il più veloce in un decennio, sostenendo la nostra opinione che la ripresa si sta ampliando e che gli Stati Uniti si sta imbarcando in un periodo di crescita più rapida estesa. Una maggiore occupazione, meno debito (come quota del reddito) e bassi costi di indebitamento bancario hanno incrementato la spesa dei consumatori, che è cresciuto nel quarto trimestre al ritmo più veloce dal 2010. Questo è particolarmente incoraggiante in quanto conti della spesa al consumo per quasi il 70% dell'economia e, in generale, tende a seguire la crescita del PIL del titolo.
Dopo cinque anni, gli Stati Uniti si sta finalmente trasformando un angolo
Tre grandi tendenze hanno portato la spesa dei consumatori a questo punto di non ritorno. Creazione di posti di lavoro negli ultimi due anni è stato in media 183.000 / mese e il tasso di disoccupazione è sceso al 6,7% nel mese di dicembre, il livello più basso dal 2008. Le famiglie si stanno avvicinando alla fine di un ciclo di deleveraging: stanno cominciando a spendere di più e dedicando meno reddito per pagare il debito. Il rapporto tra debito delle famiglie e reddito disponibile è sceso dal 126% prima della recessione alla fine del 2007-100,6% nel terzo trimestre del 2013. Nel frattempo, anche se la US Federal Reserve (Fed, la banca centrale) ha cominciato a rilassarsi la sua politica monetaria molto sciolto, i tassi di interesse restano vicino a minimi storici.Questa combinazione di fattori suggerisce che, più di cinque anni dopo l'inizio della Grande Recessione e diverse false partenze più tardi, i consumatori americani sono pronti a riaccendere l'economia.
Segni di forza erano evidenti in tutta l'economia nel quarto trimestre. Le esportazioni sono cresciute del annualizzato del 11,4%, mentre le importazioni sono aumentate di appena lo 0,9%. E 'probabile che questi numeri commerciali saranno rivisti-Stati Uniti di norma non possono avere una crescita così elevato consumo senza trarne delle importazioni provenienti da tutto il mondo, ma le tendenze dei dati commerciali fanno ben sperare per l'economia nel 2014. Il fattore principale trascinando verso il basso la crescita delle importazioni è stato un calo negli acquisti di petrolio, che è sceso del 11% nei primi 11 mesi dell'anno, a fronte di un aumento del 2% delle importazioni non-petroliferi. Ciò è dovuto al rapido aumento estrazione di gas e petrolio di scisto non convenzionale domestica: l'Agenzia internazionale per l'energia stima ora che gli Stati Uniti sarà il più grande produttore di petrolio al mondo entro il 2015. Nel frattempo, dopo diversi anni di bassa crescita dei salari e della ristrutturazione economica, gli Stati Uniti è diventato più competitivo. Come risultato, le esportazioni di auto sono aumentate del 3,8% nel periodo gennaio-novembre 2013 e le esportazioni di beni di consumo sono saliti del 5,1%.
Il futuro è più luminoso
Oltre alla ripresa della crescita di posti di lavoro e la retribuzione giù del debito, l'economia nel 2014 sarà sostenuto anche da un ritorno all'espansione fiscale. Dopo più di tre anni di declino, statali e locali finanze pubbliche hanno rimbalzato. Raccolta fiscale è alto, l'occupazione nel settore pubblico è in aumento, e governi statali e locali erano contribuenti netti alla crescita economica negli ultimi tre trimestri. Questo è un punto di svolta significativo. Mentre il governo federale attira più l'attenzione dei media, che rappresenta solo il 40% delle spese pubbliche complessive, contro il 60% a livello locale e statale. Così, nonostante un calo costante della spesa federale, sembra come se la spesa pubblica complessiva aumenterà nel 2014 per la prima volta dal 2010.
