Cia Le torture e la forza del sistema Usa Massimo Teodori 16/12/2014 |
I fatti sono noti: il comitato senatoriale presieduto dalla Democratica Dianne Feinstein, a conclusione di tre anni di lavoro, ha documentato le sistematiche violenze contro i prigionieri catturati dopo l’11 settembre 2001.
Il Presidente Barack Obama ha quindi deciso di rendere pubblico l’intero dossier degli atti indicibili commessi dalle agenzie federali.
I gravissimi comportamenti dalla pubblica immoralità sono stati difesi e giustificati dal vecchio gruppo dei bushiani nelle persone di Dick Cheney e Donald Rumsfield, ed ancor più dal direttore in carica della Cia, John Brennan, che ha invocato la ragion di Stato per “mantenere gli Stati Uniti forti e sicuri dopo lo shock dell’attacco a New York e Washington”.
Pesi e contrappesi
Una prima notazione sulla vicenda riguarda la pluralità dei centri di potere che governano gli Stati Uniti. Il conflitto nel comportamento e nell’interpretazione che si è verificato tra la Presidenza e una parte del Congresso pronti alla trasparenza, e la potente Cia indirizzata alla copertura, mette in luce quanto complesso e talvolta contraddittorio sia il meccanismo che presiede al potere nazionale.
Tutte le volte che si imputa agli Stati Uniti - spesso a ragione - qualche comportamento eticamente riprovevole, si è soliti accorpare indebitamente in un sol fascio univoco strutture e organismi che invece sono distinti e separati in una architettura istituzionale che ha notoriamente come regola i pesi e contrappesi.
Potere di inchiesta del Congresso
La seconda osservazione, non di poco conto da un’ottica italiana, riguarda il potere che il Congresso, o almeno la sua parte maggioritaria (che fino al nuovo anno è dei Democratici) esercita nei confronti di una potentissima agenzia di intelligence, penetrando senza limiti anche negli ambiti più reconditi dei suoi atti.
Non è la prima volta che ciò accade, anzi si può affermare che il potere di inchiesta della Camera alta non si arresta di fronte ad alcun “segreto di Stato”, anche il più dannoso per gli interessi e l’immagine nazionale come certamente è stato l’uso sistematico delle torture durato almeno per i due mandati del Presidente George W.Bush.
Lo stesso Obama, di fronte alle proteste di una parte dell’apparato della sicurezza e dell’intero partito repubblicano, ora maggioritario nei due rami del Congresso, ha esercitato in maniera decisa i suoi poteri smentendo di fatto chi lo giudica un presidente dimezzato dopo le elezioni di mezzo temine.
Riconoscere gli errori
Ma il punto più significativo della cultura istituzionale e dello spirito statunitense è stata la capacità della politica di riconoscere e rivelare i propri errori e le proprie responsabilità dimostrata sia dal ramo esecutivo che da quello legislativo, prevenendo e oltrepassando gli elementi terzi come la magistratura e i mass media.
Questa mi sembra essere una caratteristica ricorrente della storia Usa soprattutto nell’ultimo secolo. I potenti Stati Uniti, che in ragione della enorme forza economica e militare commettono abusi all’interno e all’estero, sono talvolta pronti a fare ammenda quasi si trattasse di un vero e proprio ribaltamento dell’ipocrita uso della retorica del bene contro il male.
Questa volta il contrappasso è stato provocato dal presidente Obama e dai senatori democratici contro la tortura invocata come “mezzo necessario al raggiungimento di un fine”, ma analoghe svolte si sono verificate in diversi altri momenti cruciali della vicenda nazionale.
Si ricordi, ad esempio, il risarcimento decretato dopo molti anni dalla Corte suprema per l’abuso commesso da Franklin D. Roosevelt contro i cittadini americani Nisei, sbattuti da un giorno all’altro in campi di concentramento dopo Pearl Harbor.
Si richiami l’atteggiamento del Congresso che decretò la fine di Joseph McCarthy e del maccartismo dopo anni di pavido sostegno.
Si pensi al disvelamento della natura strumentale dell’incidente del golfo del Tonchino ai tempi della guerra del Vietnam. E, più recentemente, si consideri la stessa diffusione delle immagini “scandalose” di Abu Ghraib.
Tutto ciò induce a pensare che la politica democratica statunitense, nonostante tutto, funziona soprattutto per quell’aspetto che rappresenta il punto debole di molti stati occidentali, e cioè la forza del sistema politico-istituzionale di correggere se stesso senza ricorrere ed attendere l’intervento di agenti esterni.
Massimo Teodori, storico e americanista (m.teodori@mclink.it).
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