Master 1° Livello

MASTER DI I LIVELLO

POLITICA MILITARE COMPARATA DAL 1945 AD OGGI

Dottrina, Strategia, Armamenti

Obiettivi e sbocchi professionali

Approfondimenti specifici caratterizzanti le peculiari situazioni al fine di fornire un approccio interdisciplinare alle relazioni internazionali dal punto di vista della politica militare, sia nazionale che comparata. Integrazione e perfezionamento della propria preparazione sia generale che professionale dal punto di vista culturale, scientifico e tecnico per l’area di interesse.

Destinatari e Requisiti

Appartenenti alle Forze Armate, appartenenti alle Forze dell’Ordine, Insegnanti di Scuola Media Superiore, Funzionari Pubblici e del Ministero degli Esteri, Funzionari della Industria della Difesa, Soci e simpatizzanti dell’Istituto del Nastro Azzurro, dell’UNUCI, delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, Cultori della Materia (Strategia, Arte Militare, Armamenti), giovani analisti specializzandi comparto geostrategico, procurement ed industria della Difesa.

Durata e CFU

1500 – 60 CFU. Seminari facoltativi extra Master. Conferenze facoltative su materie di indirizzo. Visite facoltative a industrie della Difesa. Case Study. Elettronic Warfare (a cura di Eletronic Goup –Roma). Attività facoltativa post master

Durata e CFU

Il Master si svolgerà in modalità e-learnig con Piattaforma 24h/24h

Costi ed agevolazioni

Euro 1500 (suddivise in due rate); Euro 1100 per le seguenti categorie:

Laureati UNICUANO, Militari, Insegnanti, Funzionari Pubblici, Forze dell’Ordine

Soci dell’Istituto del Nastro Azzurro, Soci dell’UNUCI

Possibilità postmaster

Le tesi meritevoli saranno pubblicate sulla rivista “QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO”

Possibilità di collaborazione e ricerca presso il CESVAM.

Conferimento ai militari decorati dell’Emblema Araldico

Conferimento ai più meritevoli dell’Attestato di Benemerenza dell’Istituto del Nastro Azzurro

Possibilità di partecipazione, a convenzione, ai progetti del CESVAM

Accredito presso i principali Istituti ed Enti con cui il CESVAM collabora

Contatti

06 456 783 dal lunedi al venerdi 09,30 – 17,30 unicusano@master

Direttore del Master: Lunedi 10,00 -12,30 -- 14,30 -16

ISTITUTO DEL NASTROAZZURRO UNIVERSITA’ NICCOL0’ CUSANO

CESVAM – Centro Studi sul Valore Militare www.unicusano.it/master

www.cesvam.org - email:didattica.cesvam@istitutonastroazzurro.org

America

Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

America Centrale

America Centrale

Medoto di ricerca ed analisi adottato

Vds post in data 30 dicembre 2009 su questo stesso blog seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo
adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità dello
Stato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento a questo blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

Cerca nel blog

venerdì 31 gennaio 2014

Stati Uniti: l'impegno nello Yemen

Medio Oriente
Obama alle prese con la matassa yemenita
Eleonora Ardemagni
22/01/2014
 più piccolopiù grande
L’accordo sulla riforma federale dello stato e la tregua formale fra gli huthi (i dissidenti sciiti del nord) e i salafiti sono due eventi che restituiscono speranza alla transizione yemenita. I nodi istituzionali da sciogliere sono però ancora troppi.

Crescono gli attentati terroristici e la tensione settaria. Dopo l’attacco di dicembre al ministero della difesa, costato 56 morti, gli Stati Uniti sono sempre più incerti sulla strategia da adottare per districare la ‘matassa Yemen’.

Stato unitario ma federale
Secondo il documento approvato all’unanimità dal Dialogo nazionale, lo Yemen rimarrà uno stato unitario, ma composto da regioni semi-autonome. Sarà la commissione ad hoc guidata dal presidente Abd Rabbuh Mansu Hadi a stabilire se le regioni saranno cinque o sette e a decidere i reali assetti di potere fra centro e periferia.

I rappresentanti meridionali otterrebbero il 50% dei posti nei nuovi organi legislativi, esecutivi, giudiziari e nelle Forze armate. L’ipotesi non piace però alle élite settentrionali, da sempre dominanti, per forza demografica e potere economico.

Prima del voto, la bozza di riforma ha spaccato internamente i “pesi massimi” della politica yemenita, il Congresso popolare generale (Cpg) dell’ex presidente Ali Abdallah Saleh e il partito islamista Islah.