Nessun ritorno agli anni del boom
La decisione di aumentare la nostra previsione di crescita del PIL reale per il 2014 al 3% è sostenuto da un miglioramento dei fondamentali economici, infatti, i rischi per questa previsione restano al rialzo. Detto questo, gli Stati Uniti non è sull'orlo di un boom. Il tasso di disoccupazione è ancora elevato, i livelli di debito dovrebbero diminuire ulteriormente, e tassi di interesse di mercato aumenterà gradualmente nei prossimi anni, che agisce come un vento contrario. Inoltre, mentre la crescita reale del PIL del 3% sarebbe il tasso più veloce dal 2005, e meglio di ogni anno durante il recupero, è ancora sotto il periodo 1992-2000, quando la crescita media del PIL reale del 3,9%.
Inoltre, nonostante i dati positivi nella seconda metà del 2013, e brillanti condizioni economiche previste quest'anno, ci sono ancora rischi significativi. Il mercato immobiliare ha rallentato verso la fine del 2013 i tassi di interesse di mercato sono aumentati. Investimenti residenziali contrazione nel quarto trimestre, per la prima volta dal 2010. Nel mese di dicembre, il volume dei mutui casa è sceso al livello più basso in cinque anni. Tuttavia, pensiamo che questo tuffo si rivelerà temporaneo. La recente fuga verso la sicurezza dei mercati emergenti ha abbassato a 10 anni rendimento dei titoli del Tesoro USA dal 3% di inizio gennaio al solo 2,65%, che consentirà di ridurre i tassi ipotecari. Un aumento previsto di alloggi, combinato con un ulteriore miglioramento dei bilanci delle famiglie, sosterrà anche il settore.
Il secondo rischio, gli investimenti delle imprese debole, è più di un puzzle. Anche se gli utili societari degli Stati Uniti come percentuale del PIL hanno raggiunto il loro livello più alto in più di mezzo secolo, gli investimenti da parte delle imprese è stato poco brillante e la crescita degli investimenti non residenziali crollato dal 7,3% nel 2012 al 2,6% nel 2013. Questo basso livello di investimenti delle imprese è dovuta ad una combinazione di fattori, tra cui l'incertezza sulle prospettive economiche, la regolamentazione di business più stretto, e forti incentivi per molte aziende di riacquisto di azioni piuttosto che reinvestire gli utili. Anche se una porzione molto più piccola dell'economia di spesa dei consumatori, gli investimenti delle imprese ha un impatto significativo sulla creazione di posti di lavoro. Preferiremmo vedere rimbalzo degli investimenti a 6-7%, il che indicherebbe che le imprese hanno una maggiore fiducia nella ripresa economica e investono per soddisfare la domanda futura maggiore.
Anche se rimangono rischi, l'economia statunitense sembra pronta a godere del suo anno migliore dal 2005. Una più ampia ripresa degli Stati Uniti, che è stato annunciato ogni anno, da quando la crisi finanziaria, è finalmente impostato a materializzarsi.
Brasile: allerta Mondiali
Rischio Brasile: Alert - Sicurezza stretto tra la crescente agitazione sociale in vista dei Mondiali
5 febbraio 2014
|
DAL Economist Intelligence Unit
Nei primi mesi del 2014, il capo della Força Nacional de Segurança Pública (FNSP, la forza nazionale di sicurezza pubblica), Alexandre Augusto Aragon, ha annunciato che una nuova forza di sicurezza elite sarebbe stato distribuito in 12 città ospitanti della Coppa del Mondo in vista della Coppa del Mondo FIFA , che prenderà il via il 12 giugno.
La nuova forza forte di 10.000 è specificamente progettato per aiutare la polizia a gestire qualsiasi manifestazione che potrebbe avvenire intorno al torneo. Questa forza sarà disegnato da poliziotti in tenuta antisommossa esistenti, nel senso che non richiedono particolari re-training e possono essere distribuiti immediatamente.
L'aumento della conflittualità sociale
La decisione di creare questa nuova forza d'elite è una risposta alle preoccupazioni del governo sulle proteste in corso in scena durante la Coppa del Mondo. Questo segue un aumento in gran parte inaspettato in attività di protesta in Brasile, con grandi manifestazioni scoppiata nel giugno 2013 (durante la Confederations Cup, tradizionalmente si svolge nel paese ospitante della Coppa del Mondo l'anno prima la Coppa come un evento warm-up) e continuando sporadicamente da allora.
