Usa 2016 Repubblicani, ultima chiamata anti-Trump Azzurra Meringolo 05/04/2016 |
L’obiettivo è anche quello di scongiurare che la convention che si terrà a Cleveland a luglio rinneghi il candidato alle presidenziali scelto dal popolo - cosa che non accade in questo fronte dal 1976 –, mettendo a nudo i problemi che da anni minano la vita all’interno di questo partito.
I repubblicani che oggi si trovano a fare i conti con quella che sembra l’inarrestabile ascesa di un istrionico e imbarazzante tycoon sono infatti gli stessi che da anni combattono una guerra fratricida.
Privatamente, ma anche pubblicamente, come mostrò la battaglia scatenatasi all’indomani delle ultime elezioni di midterm del 2014, quando - pur vincenti - i repubblicani litigarono per riconfermare John Boehner ai vertici della Camera.
Boehner alla fine la spuntò, anche se la spaccatura fu il preludio delle dimissioni annunciate l’anno dopo, svelando la tensione in atto tra le diverse fazioni del partito, in primis tra la leadership e i sostenitori del Tea Party, ribelli più conservatori dei compagni ai vertici.
Conservatori e questioni LGBT
Ed è proprio su questioni ideologiche che si sta frantumando ora il partito, come mostra quanto sta accadendo in Stati dove i businessmen e gli evangelici che hanno alle spalle un lungo periodo di coesistenza all’interno del partito hanno iniziato a guerreggiare su scottanti temi sociali. Dai diritti degli omosessuali alla libertà religiosa, i toni del confronto sono così alti che anche la stampa mainstream parla ormai di una vera e propria guerra.
I campi di battaglia più evidenti sono la Georgia e la North Carolina, i cui governatori, entrambi repubblicani, hano adottato approcci completamente diversi per rispondere ai propri collegi elettorali. Nel primo caso, il governatore Nathan Deal - che non cerca la rielezione - ha usato il veto per bloccare una legge che avrebbe autorizzato i pastori religiosi a negare a coppie omosessuali i servizi della Chiesa.
In North Carolina invece, Pat McCrory - governatore che corre per un nuovo mandato a novembre - ha firmato una legge che limita il potere delle autorità locali di creare maggiori protezioni per le persone lesbiche, gay, omosessuali o transgender, LGBT. A Charlotte e dintorni, ai transgeder è stato ad esempio chiesto di usare i servizi riservati al loro sesso biologico, quello scritto alla nascita sulla loro carta d’identità.
Dal Wisconsin a New York
Questa lotta a livello statale non fa altro che esacerbare i problemi interni al fronte repubblicano, ora impegnato a neutralizzare un Trump le cui energie si stanno concetrando sulle primarie in Wisconsin. Oggi in palio ci sono 42 preziosi delegati: bottino fra i più alti tra quelli ancora rimasti sulla tavola.
Per calmare le acque interne al fronte repubblicano, giovedì Trump è comparso a sorpresa a Washinghton, dichiarandosi pronto “a tenere il partito insieme”.
L’insolita affermazione del magnate dell’immobiliare è arrivata, caso vuole, proprio poco dopo la pubblicazione dei dati di un sondaggio condotto da Washington Post e Cbc. Ridimensionando la sua reale popolarità e mettendo in discussione il suo percorso verso al Casa Bianca, la rilevazione descrive Trump come il candidato alle presidenziali meno popolare della storia moderna.
Un’eventuale sconfitta in Wisconsin non influenzerebbe necessariamente gli stati dove i repubblicani devono ancora esprimere la loro preferenza sul candidato da fare correre per la Casa Bianca.
Oltre alla California, dove chi vince si porta a casa un tesoretto di 172 delegati, Trump deve ancora affrontare ancora una quindicina di stati e New York. L’appuntamento con la Grande Mela è fissato per il 19 aprile, giorno in cui Trump non sarà l’unico a giocare in casa: lo stesso accadrà infattia Hillary Clinton, che di New York è stata senatrice. E tutti dovranno fare i conti con le diverse variabili che entrano in gioco nel melting pot ai piedi di Wall Street.
Verso la convention di Cleveland
In un contesto ancora nebuloso e temendo di doversi confrontare con una convention a lui ostile, Trump sembra già essersi messo avanti con il lavoro. Non tutti i membri del suo team cercano di arricchire il gruzzoletto di delegati da portare a Cleveland, con la speranza di averne la maggioranza.
Da qualche settimana lo staff del tycoon fa anche sforzi conservativi. “Evitare di perdere quello già intascato”, riassume sinteticamente una lavagna di una sede di volontari a sostegno di Trump. Ecco perché l’istrionico candidato si sforza di tenere in vita le relazioni con i delegati che si è già assicurato, garantendo loro anche la copertura del viaggio.
Per la prima volta in 40 anni, quanti andranno alla Convention potrebbero avere un ruolo molto più attivo rispetto a quello giocato negli ultimi quattro decenni.
Invece di ratificare il risultato delle primarie, chi andrà a Cleveland potrebbe anche decidere di non mettere un timbro sul nome di Trump. Lui ne uscirebbe sconfitto. Il partito, che ha ormai messo a nudo il suo tendine d’Achille, a pezzi.
Azzurra Meringolo è ricercatrice presso lo IAI e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.
Nessun commento:
Posta un commento