L’ala del Cpg che fa capo al cerchio di Saleh, ancora maggioritaria, ha rifiutato tale compromesso, dichiarando che avrebbe frantumato lo Yemen, posizione condivisa dal potente shaikh salafita Al-Zindani, esponente di Islah. Il presidente Hadi (già vice di Saleh) lo ha invece sostenuto da subito, nei giorni in cui sit-in giovanili chiedono le dimissioni del governo di transizione.

Politicamente, lo scontro fra la vecchia oligarchia (Cpg e Islah, due facce della stessa moneta di regime) e le forze anti-sistema è apertissimo. Queste ultime non stanno partecipando alla gestione del potere (Ansarullah, il partito degli huthi e il movimento autonomista meridionale Al-Hiraak) e sono divise fra chi dialoga con il governo e chi incita alla secessione, anche armata.

Centro e periferia
Dopo quattro mesi di guerriglia, gli huthi e i salafiti hanno raggiunto l’ennesima tregua nel governatorato nord di Saada; le violenze proseguono però nell’area di Amran. La polarizzazione regionale fra sciismo e sunnismo ha peggiorato una disputa che iniziò, nel 2004, per ragioni territoriali: gli huthi sono oggi sospettati di ricevere armi e denaro dall’Iran e dagli Hezbollah libanesi, mentre i salafiti (appoggiati da miliziani tribali e di Islah) contano sul sostegno materiale della confinante Arabia Saudita.

Gli omicidi di due partecipanti huthi al Dialogo, Abdul Karim Jebdan e Ahmad Sharaf Al-Deen, freddati a Sana’a fra novembre e gennaio, segnalano che odio settario e violenza politica si stanno pericolosamente intrecciando.

La spirale di attentati avvolge pure il sud: l’uccisione del popolare shaikh hadrami (dalla regione dell’Hadramaut) Saad bin Habrih, avvenuta a un checkpoint in circostanze confuse, sta poi riaccendendo le aspirazioni autonomiste dell’Hadramaut, cuore della produzione petrolifera. Nella città di Aden, in migliaia hanno manifestato per l’indipendenza.

Danni energetici
Non si fermano i sabotaggi alle infrastrutture energetiche del paese, dietro cui non si cela solo Al Qaeda nella penisola arabica. Gli attacchi ai gasdotti sono ormai uno strumento di lotta politica: il ministro del petrolio stima che nel biennio 2011-2013 siano costati 3,5 miliardi di euro di rendita statale, indebolendo le istituzioni centrali.

In un quadro così insicuro, gli investimenti diretti all’estero e le esplorazioni di nuovi campi petroliferi sono fermi. Solo l’Arabia Saudita insiste per trivellare lungo il poroso confine con il governatorato di Al-Jawf (proprio dove i salafiti stanno contrastando l’espansione huthi).

Stati Uniti e droni
Il parlamento yemenita ha approvato una mozione, non vincolante, che chiede lo stop degli attacchi statunitensi dal cielo. Nella città centrale di Rada l’errore di un drone è costato la vita a una quindicina di civili, diretti a un matrimonio, scatenando l’ennesima fiammata di proteste anti-americane.

L’aumento degli attacchi sul territorio (con droni e missili cruise) non indebolisce le cellule jihadiste e/o qaediste che continuano a reclutare proseliti, accentuando odi inter-confessionali storicamente blandi nel paese.

Nel 2013, le operazioni aeree statunitensi sullo Yemen sono diminuite rispetto al 2012, anno record: esse costituiscono però il fulcro della strategia targata Barack Obama. È stato proprio il presidente Nobel per la pace, assai più del predecessore George Bush, ad accelerare sul ‘metodo-droni’, lasciando ampi margini di manovra alla Cia. A differenza del Pentagono, questa può agire senza l’autorizzazione del governo yemenita, una tattica ricalibrata (a favore del ministero della difesa) solo dalla scorsa estate.

In attesa delle elezioni presidenziali, previste nel 2014, lo Yemen è uno dei molti rompicapo mediorientali di Obama.

Eleonora Ardemagni, analista in relazioni internazionali, collaboratrice di Aspenia, ISPI, Limes. Dottoressa magistrale in relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, diplomata in affari europei all’ISPI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2513#sthash.JcrG782z.dpuf