Quasi 1 milione di persone uscirono in strada all'altezza del 2013 proteste, che ha avuto luogo nelle principali città di Rio de Janeiro e San Paolo, così come altre città in tutto il paese. Le proteste sono state scatenate dalla rabbia per l'aumento dei costi di trasporto, alti livelli di corruzione pubblica e fallimenti nella fornitura di istruzione, sanità e trasporti. Tuttavia, le proteste ben presto ampliato per indirizzare la Coppa del Mondo in particolare, con i manifestanti criticando l'alto le spese per il torneo in un momento di lenta crescita economica in Brasile, e in particolare date le carenze in atto nei servizi pubblici.
I 2.013 proteste guadagnato un alto livello di pubblicità, mettendo in imbarazzo le autorità brasiliane, che avevano sperato che la Coppa del Mondo e le successive Olimpiadi di Rio del 2016 sarebbero dimostrare la capacità del Brasile di ospitare tali eventi sportivi più importanti e che il sentimento positivo che circonda gli eventi avrebbero poi confluiranno in un aumento degli investimenti nel paese. Così, grandi proteste durante la Coppa del Mondo, non sarebbero solo potenzialmente ostacolare lo svolgimento del torneo stesso, ma anche inviare una impressione negativa del Brasile come un paese che soffre grandi divisioni sociali che stanno dando adito a problemi di sicurezza.
Poco margine di manovra
Il governo ha compiuto sforzi per affrontare le rimostranze dei manifestanti a livello politico. In risposta alle proteste, nel giugno 2013, il presidente, Dilma Rousseff, ha annunciato che una maggiore spesa sarebbe stata destinata per il trasporto pubblico e l'istruzione, così come la formazione più medici per estendere l'assistenza medica alla crescente popolazione del Brasile. Ha anche promesso riforme politiche per contrastare la corruzione e aumentare la trasparenza, così come spingere attraverso la legislazione a lungo ritardata anti-corruzione. Tuttavia, questa riforma impulso ha rallentato come nuove iniziative incontrano l'opposizione di molti politici, anche all'interno della coalizione di governo, una proposta di referendum sulle riforme non è stata ancora fissata.
La signora Rousseff è improbabile portare avanti grandi riforme, dal momento che si trova ad affrontare le elezioni presidenziali e legislative nel mese di ottobre di quest'anno. Anche se rimane il favorito per vincere la corsa presidenziale, lei ha poco capitale politico da vendere, e alienante sostegno all'interno del legislatore potrebbe portare a meno l'appoggio a terra. Ha quindi un difficile equilibrio da gestire: il tentativo di placare i manifestanti garantendo nel contempo che il Mondiale procede senza intoppi. Tuttavia, mentre alcuni manifestanti possono accettare promesse di maggiori investimenti e di riforma nel suo secondo mandato, molti vedono la Coppa del Mondo come una perfetta occasione per mettere maggiore pressione sui politici per accettare la riforma.
I manifestanti mostrano scarsi segni di tirarsi indietro, a metà gennaio grandi proteste hanno avuto luogo a San Paolo e in altre città, scandendo slogan anti-FIFA e impegnandosi a continuare le manifestazioni durante tutto il processo. Questi hanno il potenziale per città gridlock, squadre che impediscono e turisti di accedere ai siti del torneo, così come girare violento. Ciò costituisce un'ulteriore minaccia: accuse di brutalità della polizia durante le proteste 2.013 generati notevole pubblicità negativa per le forze di sicurezza e una dura repressione contro i manifestanti durante la Coppa del Mondo ha il potenziale di trasformarsi in un disastro di pubbliche relazioni.
La criminalità non è il rischio principale
Il governo cercherà di minimizzare i disagi attraverso l'uso di forze di sicurezza, come la nuova squadra d'elite ma le proteste sono ancora probabilità di ricevere una notevole pubblicità. Ciò fornirà una prova importante per le autorità. Prima del 2013 le proteste sono scoppiate, la più grande preoccupazione era stata la pianificazione di contingenza per l'attività criminale che circonda la Coppa del Mondo. Rio e São Paulo hanno sperimentato alti tassi di criminalità negli ultimi dieci anni e il governo si prepara a contrastare questa minaccia potenziale per il torneo da quando il Brasile si è aggiudicata la Coppa del Mondo nel 2007.
