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L'accordo di pace in Colombia non rappresenta solo la fine dell'ultimo vestigio della Guerra Fredda in America Latina. Significa anche la resa di uno degli ultimi gruppi combattenti contro il mercato.
Quattro anni fa, Iván Márquez, uno dei leader delle Farc aveva aperto le trattative di pace a L'Avana con le seguenti parole: "Siamo venuti per smascherare questo assassino metafisico che è il mercato, siamo venuti a denunciare il carattere criminale del capitale finanziario, siamo venuti a mettere neoliberismo sul banco degli imputati come boia dei popoli e fabbrica di morte". Quattro anni dopo, le Farc depongono le armi senza che il mercato sia stato sconfitto o il neoliberismo abbia cessato di ispirare la maggior parte delle economie dell'America Latina e del mondo. E senza che il “grande capitale finanziario internazionale” abbia cessato di essere “egemone”, come non si stancano di ripetere i leader guerriglieri. La retorica marxista si è dovuta arrendere alla realtà dei fatti. Per l’Economist, il riconoscimento da parte delle Farc dell’ordine costituzionale colombiano è la morte di un ceppo di violenza stalinista che ha afflitto l'America Latina per decenni. Un ceppo di violenza che ha provocato oltre 220 mila morti, 45 miladesaparecidos e 6,9 milioni di profughi interni costretti ad abbandonare le proprie case. Senza contare che le Farc hanno fatto del sequestro di essere umani - fenomeno rappresentato da numeri elevati - una fonte di finanziamenti. Farc in attesa del debutto alle urne Alla luce di tutto ciò, è utile ragionare sugli effetti che le Farc potranno rappresentare all’interno del panorama elettorale colombiano, sempre nel caso in cui l’accordo di pace dovesse essere effettivamente concretizzato. Per la prima volta l’organizzazione di ispirazione marxista-leninista disputerà il potere con i voti invece che con i proiettili. E non è affatto detto che non conquisti un buon risultato alle urne. I problemi che hanno portato al sorgere del gruppo guerrigliero-terrorista sono reali e ancora molto presenti nella società colombiana, così come in gran parte dell’America Latina. Differenze sociali estreme, eccessiva concentrazione della ricchezza, proprietà fondiaria in mano a pochi proprietari, condizioni miserabili di buona parte delle popolazioni locali, nessuna prospettiva di miglioramento futuro. Le Farc non sono nate per caso. Né è un caso che esse abbiano resistito dal 1964, prosperando all’interno della foresta tropicale e sopravvivendo alla caduta del muro di Berlino e alla sconfitta ideologica mondiale del socialismo. Il conflitto in Colombia è stato una vera e propria guerra civile, combattuta sulla base di un astio ideologico apparentemente insanabile, in una regione del mondo, l’America Latina, dove il socialismo reale è ancora studiato sui banchi di scuola e nelle università come alternativa viabile. E senza limare queste differenze non è possibile ricucire una nazione che ha convissuto con una violenza brutale per oltre mezzo secolo. Le trattative con i campesinos e la questione rurale Infatti, la necessità di uno stato vigile, che mitighi le conseguenze più ruvide del sistema economico colombiano, è ben presente nell’accordo di pace tra governo e Farc. Il primo capitolo si concentra su una specie di riforma agraria che prevede, nello specifico, l’iniziativa di trattative dignitose con i campesinos. Un colombiano su tre vive nella Colombia rural, fattore che lo rende più povero, meno educato e più denutrito dei suoi compatrioti urbani. A mostrarlo è stata anche la relazione sullo Sviluppo Umano 2011 dell'Undp, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo. Nelle città colombiane la povertà estrema è del 7%, nei campi raggiunge il 29%. Più del 60% della popolazione rurale in età lavorativa ha concluso solo la scuola elementare e non è un caso che circa la stessa proporzione riceva un pagamento per il proprio lavoro inferiore al salario minimo. I guerriglieri delle Farc sono nati proprio come guerriglia rurale. Per questo motivo prendere di petto il problema della distribuzione fondiaria nell’accordo di pace non è una concessione del governo o un segno di debolezza, come molti hanno considerato, ma illogico riconoscimento della necessità di superare le condizioni socio-economiche squilibrate che hanno portato allo scoppio della guerra civile. Il rapporto con il business della droga In aggiunta, le Farc dovranno decidere che atteggiamento adottare nei confronti di quella economia nera, para-capitalista, che si concentra sul mercato della droga e si affida ai sui trafficanti. Il Rapporto 2015 dell’United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) ha infatti confermato la Colombia come il principale produttore mondiale di cocaina. L’enorme massa monetaria che la cocaina garantisce ai trafficanti viene reinvestita in altre attività. Ad esempio, secondo l’agenzia Bloomberg, i narcos controllerebbero il mercato del cambio di valute in Colombia, un canale utilizzato anche per il riciclaggio di denaro. Attraverso una fitta rete di cambiavalute, presenti in centri commerciali di lusso, aeroporti internazionali e addirittura nello stesso palazzo della Banca Centrale colombiana, i trafficanti offrono un cambio con uno sconto del 10% rispetto a quanto offerto da banche e investitori. Anche le Farc utilizzerebbero questo sistema per finanziarsi. Ma da quando il Dipartimento del Tesoro Usa ha scoperto la cosa, ha bloccato gli attivi delle società coinvolte e ha praticamente proibito ai cittadini nordamericani di fare affari con loro. Le Farc dovranno quindi decidere come comportarsi con questo business. Il futuro partito di sinistra che rappresenterà l’eredità ideologica delle Farc dovrà quindi riuscire a presentare critiche concrete alle distorsioni della società colombiana, evitando di cadere nella fallimentare deriva del “bolivarianismo” del vicino Venezuela che tanti danni sta provocando alla popolazione del Paese. Dall’altro lato, dovrà rappresentare un’alternativa alle sinistre “rosa”, come quelle del Partido dos Trabalhadores (PT) in Brasile, che pur dopo 13 anni al potere non sono riusciti a modificare sostanzialmente l’iniquo status quo sociale, perdendo la battaglia contro le disuguaglianze economiche. Ma la sfida politica posta dalle Farc si estende non solo all’insieme delle sinistre latinoamericane, ma anche a se stesse. Come uscire dalla retorica condanna del “neoliberismo egemone”, dalla gabbia ideologica della dialettica marxista e presentare proposte concrete in grado di funzionare e conquistare i voti che i proiettili (veri e retorici) hanno perso. Carlo Cauti è un giornalista italiano di base a São Paulo del Brasile. |
giovedì 6 ottobre 2016
Colombia: i nuovi orizzonti di pace
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