martedì 21 gennaio 2014

Jose Mujica il miglior presidente del mondo incoraggia gli investimenti esteri

dal 29 novembre del 2009 la Repubblica Orientale dell’Uruguay è governata da quello che è stato definito da New York Times eLe Monde il «miglior Presidente del mondo», José “Pepe” Mujica1.
Il settantottenne capo del Frente Amplio alla guida del paese sudamericano viene spesso ricordato per:
- la vita avventurosa da guerrigliero Tupamaro;
- l’aver trascorso quindici anni di carcere duro a Punta Carretas, da cui tentò una fortunata evasione;
- rinunciare al 90% del suo stipendio presidenziale (circa 9 mila euro dei 10 mila che guadagna ogni mese);
- vivere decorosamente in una piccola fattoria ai bordi della periferia di Montevideo con sua moglie, la senatrice Lucia Topolansky.
A ciò si aggiunga che “Pepe” Mujica ha dato vita ad alcune riforme di politica interna che hanno fatto parlare molto di sé e che hanno messo l’Uruguay in cima alla sezione “esteri” di moltissime testate giornalistiche di tutto il mondo.
Nell’ottobre 2012, su proposta del Frente Amplio, il Parlamento uruguaiano approvò il progetto di legge per l’interruzione volontaria di gravidanza prima delle dodici settimane di gestazione. La legge sull’aborto pose Mujica al centro di un vero e proprio ciclone mediatico e politico: centinaia le organizzazioni cattoliche e pro-vita che hanno a lungo manifestato contro l’adozione di questo progetto di legge ma il Presidente non s’è lasciato intimidire e ha proseguito con la firma della legalizzazione dell’aborto, conscio del problema che gli aborti clandestini rappresentano non solo per il suo paese ma per tutta l’America meridionale.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha evidenziato in un suo rapporto2 che la regione latino americana è quella con il più alto tasso di aborti – 30 mila l’anno solo in Uruguay – e con il numero più alto di vittime da aborto clandestino. Prima dell’Uruguay è stata Cuba a rendere legale l’interruzione di gravidanza nel primo trimestre, ottenendo il primato di primo paese latino americano a riconoscere alle donne la possibilità d’interrompere legalmente la propria gestazione.
Un paese decisamente progressista l’Uruguay soprattutto se consideriamo la sua antica tradizione di paese pioniere nel terreno dei diritti civili e politici. Nel 1913 è stata la prima nazione latino americana ad approvare il divorzio; nel 1927 è stato introdotto il voto femminile e nel 2007 sono state riconosciute le unioni civili di coppie omosessuali a cui è anche stata concessa la possibilità di adottare figli. Nell’aprile 2013 è proprio la presidenza di José Mujica a mettere un altro importante tassello nella storia civile del suo paese: dopo l’Argentina, anche l’Uruguay ha approvato con larga maggioranza la proposta di legge sulla legalizzazione delle nozze cosiddette “gay”. La legge, denominata appunto «Progetto uguaglianza nel matrimonio», è stata contrastata dalla Chiesa cattolica la quale ha chiesto ai parlamentari di votare “secondo coscienza” al fine di impedire la sua definitiva approvazione3.
Un progressismo inarrestabile quello di Mujica che stride con la sua età anagrafica: a settantotto anni, si è fatto promotore di un progetto di legge che ha lasciato in molti senza parole, da chi lo ritiene un progetto illuminante e avanguardista a chi grida allo scandalo.
È proprio di questi mesi la notizia della legalizzazione della marijuana in Uruguay. José Mujica ha voluto scommettere su questa misura come strumento di lotta al narcotraffico, stabilendo che sarà compito dello Stato produrre e vendere marijuana direttamente ai consumatori.
Il consumo di marijuana era già consentito in Uruguay ma non la produzione né tanto meno la compravendita, per questo il progetto di legge del Frente Amplio puntava a rendere l’Uruguay – ormai lo è – il primo paese al mondo ad autorizzare e applicare regole per la produzione e la distribuzione di droghe leggere.
Nel giorno della sua approvazione, il segretario generale della Junta Nacional de Drogas, Julio Calzada, ha affermato che la nuova legge ha il compito di regolare il mercato già esistente di droghe leggere e non tanto quello di liberalizzarlo, andando così a destrutturare la compravendita illegale che tanto affligge il paese. Secondo Calzado4:
Esisteranno sei tipi di licenze diverse: la licenza per produrre, quella per distribuire, quella per vendere la marijuana in farmacia, la licenza per coloro che decideranno di prodursela autonomamente, quella per iclub della cannabis e quella per la regolarizzazione dell’uso di marijuana a fini farmaceutici, medici e cosmetici.
I consumatori residenti in Uruguay e maggiori di diciotto anni d’età potranno acquistare fino a quaranta grammi di marijuana al mese nelle farmacie registrate a partire dal prossimo aprile. Avranno anche la possibilità di produrre in proprio fino a sei piante l’anno nella propria abitazione. Una vera e propria rivoluzione che rende l’Uruguay il primo paese al mondo a legalizzare totalmente la marijuana5.