Come parte di questo piano, i militari hanno schierato in operazioni mirate nelle favelas vicino a Rio e São Paulo, con l'obiettivo di spostare le bande criminali che operano c'e 'riprendere' le zone. Dopo ogni favela viene 'eliminato', una presenza di polizia permanente rimane, al fine di evitare che le bande di tornare, mentre i servizi statali come utilities, sanità e l'istruzione sono estesi nella zona. Questo schema ha incontrato un certo successo, nonostante le critiche della brutalità della polizia e le accuse che le aree che vengono cancellati sono quelli più vicini a zone ricche e siti Coppa del Mondo, mentre favelas più remote, ma violenti non sono ancora stati presi di mira.
Inoltre, mentre è probabile che sia presente durante la Coppa del Mondo, la penale bande, molti dei quali sono pesantemente coinvolti nella microcriminalità droga distribuzione hanno pochi incentivi per montare attacchi di alto profilo nei pressi di arene di calcio o in zone turistiche: così facendo avrebbe causare gravi repressioni da parte delle forze di sicurezza. Invece, un tacito accordo sembra essere stato raggiunto in cui bande criminali si asterranno da attività di alto profilo durante la Coppa del Mondo. Tuttavia, questo non è il tipo di accordo che può essere colpito con i manifestanti, che si dilettano al centro dell'attenzione internazionale. Dopo anni di preparativi di sicurezza per la Coppa del Mondo, le autorità brasiliane stanno scoprendo che è la loro abilità di civili, piuttosto che penale, di polizia che può risultare cruciale nel garantire una Coppa del Mondo di successo.
|
Paesi della "Pacific Alliance" firmano un accordo storico
(traduzione automatica dall'inglese)
Il 10 febbraio i presidenti del Pacifico Alliance (PA) Paesi-Cile, Colombia, Messico e Perù, hanno firmato un accordo quadro di riferimento per una vasta gamma di argomenti, che vanno dall'eliminazione di commercio e non commerciali barriere sul 92% del merci scambiate all'interno del blocco per l'adozione di misure per migliorare la mobilità dei capitali e persone. Il potenziale dell'Alleanza di diventare un mestiere ancora più grande e più influente blocco dipenderà in gran parte dalla sua capacità di attuare gli ultimi accordi.
I paesi che compongono il blocco hanno una popolazione complessiva di oltre 210 milioni di persone, un PIL totale di US $ 2trn (e un PIL pro capite superiore a US $ 10.000) e rappresentano circa il 40% di tutto il commercio estero e gli investimenti interni esteri flussi America Latina e Caraibi, da qui l'enorme interesse in un blocco che potrebbe generare importanti opportunità di business. Mentre l'Alleanza aumenta di dimensioni a medio termine (con Costa Rica essendo state recentemente accettato di iniziare il processo di adesione formale) questo fornirà un percorso per costruire un più ampio accordo continentale di libero scambio (ALS) che comprende Canada, Stati Uniti e Centro America.
Allo stesso tempo, tenendo in considerazione l'obiettivo della PA di rafforzare i legami con il Pacifico, è anche possibile che un più ampio blocco commerciale in America si unirà colloqui in corso per creare la Trans-Pacific Partnership (una zona di libero scambio che comprende l'Australia , Brunei, Cile, Canada, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti e Vietnam).
Ampio supporto per l'accordo
Il recente accordo è stata generalmente accolta nei paesi PA, dove come si è visto come una vera opportunità per il raggiungimento di complementarità tra i suoi membri. Il Messico è impostato per rafforzare le sue esportazioni intra-blocco di valore aggiunto manufatti, come automobili e metal-meccanica merci. Colombia si aspetta di beneficiare di un aumento delle esportazioni di base, manufatti, come ad esempio alimenti trasformati, abbigliamento e pelletteria. E Cile e Perù sono suscettibili di aumentare le loro vendite all'estero di beni agro-industriale.
