I Brics dopo Fortaleza Stanno passando al Piano B Antonio Armellini 19/08/2014 |
Né per la verità, nei primi anni, aveva fatto molto per correggere una simile impressione, aldilà dell’affermazione di voler svolgere un ruolo più incisivo sulla scena internazionale, per riequilibrare a favore delle economie emergenti - e più in generale del Sud del Mondo - lo strapotere economico dell’Occidente e delle istituzioni finanziarie da esso dominate.
L’ambizione sembrava quella di riprendere, aggiornandolo, il progetto politico degli anni di Perez Guerrero, che vedeva nell’Unctad lo strumento per rovesciare la logica tradizionale del rapporto Nord-Sud e promuovere una autonoma dimensione Sud-Sud, foriera di una diversa relazione Sud-Nord.
Ma essa era rimasta sinora essenzialmente confinata in dichiarazioni politiche di principio, sebbene la quota dei paesi Brics sul totale del commercio mondiale sia andata gradualmente aumentando. Oggi si aggira intorno al 20%: un dato rispettabile, ma non decisivo.
Ora provano a farlo da soli
Ora però il quadro è cambiato, a seguito della creazione, decisa a Fortaleza, di una Banca di Sviluppo dei Brics (New Development Bank - Ndb) con una capitalizzazione di 50 miliardi di dollari, e di un Fondo di intervento straordinario (Contingency Riserve Arrangement - Cra) con una dotazione iniziale di 100 miliardi di dollari.
Ciò non tanto sotto il profilo strettamente quantitativo: le sole Cina, India e Brasile sono esposte nei confronti della Banca Mondiale per 66 miliardi di dollari, una cifra che supera l’intera capitalizzazione della nuova Ndb.
Così come i 100 miliardi del Cra potrebbero far poco per ovviare ad una crisi finanziaria di dimensioni significative. Il dato di rilievo è politico ed è quello che, per la prima volta, una organizzazione regionale ha messo in discussione la posizione dominante del Fmi e della Banca Mondiale, dando vita a propri strumenti volti ad affrontare gli stessi problemi con una prospettiva e con modalità di azione sottratte all’imperio delle economie avanzate.
Una riforma, approvata nel 2010, si era proposta di risolvere l’annosa questione dei criteri di ripartizione delle quote del Fmi, correggendo il pesante squilibrio in danno dei paesi emergenti, che attribuiva ai paesi occidentali (e in primis agli europei) una posizione di privilegio che non aveva più giustificazione nel mutato contesto economico mondiale.
L’opposizione, in particolare degli Stati Uniti, ha portato ad uno stallo che ha di fatto posto nel nulla la riforma ed ha indotto i paesi Brics - i quali già nel primo loro Vertice tenutosi ad Yekaterinenburg nel 2009 avevano manifestato la loro insoddisfazione - a rompere gli indugi ed accelerare la decisione. Dietro la quale si intravedono interessi convergenti, che vanno oltre la questione delle quote, per tracciare i primi lineamenti di quel nuovo ordine mondiale di cui molto si è sin qui parlato ma poco si è visto.
Alla loro testa è la Cina
La Cina fa ovviamente la parte del leone in una operazione di cui è di gran lunga il primo finanziatore; se ne potrà servire per rafforzare le sinergie con le altre strutture finanziarie regionali cui sta lavorando (dalla Chang Mai Iniziative Multilateralisation - Cmim - alla proposta di una Asian Infrastructure Investment Bank - Aiib), ma soprattutto per crearsi una costituency che dia credibilità all’ambizione di svolgere un ruolo di potenza globale anche a livello finanziario.
La Russia, espulsa dal G8, potrà trovare, non certo una soluzione a lungo termine dei suoi problemi, ma uno strumento di buona utilità negoziale nei confronti dei suoi (ex) partner finanziari dell’Occidente.
L’India, cui è stata riservata una posizione di rilievo nella governance delle nuove istituzioni, ha interesse a vedere da un lato confermata la sua posizione di major player internazionale, e dall’altro di partner politicamente anche se non finanziariamente paritario della Cina, lasciando intravedere in prospettiva uno scenario di mutuo vantaggio fra le due Super-potenze asiatiche, che potrebbe risultare decisivo per una maggiore stabilità geo-politica del Continente.
Sud Africa e Indonesia non possono che trarre vantaggio da qualsiasi strumento che in qualche modo possa alleggerire la pressione esercitata nei loro confronti dal combinato disposto Banca Mondiale e Fmi.
Un multilaterale alternativo?
Parlare di una rivoluzione in atto sarebbe prematuro. Il livello dell’ambizione dovrà trovare conferma nella capacità di porre a disposizione risorse finanziarie importanti e - cosa ancor più decisiva - di essere in grado di elaborare nel tempo una strategia comune.
Fra i paesi Brics permangono molte differenze, di struttura economica e di visione politica, che potrebbero creare tensioni in grado di porre nel nulla gli entusiasmi di Fortaleza. Ciò detto, resta il fatto incontrovertibile che le decisioni prese hanno aperto una diversa prospettiva nella gestione degli equilibri finanziari globali, in nome del mutato rapporto fra le grandezze economiche rispettive, anche se (non ancora) delle rispettive capacità di azione politica a livello globale.
È uno scenario su cui da tempo si discetta a livello teorico e che ora si presenta come una realtà concreta: si tratta di un dato che non dovrebbe essere percepito tanto come una minaccia, quanto come una opportunità per fare - ciascuno per la sua parte - i propri “compiti a casa” prima che diventi troppo tardi per dedicarvisi con la necessaria ponderazione.
Nel frattempo - come ha dichiarato il Presidente del National Security Advisory Board indiano, l’ambasciatore Shyam Saran, “il sesto Vertice del Brics in Brasile ha segnato il passaggio da un gruppo unito da preoccupazioni condivise, ad un gruppo legato da comuni interessi”.
Antonio Armellini, Ambasciatore d’Italia, è commissario dell’Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO).
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