Tuttavia la misura non sembra essere ben vista non solo dagli oppositori politici interni ma anche dai suoi “vicini di casa”, Brasile in primis. E’ proprio nel paese guidato da Dilma Rousseff che si annidano le principali preoccupazioni riguardo la storica decisione uruguaiana. Il Brasile risulta essere il secondo consumatore mondiale di cocaina nonché di crack e la liberalizzazione della marijuana a pochi chilometri da casa, affermano i detrattori, potrebbe rappresentare un rischio per la regione.
Il deputato brasiliano Osmar Terra, infatti, ha rilevato che:
Inoltre ha evidenziato come molte città di frontiera del Brasile:
Allo stesso modo, forti critiche sono arrivate dal Cile e dal Nicaragua di Ortega, il quale ha a più riprese sostenuto come depenalizzare la marijuana presupporrebbe legalizzare la criminalità nell’America Latina e caraibica7.
Dette accuse non sembrano scalfire la serenità di Mujica e del suo entourage nella convinzione che la nuova legge, pensata appositamente per regolare ogni forma di produzione e vendita della sostanza stupefacente, riuscirà a limitare i campi d’azione del narcotraffico e del mercato nero.
Avversari a parte, non solo i sondaggi nazionali confermano la popolarità di “Pepe” ma anche l’ultima analisi condotta dalla Transparency International (TI), organizzazione internazionale non governativa che da anni si occupa di analizzare e comparare i tassi di corruzione.
I risultati del 2013 del Corruption Perceptions Index8 – che classifica 177 paesi e territori in base alla percezione della corruzione del settore pubblico – collocano l’Uruguay al 19° posto della graduatoria mondiale e al primo di quella dell’America Centrale e del Cono Sud. Mentre Venezuela, Paraguay, Honduras, Nicaragua e Guatemala sembrano essere le nazioni dove la corruzione viene maggiormente percepita.
L’Uruguay ha dimostrato che le coraggiose riforme di Mujica – legalizzazione della marijuana inclusa – stanno andando nella direzione opposta rispetto a quella prospettata da Ortega, il quale paventava l’aumento della criminalità. Come è ovvio, traffico di droga e delinquenza, in generale, necessitano di istituzioni corrotte per poter prosperare. E non è il caso dell’Uruguay.
E’ proprio nell’ambito della sicurezza e della lotta alla criminalità che il Ministro degli Interni uruguaiano, Eduardo Bonomi, ha recentemente firmato un protocollo d’intesa con la sua controparte venezuelana, Miguel Rodríguez Torres. I nove punti di cui si compone l’accordo sono volti ad incrementare lo scambio d’informazioni, pubblicazioni scientifiche, esperienze e progressi compiuti dalle parti al fine di modernizzare gli attuali sistemi di sicurezza nazionali e di progettare politiche in materia di prevenzione realmente in grado di combattere la malavita, vero tarlo della regione latino americana.
In occasione della sottoscrizione del protocollo, il Ministro Torres ha sottolineato quanto una collaborazione con l’Uruguay su questi temi rappresenti un traguardo importante e un valore aggiunto per il Venezuela:
Gli sforzi di politica interna hanno portato José Mujica ad ottenere importanti successi, tanto che il modello uruguaiano viene guardato con ottimismo e interesse da molti altri paesi. Anche per ciò che riguarda le sfide poste in essere dalla politica regionale ed estera, il Presidente dell’Uruguay spicca tra gli altri per i grandi sforzi condotti in nome dell’efficienza del MERCOSUR.
Proprio in relazione all’accordo economico e commerciale siglato nel 1991, meno di un mese fa, il presidente uruguaiano ha chiesto al suo omologo argentino di interrompere la politica di protezionismo rispetto ai paesi membri del MERCOSUR che rischiano di inficiare i progressi commerciali registrati finora dallo storico accordo di libero scambio sudamericano.
In realtà José Mujica ha “accusato” Cristina Fernández de Kirchner di bloccare il trasferimento di merci nei porti dei paesi membri che non hanno accordi marittimi diretti con l’Argentina. Per Mujica, tale decisione rischia di minacciare l’integrazione regionale ed esprime timore usando le seguenti parole:
Al di là della questione del MERCORSUR, i rapporti tra Argentina e Uruguay sono sempre stati amichevoli e distesi nonostante tra i due paesi esista un motivo di attrito a cui entrambi hanno cercato più volte di ovviare.
La disputa della cartiera sul fiume Uruguay (finita dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia10 nel 2006 per volontà del governo di Buenos Aires che accusava Montevideo di violare l’accordo bilaterale sullo sfruttamento del fiume e di inquinarlo con gli scarichi della cartiera presente in territorio uruguaiano) si è riaperta nell’ottobre del 2013, dopo che faticosamente fu raggiunto un accordo nel 2010 tra Mujica e la Kirchner relativo al mutuo controllo dell’inquinamento del fiume.