Mentre la PA contribuirà suoi membri a ridurre la loro dipendenza dalle esportazioni di beni singoli (nel caso del Perù, Cile e Colombia) o singoli mercati (come nel caso del Messico), l'accordo recentemente firmato prevede anche norme più trasparenti per la partecipazione dei cittadini dell'Alleanza a gare pubbliche per acquisti e progetti di investimento, per esempio. In generale, il secondo, con le sue chiare norme comuni, cerca un ambiente più favorevole per l'aumento dei flussi intra-investimento.
Inoltre, la PA costituisce un'opportunità per costruire forti intra-blocco vantaggi competitivi per penetrare mercati asiatici. Questo potrebbe essere raggiunto attraverso la creazione di filiere produttive che generano economie di scala. Secondo uno studio della Banca Interamericana di Sviluppo (IDB), queste catene potrebbero includere la produzione di fibre e tappeti di Perù e Cile, fosfati e detergenti tra Messico e Perù, legno, carta e cartone tra il Cile e la Colombia, e prodotti chimici e plastica tra la Colombia e il Messico.
Alcune preoccupazioni in Colombia e Costa Rica
Molti prodotti agricoli sensibili sono inclusi nel 7% delle merci che devono essere liberalizzata solo gradualmente nel corso dei prossimi tre a 10 anni (con un ulteriore 1% da liberalizzare solo in 15 a 17 anni). Anche così, l'associazione colombiana di produttori agricoli si oppone fermamente il modo in cui il trattato è stato negoziato, in quanto teme concorrenza massiccia di prodotti provenienti da altri paesi, mentre valutando che la riduzione dei dazi per i prodotti agricoli colombiani (come il caffè e le banane) era estremamente basso , limitando così il potenziale di crescita delle esportazioni.
All'interno dell'industria automobilistica della Colombia c'è anche qualche preoccupazione che la PA si occuperà un colpo finale alla fabbricazione di auto-parti e assemblaggio automobilistico proprio in un momento in cui, assediata dalla concorrenza intensa importazione, uno dei più grandi produttori di auto (Mazda in Giappone) ha annunciato un arresto temporaneo delle attività e la possibile chiusura definitiva dello stabilimento nel paese.
Rappresentanti delle principali associazioni di categoria in Costa Rica sono preoccupati che un calendario di liberalizzazione rapida, come quello proposto dagli altri paesi membri, sarebbe irrimediabilmente esporre la sua economia più piccolo e più vulnerabile alla concorrenza con il più sofisticato e produce prodotti agro-industriale i suoi (potenziali) partner.
Le sfide future
Ci aspettiamo che le voci critiche in Colombia e Costa Rica hanno poca influenza nella ostacolare il ritmo del calendario di liberalizzazione, la cui più grande ostacolo rimane la ratifica dell'accordo generale PA (ancora in sospeso) dal Congresso di ciascun paese (ad eccezione per il Perù, dove il presidente ha l'autorità fast-track per l'approvazione automatica). Questo, più il tempo necessario per l'esame da parte dei rispettivi tribunali costituzionali, potrebbe spingere attuazione effettiva del programma liberalizzazione oltre il 2015.
Il successo del blocco dipende anche dalla sua capacità di mettere effettivamente in atto accordi in altri settori, non commerciali connesse. Sono stati compiuti progressi per l'eliminazione dei visti, la creazione di ambasciate comuni in molti paesi asiatici, e la sottoscrizione di accordi per promuovere l'istruzione, il turismo, le piccole e medie imprese e investimenti nelle infrastrutture. Tuttavia, i progressi sono stati limitati in più aree complesse, come l'armonizzazione delle procedure doganali, regole di origine, le misure sanitarie e fitosanitarie, la proprietà intellettuale, tasse e regolamentazione del settore finanziario. La mancanza di progressi negli ultimi due aree, per esempio, sta ritardando l'attuazione del Mercado Integrado Latinoamericano (MILA, il Mercato integrato latinoamericano, che mira a creare un unico mercato azionario tra il Cile, Colombia e Perù, e, in futuro , Messico).
