sa 2016 Trump e l'incubo della convention aperta Giampiero Gramaglia 18/03/2016 |
Invece, Donald Trump ha un tris servito e può ancora fare poker, quando finirà la conta e riconta tra lui e Ted Cruz nel Missouri. Ma i repubblicani escono male dai voti anche in Florida, North Carolina, Ohio, Illinois: il lotto degli aspiranti alla nomination, che a un certo punto erano17, si riduce a tre, ma le tensioni si acuiscono. E per prima cosa salta, per mancanza di ‘quorum’, il dibattito sulla Fox previsto lunedì 21 dallo Utah.
Sono ore di apprensione fra i conservatori ‘per bene’, tradizionali e moderati, che si rendono conto d’essersi persi per strada uno ad uno i loro campioni (magari mal scelti, bisogna ammettere): i ‘figli della Florida’ sono usciti di scena l’uno dopo l’altro in meno d’un mese, prima l’ex governatore, figlio e fratello di presidente, Jeb Bush, ritiratosi a febbraio senza essere mai riuscito a far decollare la sua campagna, e ora il senatore Marco Rubio, il più giovane del lotto, costretto a lasciare dopo essere stato sconfitto in casa.
E sono ore d’agitazione per Trump, il battistrada showman, che vince a raffica - senza peraltro mai convincere tutto il suo campo -, ma che è esposto al rischio d’arrivare fino alla convention di luglio senza la maggioranza assoluta dei delegati: i suoi avversari insieme ne hanno più di lui. Invece, Hillary, fra i democratici, viaggia spedita verso la soglia di delegati che le garantisce la nomination, mentre Bernie Sanders, indossato il cappotto, dice di crederci ancora, ma va avanti senza speranze.
La ‘convention aperta’ è evento rarissimo ed è un po’ uno spauracchio per tutti: significa sciorinare davanti all’elettorato divisioni e incertezze e spendere energie, oltre che soldi, in confronti fratricidi, invece di concentrare gli attacchi sull’antagonista democratico.
L’establishment repubblicano pare non fidarsi a pieno, come anti Trump, neppure del governatore dell’Ohio John Kasich, che martedì ha vinto nel suo Stato, ma che non aveva finora avuto altri acuti nella sua campagna. E il senatore Cruz, iper-conservatore ed evangelico, non è meglio di Trump, dal punto di vista del partito: populista come lui, più fondamentalista di lui, ma meno popolare e poco simpatico.
Così, si rovista nei cassetti del 2012: lì, ci sono Mitt Romney, il candidato battuto dal presidente Obama, che s’espone in campagna contro Trump, ma non scende in campo, e il suo vice, oggi speaker della Camera, Paul Ryan, che, chiamato in causa da John Boehner, si tira indietro, “non mi candido”. Gli ‘assi nella manica’, o i ‘cavalli di razza’, sono merce rara; e probabilmente intendono non esporsi fino alla convention, salvo poi accettare un’eventuale acclamazione come ‘salvatori del partito’.
Trump avverte aria di fronda e fa la voce grossa, prospettando disordini nelle strade se non otterrà la nomination - il che rafforza le preoccupazioni dei moderati nei suoi confronti - e chiamandosi fuori dal prossimo dibattito, il 21 marzo, perché - dice - “ne abbiamo già fatti troppi” (il che, magari, è vero).
Kasich replica subito che, se non c’è Trump, non ci sarà neppure lui: che senso avrebbe stare a scannarsi con il senatore Cruz, mentre lo showman si tiene in disparte? E così la Fox cancella l’evento, che sarebbe diventato un ‘one man show’.
Per Trump, la convention aperta può diventare un’ossessione; e, se ci cade dentro, una trappola. Così, cerca di forzare i tempi e di indurre il partito a seguirlo mostrando una forza che, nei numeri dei delegati, non ha: gli incidenti e i disordini a Chicago, a Kansas City, a Dayton e altrove, che hanno preceduto il secondo Super Martedì, possono essere spie di una deriva della campagna che può solo nuocergli, incrementando le diffidenze e le ostilità nell’elettorato indipendente e centrista.
E il calendario non aiuta: il mese davanti ha voti radi, specie per i repubblicani, e in Stati non determinanti, così che è probabile che i rapporti di forza resteranno sostanzialmente inalterati, fino alle primarie di New York, il 19 aprile.