La decisione di Montevideo di aumentare la produzione di carta nello stabilimento a ridosso del fiume – a soli due chilometri dal confine argentino – e nelle zone di confine di Entre RíosGualeguaychú e Fray Bentos ha mandato su tutte le furie il Presidente argentino il quale ha minacciato di ricorrere nuovamente al giudizio della Corte sostenendo che l’aumento di produzione della cartiera andrebbe ad inquinare considerevolmente le acque di un fiume uruguaiano che è anche argentino11. A tal proposito sarà interessante vedere come i due governi gestiranno il diverbio e se riusciranno ad evitare l’intervento della giustizia internazionale.
Questione delle cartiere a parte, le relazioni tra Argentina e Uruguay, come noto, sono sempre state caratterizzate da un rapporto di vicinato piuttosto civile e collaborativo, come testimonia l’accordo relativo all’iniziativa FREPLATA.
Detta iniziativa, sorta da un input congiunto dei due paesi, nel 2007 è culminata nell’adozione di un programma di azione strategico che, sotto l’egida dell’UNDP (United Nations Development Programme), si propone di tutelare le minacciate acque del Río de la Plata, confine marittimo delle due nazioni.
Le attività economiche sviluppate nelle zone costiere di entrambi i paesi, così come i centri urbani che si moltiplicano sulle sponde del fiume, da anni mettono in pericolo una delle aree più ricche di biodiversità del pianeta: lungo la costa argentina si concentra il 45% delle proprie attività industriali, mentre in Uruguay ben il 70% della popolazione è stanziata lungo la zona costiera dove si svolge anche la maggior parte delle attività commerciali, agricole e portuali12.
I danni a scapito dell’ecosistema del Río de la Plata, che comportano rischi anche per la salute degli abitanti del luogo viste le alte concentrazioni di pesticidi, PCB, diossine e furani rilevate soprattutto lungo il tratto argentino, hanno richiesto uno sforzo congiunto tra i due paesi al fine di tutelare una risorsa naturale di grande valore, salvaguardando al tempo stesso una zona strategicamente fondamentale per le esportazioni marittime di entrambi i paesi.
Il modello economico e politico uruguaiano e il suo ruolo all’interno del MERCOSUR rendono questo paese una delle destinazioni preferite dagli investitori internazionali.
Nel corso degli anni sono aumentati esponenzialmente i Foreign Direct Investment (FDI) tanto che nel 2011 l’Uruguay si attestava al secondo posto dopo il Cile nella classifica dei paesi sudamericani con il più alto tasso di investimenti stranieri.
D’altronde una crescita economica sostenuta, la bassa percezione di corruzione, il basso tasso di criminalità e una situazione politica stabile non potevano passare inosservati agli occhi di quanti hanno visto nell’Uruguay il posto ideale dove far fiorire i propri investimenti.
Se a ciò aggiungiamo il fatto che la responsabile gestione finanziaria del paese ha permesso al PIL di crescere costantemente negli ultimi anni e che, per il 2014, il Fondo Monetario Internazionale prevede un incremento del prodotto interno lordo pari al 3,3%13, stupiscono sempre meno i dati relativi al forte afflusso di investimenti esteri diretti in Uruguay.
Gli investimenti stranieri, storicamente provenienti da Argentina, Brasile, paesi europei e del NAFTA (North American Free Trade Agreement), si sono orientati verso diversi settori dell’economia uruguaiana tra cui la produzione agricola, l’industria manifatturiera e quella chimica. Inizialmente, nei primi anni del 2000, i principali investitori provenivano dall’Europa, in particolare dalla Spagna che concentrava i propri capitali in Uruguay nel settore delle infrastrutture.
Tuttavia dal 2006 tale andamento ha subito un’inversione di tendenza, in quanto sono diventati gli Stati del MERCOSUR ad essere i principali paesi d’origine degli investimenti esteri. In primis l’Argentina che, responsabile di quasi l’80% degli IDE provenienti dal blocco del MERCOSUR, ha investito soprattutto nel settore agricolo e in quello immobiliare14.
Altri settori che sono stati oggetto di investimenti stranieri sono quello dei trasporti, del turismo e delle energie rinnovabili. Non a caso l’Uruguay è stato uno dei primi paesi sudamericani ad incoraggiare fortemente lo sviluppo di fonti di energie alternative, volendo modificare la propria matrice energetica a favore di un 15% di energia eolica e di un 13% di energia da biomassa15. Gli sforzi di politica energetica portati avanti da Mujica, invero, stanno andando nella direzione della diversificazione dell’approvvigionamento energetico e dell’indipendenza energetica proprio attraverso un forte rilancio delle rinnovabili che hanno il merito di abbassare i costi medi di produzione di energia e ridurre gli impatti ambientali.