Infine, anche se i suoi leader hanno sottolineato che la PA non ha motivazioni politiche, altri blocchi, come il Mercado Comun del Sur (Mercosur, l'unione doganale Cono Sud, che comprende Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela) e l'Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra America (ALBA, l'Alleanza Bolivariana per le Nazioni della Nostra America, che comprende Antigua e Barbuda, Bolivia, Cuba, Dominica, Ecuador, Nicaragua, Saint Vincent e Grenadine e Venezuela) vede come una minaccia politica. Questo può influenzare la voce potenziale per l'Alleanza di paesi come Ecuador, Nicaragua, Paraguay e Uruguay.
mercoledì 5 marzo 2014
Bolivia: le relazioni sino-sudamericane. I Cinesi lanciano il satellite boliviano Tupac- Katari
Il 20 dicembre scorso è stato lanciato dalla base cinese di Xi Chian – regione del Sichaun – il primo satellite per le telecomunicazioni dello Stato Plurinazionale di Bolivia. “Facciamo oggi il primo passo per essere presenti nel cielo”. Con queste parole, Alvaro García, vice presidente del paese andino, si è rivolto ai suoi concittadini riunitisi in Plaza Murillo, nel cuore della capitale La Paz, per seguire il lieto evento in diretta televisiva. Invece il presidente Evo Morales è stato invitato a presenziare al lancio dalla base di Xi Chian. E’ la prima volta che il governo cinese ospita un capo di Stato estero all’interno del suo comprensorio spaziale. Morales, visibilmente commosso, ha commentato:
Per Ivan Zambrana, direttore della Agenzia Spaziale Boliviana, il satellite:
Tupac Katari, così è stato battezzato il satellite in onore del leader indigeno che si ribellò alla dominazione spagnola nel XVIII secolo, è costato 300 milioni di dollari. L’85% della spesa è stata coperta da un prestito elargito dalla Banca Cinese per lo Sviluppo. La Bolivia, con non pochi sacrifici, ha così raggiunto un importante traguardo di enorme valenza politica, economica e strategica.
L’ambizioso progetto spaziale ha avuto in effetti una travagliata gestazione. L’accordo preliminare per la sua costruzione è stato firmato il 1° Aprile del 2010, dopo un periodo di intense trattative condotte dall’Agenzia Spaziale Boliviana, impresa pubblica nazionale creata appositamente per gestire ed implementare questo progetto e dalla società cinese Great Wall Industry Corporation of China.
Con un peso di circa 5,2 tonnellate, Tupac Katari ha impiegato circa dieci giorni a raggiungere la sua orbita e sarà pienamente operativo a partire dal mese prossimo. Le due stazioni ricettive si trovano a Santa Cruz e La Paz.
L’Agenzia Spaziale Boliviana è già al lavoro per la costruzione di un altro satellite, che dovrebbe vedere la luce nel 2016 o 2017, e che sarà utilizzato per tracciare la pianta morfologica e geologica del paese.
Secondo le stime, Tupac Katari, produrrà un guadagno di circa 40 milioni di dollari l’anno, grazie ai servizi che questo offrirà ai privati e ai paesi limitrofi. Parte degli introiti saranno destinati per estinguere il debito contratto con l’entità creditizia cinese. Rimarrebbe così, secondo le previsioni del governo boliviano, un margine di utile che va dai 5 ai 10 milioni di dollari all’anno3. Il viceministro delle telecomunicazioni, Wilber Flores, ha tuttavia ribadito che il debito con i cinesi sarà estinto, verosimilmente, in un periodo lungo, ossia di circa 15 anni4.
Oltre a migliorare le comunicazioni nazionali ed internazionali, il satellite verrà utilizzato come supporto strategico per progetti educativi e sanitari, senza tralasciare gli ambiti della difesa, del controllo delle frontiere e della sicurezza nazionale.
