Usa 2016 'Primarie farsa': gli establishment nel mirino Azzurra Meringolo 19/04/2016 |
Candidati, delegati ed elettori sono sempre più scettici sulla reale democraticità del processo di selezione. I vertici dei partiti - almeno pubblicamente - non battono ciglio, ma tra quanti rincorrono si sentono sempre più spesso le voci di coloro che, impotenti a cambiarne il meccanismo, cercano vie alternative per farlo deragliare.
Super-delegati, elettori senza vincolo di mandato
Anche se già dall’indomani del Super-Tuesday Bernie Sanders sa che i numeri non sono dalla sua parte, il fatto che continui a incassare successi elettorali galvanizza i suoi sostenitori per nulla pronti ad arrendersi e infastiditi dall’elevato numero di super-delegati sui quali può contare la battistrada democratica Hillary Clinton.
Si tratta di un gruppo di super-elettori (circa il 15% dei 4756 totali) che - notabili e dirigenti del partito democratico e non votati dai cittadini nei caucus e nelle primarie -, arriverà alla convention senza vincolo di mandato. Fino ad ora Sanders può contare solo su 31 di essi: briciole, rispetto ai 469 - tra i quali ovviamente Bill - schieratisi con l’ex first lady.
Per convincere coloro che non si sono ancora sbilanciati e per fare cambiare idea a quanti hanno già promesso il loro voto a Hillary, i sostenitori di Sanders hanno creato un sito web per raccogliere dettagli sui super-delegati.
Dalle loro mail ai numeri di telefono. Partendo dal computer di Spencer Thayer, un attivista residente a Chicago, quella che si sta creando è una rubrica ricca e dettagliata. Un utile elenco telefonico per tutti i cittadini che vogliono fare pressioni su questi delegati. E gli elettori non hanno esitato ad utilizzarlo.
La conferma arriva dalle lamentele di alcuni super-delegati, che hanno denunciato di essere vittime di chiamate notturne, spam informatico e catene di sms. Questo ha spinto Sanders a prendere pubblicamente le distanze da questa campagna che rischia di contaminare il tradizionale meccanismo delle primarie.
Trump verso la convention di Cleveland
Ancora più accesso il dibattito scatenatosi nelle file repubblicane, dove a meno di cento giorni dalla convention di Cleveland, nessun candidato ha ancora raccolto il bottino necessario. Anzi, l’uomo che c’è più vicino (cioè, meno lontano), Donald Trump, è quello più inviso alla leadership del partito, che ne ha preso pubblicamente le distanze.
Questo atteggiamento ha portato l’istrionico tycoon a puntare il dito contro il partito, accusandolo di voler fare deragliare il processo di selezione nelle mani dei cittadini. Qualora Trump, come si prospetta, non arriverà a Cleveland con la maggioranza assoluta dei delegati, pur essendo il candidato più votato dagli elettori repubblicani che hanno partecipato alle primarie, potrebbe essere bocciato da una convention pronta a lanciare un altro nome nella corsa verso la Casa Bianca.
È questo scenario che ha portato Trump a bollare le primarie come un istitutodemocratico solo in superficie, ma in realtà corrotto alla radice. Il dibattito si concentra non tanto sui super-delegati (non presenti in campo conservatore), quanto piuttosto sul regolamento della convention.
Se Trump non riuscirà a essere nominato nel corso della prima votazione, molti delegati saranno liberi di votare altri candidati nelle successive sedute.
In molti Stati, il regolamento attraverso il quale vengono eletti i delegati impone a questi il vincolo di mandato alla convention solo per il primo voto. Ecco perché in un articolo pubblicato la settima scorsa sul Wall Street Journal, Trump ha parlato di agenti del partito dalla doppia personalità, pronti a ignorare la preferenza espressa dai cittadini che li hanno eletti. Doppiogiochisti al servizio di Ted Cruz - il candidato repubblicano che rincorre a fatica - e che secondo Trump rischiano di trasformare l’intero processo in una farsa democratica.
Democrazia interna ai partiti, lavori in corso
Pur non cambiando tattica, il partito ha sentito il bisogno di contenere le critiche relative alla democraticità dell’intero meccanismo, invitando i 112 membri del comitato a garanzia delle regole a supervisionare le regole del processo di selezione e a non mutare neanche una virgola dell’esistente meccanismo.
Anche se il processo attraverso il quale il partito repubblicano cerca di disfarsi dell’ingombrante Trump non inficerà quindi il regolamento interno, il dibattito e le critiche che ha sollevato hanno costretto l’opinione pubblica a una riflessione che difficilmente si fermerà all’indomani del voto.
In un’annata in cui la sfida interna è durata più del solito, entrambi i partiti hanno capito che le primarie sono tutt’altro che una formalità. A confermarlo sono anche le energie - sia fisiche che finanziarie - che ci hanno messo i diversi candidati. Non solo quelli in testa, ma anche quelli in coda.
Anche se nella sfida finale i partiti Usa devono combattere con un elevato tasso di astensionismo, il dibattito in corso mostra che i cittadini sono sempre più sensibili alla democrazia interna ai partiti. Alle sue opportunità (ad esempio quella di influenzare l’agenda del candidato finale), come ai limiti di un sistema il cui ingranaggio è stato messo a punto in un’epoca ormai tramontata, senza internet e tutte le opportunità create dalla nascita della sfera virtuale.
Quanti vogliono ristrutturare i meccanismi di democrazia interna ai partiti si sono già messi al lavoro. Per l’Italia e l’Unione europea - entrambe prive di un sistema rodato - sarà interessante seguirne l’evoluzione.
Azzurra Meringolo è ricercatrice presso lo IAI e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.
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