Negoziato sul nucleare iraniano Crisi con Russia e Isis complicano l'intesa Usa-Iran Riccardo Alcaro 22/09/2014 |
Eppure al peggio non c’è mai fine: il fallimento del negoziato sul programma nucleare iraniano potrebbe avere implicazioni ancora più gravi.
Le trattative tra l’Iran e i cosiddetti P5+1 – i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania e l’Unione europea (Ue) – appena riprese andranno avanti fino al 24 novembre per trovare un accordo che garantisca che il programma nucleare iraniano abbia una destinazione esclusivamente pacifica. Entrambe le parti hanno manifestato un genuino, forte interesse ad arrivare a un’intesa, ma la volontà da sola potrebbe non bastare.
Limiti all’arricchimento dell’uranio, sanzioni, Aiea
Le questioni più importanti sul tavolo negoziale sono: l’imposizione di limiti all’arricchimento dell’uranio, un procedimento estremamente sensibile perché necessario sia a produrre energia elettrica sia a fabbricare il materiale fissile per una bomba atomica; la revoca delle sanzioni; e l’ampliamento dei poteri ispettivi dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), che verifica che non ci sia una diversione del programma a usi militari.
Il punto su cui c’è meno distanza è l’ultimo. L’Iran è disposto ad accettare che l’Aiea eserciti una stretta vigilanza sulle sue attività nucleari. In cambio si aspetta la revoca delle sanzioni e di poter continuare a sviluppare il programma, in particolare l’arricchimento dell’uranio.
Per i 5+1, questa posizione è irricevibile. Per quanto importanti, le ispezioni dell’Aiea da sole non costituiscono una garanzia sufficiente. L’elemento decisivo è che l’Iran riduca l’arricchimento dell’uranio a un livello ben inferiore a quello attuale. Le sanzioni verrebbero revocate gradualmente nel corso di anni, e soltanto in seguito alla certificazione da parte dell’Aiea che l’Iran sia adempiente ai termini dell’accordo.
A Teheran verrebbe concesso di riprendere l’arricchimento su scala industriale solo al termine di questo lungo processo – che potrebbe durare fino a vent’anni.
Perché si arrivi a un accordo, è quindi fondamentale che gli iraniani accettino una capacità di arricchimento vicina a quella indicata dai 5+1, ma anche che questi ultimi ammorbidiscano le loro richieste, consentendo tra l’altro all’Iran di continuare a investire in ricerca e sviluppo nel campo dell’arricchimento stesso.
La difficile stretta di mano tra Usa e Iran
Per quanto difficile sia il negoziato, non ci sono ostacoli ‘tecnici’ a un accordo. Esistono invece considerazioni e problemi di natura strategica e politica legati alla rivalità tra la Repubblica islamica e gli Usa e i loro alleati regionali (in primo luogo Arabia Saudita e Israele).
Mentre la logica della geopolitica spinge Usa e Iran verso un accordo, quella della politica li condanna a restare nemici irriducibili. Al di là dell’ovvio vantaggio di eliminare un forte elemento di tensione regionale, una risoluzione condivisa della disputa sul nucleare potrebbe aprire la strada a un riposizionamento delle relazioni Usa-Iran su basi pragmatiche.
In questo quadro non sarebbe inconcepibile pensare a limitate forme di cooperazione su questioni d’interesse condiviso come il futuro dell’Afganistan, l’Iraq, la Siria e la lotta all’estremismo sunnita di matrice qaedista.
Contro il buon senso strategico tuttavia agiscono potenti forze politiche: da una parte, il timore della leadership iraniana che un avvicinamento agli Usa possa compromettere la legittimità del regime, dal momento che l’antagonismo contro gli Usa è uno dei miti fondanti della Repubblica islamica; dall’altra parte, il fatto che l’ostracismo anti-iraniano, alimentato da Israele e Arabia Saudita (che godono entrambi di largo credito nell’establishment di politica estera di Washington) è parte integrante della politica mediorientale degli Usa.
Dinamiche geopolitiche contro il compromesso
Consapevole di queste difficoltà, a febbraio il presidente Usa Barack Obama aveva dato al negoziato una chance di successo non superiore al 50%. Questa stima ora sembra ottimista, perché oggi anche le dinamiche geopolitiche lavorano contro un compromesso. La competizione geopolitica regionale tra gli alleati degli Usa e l’Iran, e quella globale tra Russia e Occidente, ne ha ridotto lo spazio politico di manovra.
La prima ha prodotto un tale estraniamento tra Usa e Russia che la possibilità che Mosca si svincoli dai 5+1 e concluda accordi separati con l’Iran non può essere esclusa. Riducendo gli eventuali costi di fallimento, ciò costituisce un disincentivo per l’Iran a fare concessioni. La seconda ha spinto Obama a definire una strategia di contrasto che dipende dalla cooperazione degli alleati regionali dell’area, rendendo più difficile giustificare agli alleati un accordo con l’Iran (non a caso escluso dalla coalizione anti-Isis).
Il fallimento del negoziato potrebbe mettere in moto una disastrosa reazione a catena. Gli Usa spingerebbero per inasprire il regime internazionale di sanzioni; gli oltranzisti iraniani farebbero pressione perché l’Iran riavvii l’arricchimento dell’uranio in grande scala (a che pro non farlo, visto che sarebbe sotto sanzioni in ogni caso?).
A quel punto Israele, che considera un Iran nucleare una minaccia esistenziale, potrebbe decidersi a bombardare le infrastrutture nucleari iraniane – da solo o insieme agli Usa; in reazione, l’Iran potrebbe minare lo Stretto di Hormuz (dove passa buona parte del trasporto marino di petrolio mondiale), sostenere azioni contro Israele da parte del suo alleato libanese Hezbollah, o attaccarlo direttamente.
La peggiore notizia del 2014 potrebbe quindi essere la prossima.
Riccardo Alcaro è responsabile di ricerca dello IAI e Visiting Fellow presso il CUSE della Brookings.
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