Per la Cina si tratta del secondo satellite “esportato”. Un accordo similare è stato siglato con il Laos per la messa in orbita del satellite LAOSAT-1. Altri accordi di collaborazione nell’ambito delle telecomunicazioni e dello spazio sono stati firmati, inoltre, con i governi del Venezuela, Nigeria e Pakistan.
Sebbene accompagnato da un forte entusiasmo popolare, il Tupac Katari, ha provocato numerose polemiche legate, soprattutto, agli ingenti oneri finanziari sostenuti sia per la realizzazione del progetto che per la gestione del satellite stesso. Il governo boliviano ha già fatto sapere che il suo utilizzo permetterà l’accesso alle telecomunicazioni di circa 10 milioni di cittadini residenti nelle zone rurali del paese.
Dunque, La Paz non è nuova agli accordi con Pechino. Come noto, la Cina, negli ultimi anni, sta diversificando i suoi investimenti in moltissimi paesi latino americani, primo fra tutti il Venezuela.
Per capire la portata di simili accordi e, naturalmente, delle loro implicazioni geopolitiche è necessario fare un passo indietro, nel tentativo di far luce sui rapporti che intercorrano tra il paese andino e il gigante asiatico. Al centro dell’agenda diplomatica non vi è soltanto il litio e le materie prime semilavorate (si veda, appunto, l’articolo “Le saline della Bolivia e le “Politiche di Stato” della Cina”) ma anche le energie rinnovabili e le nuove tecnologie.
Infatti lo scorso 3 gennaio è entrato in funzione il primo impianto eolico della Bolivia costruito nel dipartimento centrale di Cochabamba. La centrale, inaugurata dal presidente Evo Morales, è stata realizzata dalla società cinese Hydrochina Corporation5. Contemporaneamente, e sempre ad opera della stessa ditta, è stata altresì inaugurata la prima “Wind Farm” in territorio boliviano. L’impianto, costato 7,6 milioni di dollari, si trova nella zona rurale di Qollpana, nella regione di Cochabamba, a circa 500 chilometri dalla capitale La Paz.
Una strettissima collaborazione quella che si è venuta a creare con il celeste impero, andatasi ad intensificare in modo netto, non a caso, con l’avvio della presidenza di Evo Morales.
Al riguardo, il 20 gennaio scorso, durante un incontro tra Morales e Zhang Dejiang, quest’ultimo ha ricordato come i rapporti sino-boliviani, iniziati nel 1985 con l’inaugurazione delle relazioni diplomatiche tra i due Stati, si siano progressivamente intensificati. Dal canto suo, Morales, ha manifestato pubblicamente la sua “gratitudine” per gli aiuti ricevuti in campo economico e sociale. Nel corso dell’incontro, entrambi i mandatari, hanno ulteriormente rafforzato la relazione bilaterale basata sul principio della cooperazione di mutuo vantaggio.
La ormai radicata presenza cinese in Bolivia, così come nei restanti paesi sudamericani, lascia intravedere i contorni di un piano sistematico, messo a punto dal governo centrale di Pechino a partire dagli anni ’90 e che si manifesta sia sotto veste “pubblicistica” ma anche “privatistica”.
Il consolidamento di una simile politica ambivalente, ha significato per Pechino importanti occasioni di investimento e profitto; per i paesi sudamericani, invece, l’occasione di concludere ottimi affari con una superpotenza emergente. Detto in altre parole, l’influenza cinese nella regione ha rovesciato la dottrina Monroe nonché spostato l’asse dal unipolarismo americano verso una forma molto più radicata di multipolarismo.
Tanto è vero che Pechino ha considerevolmente ampliato la sua rete diplomatica e nel contempo intensificato i contatti commerciali con gli imprenditori sudamericani. Non dimentichiamo che la Cina è diventata il primo partner commerciale di Bolivia, Brasile, Uruguay, Cile e Perù.
L’America meridionale garantisce alla Cina essenzialmente due cose: materie prime e un ampio mercato interno che ha visto crescere molto, negli ultimi anni, la sua capacità di acquisto.
A ciò si aggiunga che Pechino non esita ad investire direttamente nei settori sensibili di queste economie, finanziando la costruzione delle infrastrutture necessarie per estrarre in loco e succesivamente esportare in patria le risorse minerarie di cui ha bisogno, così come non esita a piazzare sul mercato sudamericano prodotti e lavorati hi tech con il relativo trasferimento di tecnologia.
