Dopo il vertice con Xi Jinping L’enigma cinese di Obama Stefano Silvestri 11/06/2013 |
Ore di colloqui non hanno però prodotto risultati pubblici di un qualche rilievo, né le dichiarazioni alla stampa hanno dato prova di maggiore duttilità o di una qualche bozza di accordo. Vedremo quindi solo nei prossimi mesi, sul campo, se qualcosa è realmente cambiato.
L’unico messaggio evidente è stato uno show di ottimismo da parte di Obama (che peraltro ne ha grande bisogno perché è oggi fortemente contestato al suo interno) e il sorriso soddisfatto di Xi, che ha dato l’impressione di essere molto sicuro di sé. Resta però poco chiaro quale sarà l’indirizzo futuro della Cina.
Nuova influenza
Sono passati i tempi in cui Deng Xiaoping, parlando nel 1974 all’Assemblea delle Nazioni Unite, affermava che “la Cina non è una superpotenza, né cercherà di diventarlo. Se un giorno la Cina dovesse mutare colore e tramutarsi in superpotenza, se anch’essa dovesse esercitare il ruolo di tiranno nel mondo, e assoggettare altri ovunque a tracotanti azioni di aggressione e sfruttamento, i popoli del mondo dovrebbero identificarla come social-imperialista e opporsi ad essa e unirsi al popolo cinese per rovesciarla”. Da allora la Cina ha propugnato la dottrina dello “sviluppo pacifico”, che non minaccia i vicini e aiuta il mondo nel suo insieme.
Ma la situazione è oggi differente. La Cina non è esplicitamente aggressiva, ma è certamente molto più assertiva sia per quel che riguarda i suoi diritti e le sue ambizioni. La Cina di Mao, che aveva fatto il grande accordo con Nixon e Kissinger, era una potenza appena emergente, preoccupata di un suo possibile accerchiamento da parte degli Stati Uniti (specie se Washington si fosse accordata con Mosca), e quindi ansiosa di concludere un accordo realpolitico con gli americani.
Gli Usa, d’altra parte, erano abbastanza sicuri che la relativa debolezza cinese non avrebbe offerto a Pechino l’immediata possibilità di dominare lo spazio strategico asiatico. Si trattava, allora, di una potenza interessata soprattutto a mantenere intatta la sua sovranità e la sua unità territoriale, mentre gli Usa rimanevano la potenza determinante degli equilibri nell’Asia-Pacifico.
Oggi non è più così. La Cina sta allargando la sua sfera di influenza politica e strategica, in Asia come in Africa. È attiva in Afghanistan, è alleata di fatto con il Pakistan, fa affari con l’Iran e con l’Iraq sciita, si oppone ad Europa e Stati Uniti in Siria, eccetera. Soprattutto essa preme per una revisione degli equilibri marittimi, rivendicando territori e spazi di mare aperto con un linguaggio spesso tracotante.
Basti pensare che essa definisce l’area del Mar cinese meridionale, dove è in immediato e diretto contrasto con il Vietnam, le Filippine, l’Indonesia e la Malesia, usando gli stessi termini che a suo tempo aveva utilizzato per giustificare l’annessione del Tibet. Inevitabilmente questo sta risvegliando le preoccupazioni dei suoi vicini e ne alimenta le correnti più nazionaliste e, in qualche caso, militariste.
Punti d’incontro
Certo, Pechino condivide con Washington una certa preoccupazione nei confronti della Corea del Nord, che vorrebbe vedere disarmata nuclearmente (se non altro per non accrescere i suoi contrasti con la Corea del Sud e il Giappone), ma sa anche bene di essere, in questo caso, la vera potenza indispensabile e vuole quindi giocare con prudenza le sue carte, in un’ottica non necessariamente analoga a quella americana.
Essa teme, e non potrebbe essere altrimenti, una eventuale risposta militare, ma non sino al punto di rinunciare al suo massiccio hackeraggio cibernetico (in parte economico e in parte militare) né di accettare passivamente la supremazia navale americana nell’area di suo interesse strategico. Vuole buoni rapporti con gli altri paesi asiatici, ma senza rinunciare alla sua supposta o reale preminenza gerarchica nei loro confronti.
In altri termini, la Cina è una potenza nazionalista prudente, in espansione, anche se sembra intenzionata ad evitare il confronto militare diretto (inclusa la questione di Taiwan).
Tutto questo è comprensibile, ma non del tutto accettabile. Quando noi pensiamo ad un rapporto nuovo tra le grandi potenze, pensiamo anche alla distensione che ci fu tra Usa e Urss, ad accordi dettagliati per accrescere la fiducia reciproca, evitare incidenti e aumentare la piena comprensione delle mosse dell’interlocutore, e soprattutto ad un atteggiamento di larga collaborazione tra le parti. È forse questo che Xi ha offerto ad Obama? Se restiamo alle dichiarazioni fatte e a quanto è sinora filtrato all’esterno dei colloqui, non sembra, o almeno non ancora in una forma esplicita e verificabile.
Siamo solo all’inizio di un processo di conoscenza reciproca, ed è quindi forse ingeneroso attendersi risultati importanti a breve scadenza. Tuttavia sarebbe prematuro oggi affermare che abbiamo assistito ad una svolta significativa. La Cina è ancora un enigma che attende la sua soluzione.
Stefano Silvestri è direttore di “Affarinternazionali” e presidente dello IAI.
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