A tal scopo sono stati particolarmente agevolati gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili, come stabilito dal decreto 354/200916 che prevede incentivi fiscali ad hoc al fine di incrementare la partecipazione privata e così raggiungere gli obiettivi di sviluppo produttivo sostenibile fissati dal Governo.
La promozione degli investimenti esteri condotta da José Mujica si basa, quindi, sul concetto che gli stessi rappresentano un motore irrinunciabile per la crescita economica e lo sviluppo del paese e, in tema di Investment Promotion Regime, una serie di agevolazioni ed esenzioni fiscali sono le misure più attrattive previste dal suo governo per quanti coloro decideranno d’investire in Uruguay.
Il regime di promozione degli investimenti uruguaiano tende a riconoscere, come d’altronde succede nelle economie più sviluppate, l’assoluta parità di trattamento tra gli investitori locali e quelli stranieri oltre all’assenza di una autorizzazione preventiva degli investimenti. Il regime riconosce altresì la libertà di trasferimento all’estero dei capitali e dei profitti realizzati in patria dagli investitori nazionali e stranieri17.
Tali agevolazioni non sono certo stati ignorati dagli attenti operatori economici cinesi che stanno volgendo lo sguardo con sempre più interesse al mercato uruguaiano.
Tra il 2005 e il 2012, infatti, gli scambi commerciali tra i due Stati sono aumentati del 680% e la Cina si è guadagnata il ruolo di secondo maggior partner commerciale dell’Uruguay. Proprio per questo nel mese di maggio José Mujica si è recato in Cina per vagliare non solo le possibilità di accrescimento dei rapporti commerciali ma anche quelle relative agli investimenti che i cinesi vogliono riservare al suo paese. Il Ministro degli Esteri uruguaiano Luis Almagro ha affermato:
Ed ha aggiunto che:
.
Ricevendo Almagro a Pechino, il Presidente Xi Jinping ha ribadito l’interesse della Cina nel consolidare la fiducia politica e la piena collaborazione con l’Uruguay specie nei settori delle infrastrutture, dell’agricoltura e dell’industria manifatturiera. Sempre secondo Almagro:
Impressionare positivamente i cinesi serviva al Presidente uruguaiano per sferrare il suo “colpo” più importante. José “Pepe” Mujica ha ottenuto il “sì” cinese al dragaggio di uno dei due canali di accesso alRío de la Plata, la cui sistemazione andrebbe a giovare al porto di Nueva Palmira, sulla costa ad ovest di Montevideo, da cui salpano ogni giorno grandissime quantità di grano, cellulosa e frutta prodotti in Uruguay e diretti in tutto il mondo, Cina compresa. Un vero e proprio sogno che diventa realtà per l’Uruguay sarebbe ottenere investimenti cinesi per la costruzione di un porto di acque profonde nell’Atlantico, nella provincia di Rocha a circa 150 chilometri dalla capitale.
Il progetto in questione risale a circa un secolo fa quando José Batlle y Ordoñez, eletto la prima volta nel 1903 alla Presidenza dell’Uruguay, considerò l’importanza di un porto ad acque profonde lungo la costa atlantica e la risonanza a livello economico e sociale che tale impresa avrebbe rappresentato per il suo paese. La questione del porto tornò a galla a metà degli anni cinquanta a causa dei problemi di acceso alRío de la Plata e delle continue dispute con l’Argentina, ma la mancanza di finanziamenti congelò nuovamente il progetto infrastrutturale19.
Oggi finalmente l’Uruguay ha una concreta possibilità di veder realizzato tale sogno: la firma di un memorandum d’intesa con la Cina dà avvio al più grande progetto nonché al più grande investimento straniero nella storia del paese sudamericano. José Mujica spera di veder completata la costruzione del porto ad acque profonde lungo il confine con il Brasile, prima della fine del suo mandato nel 2014. Il porto, secondo Mujica, è:
.
Il progetto di costruzione del porto di La Paloma è considerata una vera e propria impresa regionale multimiliardaria che sarà completata sul suolo uruguaiano. Le stime iniziali prevedevano un costo di realizzazione di un miliardo di dollari anche se oggi questa cifra non sembra più tanto realistica e c’è chi addirittura prevede un raddoppio dei costi. Proprio in considerazione degli alti costi, l’Uruguay ha deciso di aprire l’investimento anche ad altri paesi.
All’ambizioso progetto sono interessati anche i vicini Paraguay e Bolivia che non hanno sbocco diretto sul mare e che vedono nel porto di La Paloma un canale redditizio per le loro esportazioni all’estero. Anche il Brasile, vero gigante commerciale della regione, considera il progetto portuale un’importante porta d’accesso all’Uruguay e una valida alternativa ai porti brasiliani ostruiti21.
Riguardo agli investimenti cinesi promessi da Xi Jinping per lo sviluppo del progetto, Mujica ha mostrato tutta la sua gratitudine promettendo di agire da intermediario nella costruzione di forti e stabili relazioni economiche e diplomatiche tra la Cina e il resto dell’America Latina.
