Summit di South Wales La Nato e la partita con Mosca Alessandro Marrone 01/09/2014 |
Un vertice all’ombra del Cremlino
Il summit di South Wales è il primo da quando la Russia ha annesso la Crimea ed ha iniziato ad aiutare militarmente i ribelli filo-russi in Ucraina, in quella che è diventata ormai una guerra civile con il coinvolgimento più o meno diretto - ad esempio in termini di aiuti economici e militari - non solo della Federazione Russa ma anche degli Stati Uniti e dei principali Paesi europei, questi ultimi prevalentemente tramite iniziative Nato.
Tale cambiamento nel quadro di sicurezza europea sta mettendo in ombra nell’agenda del vertice altre crisi come quella in Libia, pure importantissime per gli interessi europei ed italiani, mentre la questione dell’impegno Nato in Afghanistan dopo la fine della missione Isaf - tra soli 4 mesi - è congelata dagli stessi leader afgani che non sono riusciti finora a portare a compimento il processo per la scelta del nuovo presidente.
Le ultime azioni di Mosca nell’est ucraino alla vigilia del summit, con alcune migliaia di militari russi entrati in Ucraina per contrattaccare le forze governative, costituiscono l’ennesimo atto di un circolo vizioso e destabilizzante di azioni russe e reazioni occidentali, che i leader europei e americani non sono finora riusciti a spezzare con una iniziativa politico-strategica.
Readiness Action Plan: “punta di lancia” e basi nell’Est Europa
La maggiore iniziativa nell’agenda del summit al riguardo è il Readiness Action Plan, già approvato dagli alleati a livello ministeriale nella riunione dello scorso giugno.
Due i pilastri del piano. Da un lato, migliorare la capacità di reazione rapida delle forze armate Nato: rispetto alla già esistente Response Force, si pensa ad una “punta di lancia” operativa in tempi ancora più rapidi, anche ore.
Una forza del genere in teoria è utile in qualsiasi teatro di crisi, e quindi in un certo senso risolverebbe il dilemma se concentrare le - poche - risorse per le forze armate europee in compiti di “gestione delle crisi” oppure di “difesa collettiva”, due dei tre “compiti chiave” della Nato sanciti dall’ultimo Concetto Strategico.
Ma è l’altro aspetto del piano ad essere politicamente più rilevante, e quindi più controverso. Si tratta infatti di pre-posizionare rifornimenti ed equipaggiamenti, di preparare infrastrutture, basi e quartier generali, nei Paesi dell’Europa orientale: insomma, di assicurare una presenza fisica e visibile della Nato nell’est europeo.
Una presenza che dal punto di vista militare è funzionale all’eventuale utilizzo in teatro della “punta di lancia”, e in generale ad un rapido dispiegamento in loco di truppe alleate in caso di crisi. Dal punto di vista politico però la questione si complica.
Una rassicurazione “non permanente”
Infatti, il Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security del 1997 tra Nato e Russia prevedeva, tra l’altro, l’impegno a non dispiegare in maniera permanente in Europa orientale capacità militari che potessero minacciare i firmatari del trattato.
La costruzione di basi Nato - o americane - nella fascia di Paesi dal Baltico al Mar Nero rappresenterebbe quindi un fatto politico-strategico importante per l’Europa, gli Stati Uniti e la Russia.
Non a caso l’ambasciatore russo presso l’Alleanza ha dichiarato che il Readiness Action Plan è in palese violazione dell’accordo del 1997, mentre i vertici Nato hanno affermato che l’iniziativa rimane nei limiti definiti dal trattato in quanto il rafforzamento delle capacità militari alleate sul fianco orientale non è permanente ma durerà solo “il tempo necessario”.
Similmente, il pacchetto da 1 miliardo di dollari proposto al Congresso statunitense dall’amministrazione Obama lo scorso maggio, sotto il nome di European Reassurance Initiative, prevede il rafforzamento di esercitazioni militari congiunte, attività di training, dello stazionamento temporaneo di truppe ed istruttori statunitensi, nonché della presenza della Marina americana nel Mar Baltico e nel Mar Nero, ma non il dispiegamento sine die di forze armate né la costruzione di nuove basi.
Insomma, una rassicurazione più o meno simbolica e tangibile agli alleati dell’est europeo, ma non permanente. Non si tratta quindi di una inversione del disimpegno militare americano dall’Europa in corso dalla fine della Guerra Fredda, e orientato dall’amministrazione Obama sempre più verso il Pacifico, ma del massimo che il non-interventista Obama ha voluto mettere sul tavolo.
La vera partita con Mosca
In questo quadro, l’escalation militare russa in Ucraina a pochi giorni dal vertice di South Wales è un rilancio che il Cremlino - ottimo giocatore di poker - ha messo sul tavolo con gli occidentali.
Se non vi sarà una risposta adeguata, la reazione faticosamente messa in campo dalla Nato la scorsa primavera all’annessione della Crimea verrà considerata un bluff, e Mosca si sentirà in grado di giocare al rialzo per vincere la mano in Ucraina.
Ma quale sarebbe una risposta adeguata? Il punto di partenza per elaborarla è legare il rafforzamento della postura militare Nato in Europa, attraverso il Readiness Action Plan piuttosto che l’aumento delle spese militari europee, il completamento della difesa missilistica o altre iniziative più ambiziose, all’apertura di un negoziato diretto con Mosca sulla sicurezza pan-europea, nel quale siano rappresentati ai massimi livelli Usa, Nato, Ue - considerando il ruolo cruciale dell’Unione in fatto di sanzioni economiche - e principali Paesi europei, per trattare una soluzione per la crisi ucraina nel relativo quadro regionale.
Una strada ambiziosa e incerta, ma le alternative sono di gran lunga peggiori: da un lato proseguire con sanzioni economiche senza un negoziato strategico costerà caro all’economia Ue, anche visto che l’inverno sta arrivando e servirà il gas russo, mentre difficilmente piegherà la leadership di Mosca; dall’altro rafforzare militarmente il fianco orientale dell’Alleanza senza negoziare con la Russia una soluzione per l’Ucraina e la sicurezza regionale porterà più probabilmente ad una escalation che a una de-escalation del conflitto in corso.
Sanzioni economiche e dimostrazione di forza militare dovrebbero piuttosto essere le carte da giocare in un negoziato politico-strategico con Mosca, di cui il vertice di South Wales dovrebbe perlomeno iniziare a delineare la strategia occidentale.
Alessandro Marrone è ricercatore senior nell'Area Sicurezza e Difesa dello IAI e responsabile di progetti di ricerca per la Commissione europea e per l'Agenzia europea di difesa (Twitter: @Alessandro__Ma).
Nessun commento:
Posta un commento