A ciò si aggiunga che Pechino non esita ad investire direttamente nei settori sensibili di queste economie, finanziando la costruzione delle infrastrutture necessarie per estrarre in loco e succesivamente esportare in patria le risorse minerarie di cui ha bisogno, così come non esita a piazzare sul mercato sudamericano prodotti e lavorati hi tech con il relativo trasferimento di tecnologia.
Alvaro García, in diretta televisiva dalla Plaza Murillo, ha spiegato che la Bolivia ha ottenuto “la terra” attraverso le nazionalizzazioni delle risorse naturali; “il cielo” a seguito del lancio del satellite Tupac Katari e, dopo una breve pausa, ha aggiunto: “l’unica cosa che ci manca è il mare”. Una annosa questione, quella dello sbocco sul pacifico, che attende, da secoli, una fattibile soluzione.
Per quanto attiene i rapporti della Cina con i paesi sudamericani, numerosi analisiti concordano sul fatto che, nel breve periodo, tale relazione potrebbe fruttare copiosi benefici a queste ultime economie. La Cina è un partner economico vigoroso, con una domanda crescente ed un potere di acquisto enorme. Tuttavia questo tipo di relazione, nel medio-lungo periodo, potrebbe far sorgere altrettante incognite, legate principalmente alla possibilità che le nazioni sudamericane possano, di fatto, ritrovarsi dipendenti dalle sole esportazioni di materie prime e semilavorati, mettendo a repentaglio i propri piani riguardanti la cosiddetta “industrializzazione pesante”.
Alcune voci dissidenti sollevano preoccupazioni circa la “svendita” delle terre nazionali agli investitori cinesi. Sebbene è vero che senza l’intervento di quest’ultimi molte grandi opere sudamericane, così come anche i progetti infrastrutturali dell’America centrale, non avrebbero mai visto la luce è altrettanto vero che non sempre sono vantaggiosi i tassi di interesse e le clausole contrattuali praticate dai cinesi.
Inoltre, spetta ai governi sudamericani vigilare sulla sostenibilità sociale nonché ambientale e sull’utilità economica delle infrastrutture finanziate dalla Cina, adottando misure che sfuggano alla logica “elettorale” o “clientelare”.
Infine, vale la pena ricordare come non vi sia fra la Cina e le nazioni sudamericane una “automatica” comunione d’intenti in ambito politico-internazionale. Un esempio classico riguarda i rapporti tra il Venezuela e la Cina. Se i primi vedono in essi anche un chiaro messaggio ostile nei confronti degli Stati Uniti d’America, i secondi non hanno mai presentato tale relazione se non come meri rapporti commerciali, mai posti sotto l’effige di una qualche rivendicazione ideologica.
E, in effetti, aldilà degli appelli pubblicamente dichiarati al multipolarismo, i cinesi seguono una propria agenda d’interessi, che spesso non coincidono con quelli dei partners economici e politici; pensiamo alla richiesta brasiliana di diventare membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, palesemente non sostenuta dai cinesi perché preoccupati dal possibile ingresso di rivali temibili quali l’India e il Giappone.
Insomma, appare ormai evidente la strategia cinese sin’ora adottata. La sfida riguarda allora, inevitabilmente, la capacità dei paesi sudamericani di pensare ed attuare, in un periodo relativamente breve, una “strategia sudamericana” che parta dalla consapevolezza, alle possibilità, ma anche dei rischi, che questa stretta “collaborazione” con il gigante d’Oriente comporta.
1.- Fonte: BBC [On line] www.bbc.co.uk consultato il 12.01.2014.
2.- Ibidem.
3.- Fonte: FM Bolivia TV [On line] www.fmbolivia.tv consultato il 17.01.2014.
4.- Ibidem.
5.- Fonte: Rinnovabili.it [On line] www.rinnovabili.it consultato il 18.01.2014.
Condividi!
Iscriviti a:
Post (Atom)