Quelli relativi al porto di La Paloma non sono gli unici investimenti cinesi a interessare l’Uruguay: oltre a molti progetti nel settore delle rinnovabili e a collaborazioni nei più disparati ambiti (si pensi al fatto che l’Uruguay è stato uno dei primi a firmare un accordo con la compagnia BYD per la consegna, entro il 2015, di più di 500 autobus alimentati al 100% elettricamente), un altro fondamentale progetto che gli investitori cinesi hanno intenzione di finanziare è quello relativo alla ricostruzione della ferrovia uruguaiana.
Modernizzare e incrementare l’esistente rete ferroviaria – oggi obsoleta e quasi in disuso – risulta infatti necessario per soddisfare le nuove esigenze commerciali di un paese in costante crescita come l’Uruguay. E’ a tal scopo che la China Development Bank stanzierà 1,443 miliardi di dollari per finanziare l’ambiziosa ristrutturazione che coinvolgerà circa 2.000 chilometri di binari, collegando Montevideo ai principali porti della regione e facilitando gli scambi con il Brasile.
Al tempo stesso l’Uruguay prevede di istituire un fondo fiduciario amministrato dalla Corporación Nacional para el Desarrollo (CND), le cui entrate – determinate dall’aumento del gettito fiscale che deriva dalla costante crescita del volume dello scambio commerciale tra Cina e Uruguay – dovrebbero coprire l’85% del costo dell’intero progetto nei prossimi tre anni.
Risulta dunque evidente come le relazioni tra i due Stati stiano andando nella direzione di una cooperazione sempre più stabile e orientata verso un’ottica di lungo periodo, nella consapevolezza delle reciproche opportunità che il mercato uruguaiano e quello cinese offrono l’uno per l’altro. Il gigante cinese appare sempre maggiormente determinato a ribadire il suo ruolo chiave in America Latina e l’Uruguay di Mujica non può che rappresentare un tassello chiave per il disegno strategico di Xi Jinping.
Nel suo piccolo, anche l’Italia ha avuto modo di ritagliarsi un proprio ruolo all’interno del panorama uruguaiano: la stabile congiuntura economica e i massici incentivi sugli investimenti hanno infatti attratto l’attenzione di un cospicuo numero di operatori italiani. Dal 1990, anno della firma dell’”Accordo sulla promozione e protezione degli investimenti” tra Italia e Uruguay, i rapporti economici tra i due Stati si sono costantemente rafforzati, tanto che il “Bel Paese” risulta oggi essere l’ottavo partner commerciale dell’Uruguay (il terzo se facciamo riferimento alla sola Unione Europea, preceduto da Francia e Germania)22.
Incoraggiati dalla decisione dell’agenzia di rating Standard & Poors che ha concesso all’Uruguay la qualifica BBB- permettendo al paese di passare dallo speculative grade all’investment grade23, gli investitori italiani hanno scommesso principalmente nel settore immobiliare, in quello agricolo e, soprattutto nell’ultimo periodo, in quello dei servizi aeroportuali e finanziari.
Tale dinamismo commerciale si evince anche dai contatti diplomatici tra i due Stati che si stanno moltiplicando anche a livello territoriale: alle recentissime visite di José Mujica in Italia e a quella dell’Onorevole Fabio Porta ed Eugenio Marino – responsabile italiani nel mondo del PD – per discutere di internazionalizzazione delle imprese italiane, si devono aggiungere le iniziative che diverse regioni stanno portando avanti autonomamente.
Un esempio lampante è l’accordo firmato lo scorso giugno dal Presidente della Regione Marche Gian Mario Spacca con l’ambasciatore uruguaiano in Italia Gustavo Goyoaga, accordo volto a consolidare le relazioni bilaterali incoraggiando così le opportunità di investimento e incrementando i rapporti tra le cooperative marchigiane e uruguaiane24.
Non da meno anche il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, il quale ha accettato, su invito dello stesso Mujica, di recarsi in Uruguay a fine gennaio per siglare un protocollo d’intesa che potenzierà gli scambi commerciali tra le due aree, con particolare riferimento all’ambito agricolo.
Così come i cinesi, dunque, anche gli operatori italiani si sono resi conto del potenziale del paese sudamericano, decidendo di scommettere su un Stato “vincente” sotto diversi punti di vista, non a caso proprio quest’anno l’Economist ha incoronato l’Uruguay di Mujica come “il paese dell’anno”.
Per l’autorevole rivista britannica, l’Uruguay rappresenta una nazione simbolo le cui innovazioni e riforme attuate, se imitate, potrebbero essere utili al resto del mondo. Unioni gay e legalizzazione della marijuana – sempre secondo l’Economist – hanno aumentato il benessere sociale senza costi finanziari, permettendo in aggiunta di distruggere il mercato nero della droga e combattere concretamente la criminalità organizzata25.

