Cia Non voltiamo pagina sulle torture Antonio Armellini 18/12/2014 |
Insomma: chi ricorre alla tortura riesce a catturare terroristi altrimenti imprendibili, come Osama bin Laden. Ma chi lo fa scende allo stesso livello di degrado morale dei terroristi che sta torturando e va contro l’essenza stessa dei principi etici che vuole difendere.
Non è una contraddizione nuova: zone grigie nelle guerre “sporche” come quella al terrorismo internazionale ce ne sono sempre state ed erano davvero in pochi a credere che a Guantanamo o nei carceri clandestini dove finivano le vittime delle renditions, vigessero le regole dello stato di diritto.
Un conto tuttavia è immaginarlo, sospettarlo, saperlo senza saperlo: un altro è vedersi porre dinanzi una realtà inaccettabile illustrata in molti, anche se non in tutti i suoi dettagli.
Fare pulizia nella Cia
L’opinione pubblica statunitense ha reagito con un’indignazione collettiva che è stata a un tempo doverosa e sentita: posta ancora una volta dinanzi al problema di come una società aperta debba affrontare una minaccia che si collochi al difuori di qualsiasi regola riconosciuta, ha dimostrato di saper anteporre la salvaguardia della propria natura democratica alle esigenze meno confessabili della realpolitk.
O perlomeno lo ha fatto quella parte dell’opinione pubblica che si riconosce nei valori liberali e vota perlopiù democratico. E che in questa occasione - e su questo terreno - si è dimostrata essere maggioritaria.
Per l’amministrazione di Barack Obama la pubblicazione è stata l’occasione per fare una buona pulizia nella Cia - nei confronti della quale i rapporti non sono stati sempre idilliaci - e per regolare qualche conto: i fatti contestati risalgono per la gran parte al periodo dell’amministrazione Bush-Cheney.
Che tutto ciò basti ad assolvere Obama da vere responsabilità in materia è tutt’altro che certo: le operazioni clandestine sono continuate sino a poco tempo fa e non è molto credibile per il presidente cavarsela sostenendo che non sapeva, non era stato informato e non poteva immaginare.
Oltretutto una linea del genere dà fiato alle trombe repubblicane sulla inanità della sua presidenza, attenta all’immagine e al bling-bling, ma colpevolmente distratta sulla sicurezza, anche quando c’era da sporcarsi le mani.
Cheney rifarebbe tutto
George W. Bush è rimasto silenzioso, ma l’allora vicepresidente Dick Cheney non ha perso tempo nel farsi sentire, dichiarando alla televisione Nbc che “lo avrebbe rifatto senza esitazioni” di fronte a un pericolo paragonabile, aggiungendo di ritenere degli eroi gli agenti segreti implicati.
Egli sa bene che, rapporto Cia o non rapporto Cia, la maggioranza dell’opinione pubblica Usa sostiene senza riserve la lotta al terrorismo, percepita come una minaccia inafferrabile perché incomprensibile alla luce del sistema di regole della società statunitense.
C’è una linea sottile che separa l’indignazione per gli eccessi e la crudeltà dei waterboarding, delle “idratazioni rettali” e delle altre pratiche e l’accettazione - che spesso si straforma in appoggio esplicito - per le finalità ultime che esse perseguivano.
Sarebbe ingeneroso affermare che il discrimine è dato dalla quantità delle azioni e non dalla loro qualità, perché in molti casi la protesta è nata da un sentimento morale autentico.
Ma potrebbe fornire una chiave di lettura delle reazioni che sono arrivate a pioggia dal mondo, a opera di governi che - aldilà dei toni di ferma condanna - con le pratiche in questione hanno una confidenza decisamente maggiore.
Anti-americanismo
Nel tentativo di recuperare per questa via un consenso interno, Obama ha dimostrato ancora una volta scarsa attenzione alle implicazioni di politica internazionale. A cominciare dai paesi che, più o meno di nascosto, a queste politiche avevano dato una mano, accogliendo e torturando a loro volta un po’ di terroristi spediti a questo fine dagli Stati Uniti.
Per arrivare ad alleati privilegiati come la Gran Bretagna, alla quale era stato promesso un segreto nel rapporto che è stato prontamente svelato.
Il vento di anti-americanismo che ha pervaso la questione è stato in molti casi strumentale: quale migliore occasione per gettare su Washington la colpa di nefandezze che avrebbero potuto avere un’eco non meno sanguinolenta in casa propria? Quando sento i toni accorati di certi commenti cinesi, per fare un solo esempio, mi sembra di trovarmi dinanzi a una versione sinistra del mago di Oz.
Detto ciò, non vorrei essere frainteso. La tortura praticata dalla Cia è abietta e non può in alcun modo essere tollerata. Essa esiste anche in molti altri luoghi e paesi e la giustificazione che viene data è sempre la stessa: non c’era altro modo per salvaguardare il bene comune. Definizione scivolosa quant’altri mai: per Pol Pot il bene comune era quello che lui stava facendo in Cambogia.
La protesta non porterà a una condanna universale delle sue pratiche, ma potrà servire a moderarne - in date circostanze e periodi ristretti - gli eccessi: varrebbe la pena di perseguirla con forza non foss’altro che per questo. Senza tuttavia farsi troppe illusioni sul genere umano, che buono proprio non è.
Antonio Armellini, Ambasciatore d’Italia, è commissario dell’Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO).
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