America latina Brasile alla ricerca di un presidente innovatore Carlo Cauti 15/10/2014 |
Silva appoggia Neves
I risultati del primo turno hanno mostrato che le opposizioni, insieme, rappresentano l'ampia maggioranza del paese. Marina Silva, del Partito socialista brasiliano (Psb) ha deciso di appoggiare Aécio Neves, del Partito della social democrazia brasiliana (Psdb), andando contro la volontà di parte del suo partito.
Alla vigilia del ballottaggio, i sondaggi mostrano che il trasferimento di voti è riuscito solo in parte, provocando un pareggio tecnico di Aécio con il presidente in carica, Dilma Rousseff, del Partito dei lavoratori (Pt).
I numeri disegnano uno scenario molto netto: il Brasile è diviso tra chi vuole il cambiamento senza cambiare governo e chi vuole il cambiamento, cambiando il governo. Vincerà chi uscirà a convincere l'elettorato che le cose muteranno per davvero. Possibilmente alla brasiliana, ossia in forma indolore.
Volo della gallina per l’economia brasiliana
La realtà, tuttavia, è molto più amara. Il modello economico di successo del Brasile, lanciato da Fernando Henrique Cardoso e ampliato da Lula, è agli sgoccioli. La ricetta era semplice: stabilità della valuta, prevedibilità della politica economica, vendita di soia, ferro e commodities alla Cina a prezzi stratosferici, e, con il ricavato, realizzazione di politiche redistributive e sociali, come il "Bolsa Familia", l'elargizione di finanziamenti agevolati per il consumo privato e ai principali settori industriali.
L'apparentemente insaziabile appetito della Cina per le materie prime ha finanziato, attraverso le banche pubbliche brasiliane, la crescita di un dinamico mercato interno che ha attratto i capitali esteri necessari per alimentare il sistema.
Il mercato ultra-protetto brasiliano - con dazi che arrivano al 100% sul valore dei prodotti importati - ha fatto il resto, arginando la concorrenza internazionale e favorendo i produttori locali. La crescita è stata forte, senza doversi preoccupare della modernizzazione e della competitività dell'apparato produttivo e del paese.
Ma la crisi finanziaria globale, con il crollo dei prezzi di ferro e soia ha, di fatto, concluso questa bonanza. L’economia del Brasile sembra compiere l'eterno “voo da galinha”, il volo della gallina, e non il balzo della tigre. Quattro vigorosi colpi d’ala e poi di nuovo a terra.
Con Rousseff il Brasile non cresce più
Rousseff ha ereditato un Brasile in declino. Invece di cambiare rotta ha insistito con le stesse scelte economiche. Stavolta senza averne i mezzi finanziari. Risultato: inflazione alta, crescita asfittica - il cosiddetto "pibinho" - deindustrializzazione, conti pubblici in forte deficit, debito in aumento, bilancia commerciale in rosso e primi effetti negativi per l'occupazione.
Non ci sono più soluzioni indolori. Si dovrà investire nel miglioramento delle infrastrutture, nell'istruzione, nella sanità e nei trasporti, e anche nell'efficienza della pubblica amministrazione.
Con il paese fortemente indebitato, riforme strutturali del genere sono possibili solo dando più potere al settore privato e alla società civile, promuovendo una mentalità di competitività e di apertura alla concorrenza internazionale. Una terapia di shock economico che si traduce nella fine dei settori protetti, delle rendite di posizione e che si trasformerà inevitabilmente in una battaglia all'ultimo sangue per la sopravvivenza di poteri veramente forti, economici e politici.
Il Pt non ha vocazione al sacrificio. La visione per i prossimi quattro anni è sempre la stessa, miope e ideologica: rafforzare il capitalismo di stato, con aziende e banche pubbliche controllate da governo e partito. I finanziamenti, dicono, verranno con soldi del petrolio estratto in futuro dai giacimenti del Pré-Sal. Il problema è che l'oro nero arriva troppo tardi in Brasile e potrebbe non portare ai risultati sperati.
Aécio e il Psdb hanno, teoricamente, uomini preparati, idee giuste e una base politica sufficientemente forte per cercare di risolvere questo dilemma. Dovranno però fare i conti con il clientelismo fisiologico del sistema politico e la mentalità rapace delle élites economiche tradizionali del Brasile.
Per cercare di salvare il paese dal disastro, un eventuale governo Aécio dovrà fare leva sulle aspirazioni della "nuova classe media" brasiliana che non si accontenta più di ricette assistenziali o manovre populiste. Chi ha occupato le piazze nel giugno-luglio 2013 ha le idee molto chiare: vuole partecipazione, potere e un governo che dia risposte effettive ai problemi quotidiani della popolazione.
Partidos dos caciques
La buona gestione economica dovrà essere accompagnata da una vera riforma politica e da un cambiamento radicale nelle pratiche politiche. Per i manifestanti, non è solo il sistema politico brasiliano che deve cambiare, ma anche il modo di fare politica.
È la fine dei “partidos dos caciques”, i partiti politici senza la minima amalgama ideologica, comandati da ras locali che puntellano la loro base sulla distribuzione personalistica di fondi pubblici. L’interesse di questa classe politica nel cambiare realmente il paese è, ovviamente, nullo. Ed è ciò che fa infuriare la nuova borghesia urbana brasiliana.
Anche se dovesse vincere le elezioni, non è detto che il Psdb - che non è riuscito a rinnovare i suoi quadri dirigenti per oltre vent'anni - sarà in grado e dimostri la volontà politica di realizzare questo cambiamento radicale. Vincerà questo ballottaggio chi riuscirà a catturare e a rappresentare il cambiamento, la vera sfida del Brasile del futuro.
Carlo Cauti è giornalista del settimanale brasiliano “Veja”.
Nessun commento:
Posta un commento