Maya Santamaria e Martina Zannotti sono ricercatrici associate del programma di ricerca "America Latina" dell'IsAG.

1.- "José Mujica le president le plus pauvre du monde"Le Mond (Francia) del 17/07/2013; "After years in solitary an uastere life as Uruguay's President"New York Times del 4/11/2013 [On line] consultato il 10.12.2013.
2.- "Unsafe Abortion: the preventable pandemic", Organizzazione Mondiale della Sanità [On line] consultato il 11.12.2013.
3.- "El Congreso uruguayo confirma la legalización del matrimonio homosexual"El Mundo (Spagna) del 10.04.2013 [On line] consultato il 11.12.2013.
4.- "La ley es una herramienta para desestructurar el mercado ilegal que tanto daño causa", parole di Julio Calzado riportate sul sito della Presidenza della Repubblica Orientale dell'Uruguay l'11.12.2013 [On line] consultato il 11.12.2013.
5.- In Olanda, così come anche in Canada, è previsto il solo consumo di marijuana e non la coltivazione. Ecco perché l'Uruguay di Mujica è il primo paese al mondo a rendere il consumo e la coltivazione totalmente legali.
6.- "Preocupa a la región el proyecto de legalización de la marihuana"El País (Uruguay) del 09.12.2013 [On line] consultato il 11.12.2013.
7.- "Legalización de la marihuana en Uruguay despierta suspicacias a sus vecinos"El País (Colombia) del 09.12.2013 [On line] consultato il 10.12.2013.
8.- "Corruption perceptions index 2013"Transparency International [On line] consultato il 10.12.2013.
9.- "Mujica says argentina's attitude in mercosur is insular and shatters integration", Merco Press del 02.11.2013 [On line] consultato il 13.12.2013. Per approfondimenti sul tema si veda anche Filippo Romeo,"Uruguay - Argentina: le cartiere della discordia", Geopolitica del 03.12.2013.
10.- "Pulp Mills on the River Uruguay: Argentina vs. Uruguay", Corte Internazionale di Giustizia [On line] consultato il 13.12.2013.
11.- "Paper wars: Argentina vs. Uruguay fight over paper mill"International Business Times del 03.10.2013 [On line] consultato il 13.12.2013. 12.- "Reducción y Prevención de la contaminación de origen terrestre en el Río de la Plata y su Frente Marítimo mediante la implementación del Programa de Acción Estratégico de FREPLATA", UNPD [On line] consultato il 14.12.2013.
13.- "Wold Economic Outlook: Transitions and Tensions", Fondo Monetario Internazionale ottobre 2013 [On line] consultato il 17.12.2013.
14.- "Inversión extranjera directa en Uruguay"Uruguay XXI promoción de inversiones y exportacionesluglio 2013 [On line] consultato il 17.12.2013.
15.- "Direct Foreign Investments builds in Uruguay", World Finance del 05.09.2012 [On line] consultato il 17.12.2013.
16.- "Decreto 354/2009"Ministerio de Industria, Energía y Minería [On line] consultato il 19.12.2013.
17.- "2013 Investment Climate Statement: Uruguay"U.S. Department of State [On line] consultato il 17.12.2013.
18.- "Uruguay looks to China to expand trade and services and attract more investment", Merco Press del 01.06.2012 [On line] consultato il 21.12.2013.
19.- "Uruguay hopes China will build and finance a deep sea port on the Atlantic", Merco Press del 08.06.2012 [On line] consultato il 21.12.2013.
20.- "Wen Jiabao confirms mercosur interest; Uruguay's deep sea port blueprints to be sent to Beijing", Merco Press del 25.06.2012 [On line] consultato il 21.12.2013.
21.- "Uruguay sees deepwater port as regional master plan", Energy Daily del 22.10.2013 [On line] consultato il 21.12.2013.
22.- "Informe de Comercio Exterior de Uruguay. Enero - Mayo 2013"Instituto de Promoción de Inversiones y Exportaciones de Bienes y Servicios [On line] consultato il 24.12.2013.
23.- Fonte: Standar & Poors Latinoamerica, [On line] consultato il 26.12.2013.
24.- Testo dell’Accordo di collaborazione tra la Regione Marche e la Repubblica Orientale dell’Uruguay, Regione Marche [On line] consultato il 26.12.2013.
25.- "Earth's got talent: resilient Ireland, booming South Sudan, tumultuos Turkey:our country of the year is..."The Economist del 21.12.2013 [On line] consultato il 28.12.2013.