Uscendo di scena, Rubio dice: "L'America è nel mezzo d’uno tsunami politico, la gente è arrabbiata e frustrata". Il senatore d’origine cubana aveva raccolto da Jeb Bush la fiaccola di alfiere dell’establishment del partito e dei moderati, ma non l’ha portata a lungo: "Siamo dalla parte giusta, ma quest'anno non saremo dalla parte vincente", ammette. Nel suo Stato, Trump lo ha ‘stracciato’: 46% contro 27%.
Ora la fiaccola dei moderati ce l’ha Kasich, che, alla prima vittoria, con quasi il 47% dei voti nell’Ohio, osserva: "Ci sono oltre mille delegati ancora da assegnare, posso arrivare alla convention con più delegati di chiunque altro". Florida e Ohio, due Stati spesso decisivi per la Casa Bianca nell’Election Day - quest’anno, l’8 novembre -, attribuiscono i delegati con la formula ‘chi vince prende tutto’.
Kasich, nel discorso della vittoria, con accanto la moglie e le due figlie gemelle, fa i complimenti al "talentuoso" Rubio, appena ritiratosi e di cui aspira ad ereditare gli elettori e i delegati, e conferma il suo messaggio pacato e unificatore: "Prima di essere democratici o repubblicani siamo americani - dice -, non percorrerò la strada di livello più basso per raggiungere la carica più alta del Paese".
Cruz, nonostante resti a secco, in attesa dell’esito del Missouri, rivendica i successi finora riportati "dall'Alaska al Maine", ponendosi come unica alternativa allo showman e corteggiando i sostenitori di Rubio: "Vi accogliamo a braccia aperte … La storia di Rubio è potente, la sua campagna ha ispirato milioni di persone … Ora restano solo due campagne: la mia e quella di Trump”.
Ovvi i toni trionfali della Clinton, che può affermare: "La nostra campagna ha guadagnato più voti di qualsiasi altro candidato, democratico o repubblicano”. Hillary, che ha fatto “un altro passo verso la nomination”, ha parole di stima per lo sfidante Sanders, ma guarda già al possibile confronto con Trump per la Casa Bianca: "Il nostro comandante in capo deve essere in grado di difenderci, non di metterci in imbarazzo".
La conta dei delegati
Rifacciamo un punto sulla situazione dei delegati: Hillary Clinton ne ha oltre il 67%, cioè oltre i due terzi, dei necessari ad assicurarsi matematicamente la nomination democratica; Donald Trump è quasi al 55% dei necessari per la nomination repubblicana.
La differenza fra i due partiti sta nel sistema dei super-delegati che favorisce di fatto l’ex first lady: i super-delegati sono figure di spicco del partito democratico che possono scegliere chi appoggiare in qualsiasi momento.
Queste, comunque, le posizioni - fonte, il sito uspresidentialelectionnews.com:
Democratici: delegati alla convention 4.765, delegati già assegnati 1.964 e super-delegati già pronunciatisi 493, delegati da assegnare 2.308, maggioranza necessaria 2.383.
Hillary Clinton s’è finora assicurata 1.139 delegati popolari e 467 super-delegati ed è quindi a 1.606; Bernie Sanders ha conquistato 825 delegati popolari, ma ha solo 26 super-delegati ed è a 851.
Hillary ha vinto in 17 Stati: in ordine alfabetico Alabama, Arkansas, Florida, Georgia, Illinois, Iowa, Louisiana, Massachusetts, Mississippi, Missouri, Nevada, North Carolina, Ohio, South Carolina, Tennessee, Texas, Virginia, oltre che nei territori delle Isole Samoa e delle Marianne. Sanders ha vinto in 9 Stati: Colorado, Kansas, Maine, Michigan, Minnesota, Nebraska, New Hampshire, Oklahoma, Vermont.
Repubblicani: delegati alla convention 2.472, delegati già assegnati 1.414, delegati da assegnare 1.058, maggioranza necessaria 1.237.
Donald Trump ne ha 673, Ted Cruz 411, Marco Rubio 169, John Kasich 143; e, inoltre, Ben Carson 8, Jeb Bush 4 e 6 non sono vincolati.
Trump ha vinto in 18 Stati: Alabama, Arkansas, Florida, Georgia, Hawaii, Illinois, Kentucky, Louisiana, Massachusetts, Michigan, Mississippi, Nevada, New Hampshire, North Carolina, South Carolina, Tennessee, Virginia, Vermont, oltre che alle Marianne. Cruz ha vinto in 8 Stati: Alaska, Idaho, Iowa, Kansas, Maine, Oklahoma, Texas, Wyoming, oltre che a Guam. Rubio ha vinto in Minnesota, nel Distretto di Columbia e a Portorico. Kasich ha vinto in Ohio. Il Missouri resta da assegnare.
Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello IAI.
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